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Posts Tagged ‘verità’

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“Il narcisismo dei poeti, di cui spesso si parla, si distingue in amore per il sé visibile e pubblico (e da quello vengono moralismo e vanità) e in amore per un sé sfuggente e nascosto, che è invece la fonte della poesia.” (Franco Fortini, I poeti del novecento, Donzelli, Roma 2017, p.20)

Affermazione basilare, quasi un postulato sui cui rifondare la vecchia distinzione crociana tra non poesia e poesia. Affermazione forse influenzata dalla psicoanalisi, ma comunque difficile da confutare nella sua universale validità estetica.

Proprio partendo da queste parole si può capire perché un poeta non può, qualsiasi cosa abbia da dire, se quel qualcosa egli lo attinge dal proprio essere più profondo e nascosto, esentarsi dal dirla. La parola poetica più di ogni altra ubbidisce, manifestandosi, non alla volontà ma soltanto alla necessità. Una necessità profetica. In nome di niente e di nessuno si ha il diritto di soffocarla. E se per caso, per un qualche fine autocensorio, il poeta stesso arrivasse a tacitare la sua propria voce di poeta, allora commetterebbe un delitto, non contro se stesso ma contro la verità e contro l´umanità.

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Dài una bandiera a un folle e la userà come un’arma. Anche contro di te.

La più sconcertante stupidità e abiezione di quanti vivono nel pregiudizio consiste in una infrangibile presunzione di intelligenza. Che sussiste e si rafforza solo condividendo il pregiudizio con altri individui, altrettanto stupidi e abietti. Perciò il pregiudizio, se non è diffuso, deve almeno – per sopravvivere – essere settario: non riuscirebbe mai, come la verità, a camminare sulle gambe di un eroe solitario.

Bisogna riconoscere al pensiero politically correct almeno un pregio: quello di predicare tra una massa di bruti un vangelo di bugie o di mezze verità utili, talvolta, ad alleviare qualche nostra inutile pena.

Amore è parola grande e preziosa e nobile che ne contiene molte altre, molto più piccine, vili, ignobili, persino indicibili.

A una persona dalle belle parole preferisco le parole di una bella persona.

A teatro, sere fa. I miei studenti recitavano l’Andromaca di Euripide. Stare a teatro (quando si fa buon teatro) è l’esperienza di un confine magico: quello tra la realtà e la verità. Noi, spettatori, – al di qua di quel confine – sprofondati (stretti nelle nostre poltroncine, soffocati dai nostri vestiti) nella penombra della realtà. Loro, gli studenti-attori, trasfigurati nella luce della verità, liberi di muoversi fuori dal tempo e dallo spazio in cui noi eravamo imprigionati. Ragazzi e ragazze che vedevo tutti i giorni ridere, strillare, scartocciare merendine, sfogliare libri, spettegolare, litigare… lì erano diventati carne e sangue, volto e voce di archetipi delle passioni e della sofferenza umana: Andromaca, Ecuba, Ermione, Menelao, Peleo. Altri da sé. Così, come straniati ciascuno, ma con tutto se stesso, nell’estasi del mito.

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METABLOGGANDO

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Tenere un blog non è forse così indifferente rispetto ai rapporti umani concreti che il blogger coltiva. Un blog in effetti è una sorta di diario intellettuale pubblico, una offerta gratuita – ad un destinatario virtualmente più vasto – di pensieri e riflessioni che altrimenti rimarrebbero inespresse o condivise occasionalmente (e molto parzialmente e superficialmente) soltanto con le poche persone che frequentiamo. Ma siccome le poche persone che frequentiamo spesso sono anche lettrici del nostro blog; e siccome, come dicevo altrove, ciò che noi scriviamo parla soprattutto ed essenzialmente di noi, ecco che queste poche persone finiscono per maturare di noi una visione più completa e complessa rispetto a quella che prima derivava loro soltanto dalla nostra conoscenza personale.

E siccome quello che si scrive in un blog (come in un libro) è, per quanto non strettamente personale, tuttavia assolutamente sincero (perché assolutamente gratuito) e meditato, ecco che chi ci legge accede inevitabilmente alla parte più profonda e nascosta, forse la più vera, di noi, a dispetto degli infingimenti “letterari” con i quali cerchiamo, scrivendo, di mascherarci. Con tutti i pro e i contro del caso. Un’operazione di verità e di sincerità come quella che avviene in un blog potrebbe infatti, nei rapporti con le persone che dicevo, non risultare sempre e del tutto ininfluente o gradevole o indolore. Proprio perché, in realtà, la maschera più ingannevole, meno fedele di noi, è soprattutto quella che indossiamo nella nostra vita quotidiana, di fronte agli altri come di fronte a noi stessi.

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La verità offende, molto più della calunnia. Per il semplice motivo che – mentre ci guardiamo allo specchio – ci strappa dal volto la maschera di bellezza che lo protegge e che ce ne rende tollerabile la vista. Peccato, perché – se non ci offendesse tanto, spingendoci ad una cieca ripulsa e a una ostinata indignazione – la visione della verità ci educherebbe più di ogni altra cosa. Solo l’arte (la ‘maschera’ meravigliosa dell’arte) sa renderci al tempo stesso visibile e sopportabile la verità. Beninteso, quando l’arte sia veramente tale e quando siamo adeguatamente preparati a comprenderla. Perciò, e soltanto in questo senso – cioè in quanto unica percorribile via di accesso alla verità -, l’arte ha una inarrivabile funzione educativa.

 

L’invidia è, tra le passioni, la più trista, sterile, incomprensibile e, alla fin fine, la più autolesionistica.

 

Quando è determinato a difendere un interesse o a perseguire uno scopo che egli ritiene irrinunciabile e vitale, allora l’uomo è disposto a (fingere di ?) credere in qualsiasi favola o fede, e a seguire qualsiasi parola d’ordine o bandiera che assecondino e legittimino la sua determinazione. Anche le favole, le fedi, le parole d’ordine e le bandiere più bambinesche, grottesche, anacronistiche, folli.

 

Si prova spesso la sensazione oggi, all’alba di questo nuovo millennio ipertecnologico, che nella storia umana l’età della ragione sia passata invano. E che la scienza e la tecnica moderne che ne sono le figlie naturali e legittime abbiano tradito la madre e si siano messe al servizio di tutti gli impulsi della più primitiva bestialità.

 

A guardare in tv certi documentari (e documenti) di storia più e meno recente, specialmente certe scene rituali di massa di varie epoche e regimi autoritari e totalitari, si ha l’impressione che la storia – guardata dalla giusta distanza – altro non sia che una tragica, inutile farsa che popoli o gruppi siano stati costretti (o, peggio ancora, si siano attivamente affaccendati) a interpretare. E oggi? Ne abbiamo tratto la giusta lezione? Siamo consapevolmente usciti da quella scena? O piuttosto sono cambiati (tras-formati) semplicemente i personaggi, gli interpreti e, soprattutto, i registi?

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La ragionevolezza spesso è così compromessa con il conformismo e la convenienza che la verità, per trovare giusta espressione e adeguato riconoscimento, deve talvolta affidarsi alla follia.

Se per amore si intende la paolina carità, ovvero quella magnanima e paziente disposizione dell’animo che degli altri tutto sopporta, tutto crede, tutto tollera ecc. allora bisogna riconoscere che il massimo dell’amore verso il genere umano è possibile quando si sia scontata intera l’esperienza della sua irrimediabile bassezza e pochezza. Vale a dire che il massimo della filantropia coincide con la piena e irreversibile maturità della misantropia.

Diceva giustamente Cicerone che tutti quanti scrivono poesia credono immancabilmente di essere sommi poeti. Segno certo che, soggettivamente intese, la poesia e la scrittura letteraria sono figlie indiscusse del nostro narcisismo egolatrico, benché siano oggettivamente le attività più disinteressate e altruistiche di questo mondo.

Il presente è dei furbi. Il futuro degli eredi degli intelligenti.

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La verità – si dice dalle mie

parti – fa perdere gli amici.

Sì, ma solo quelli falsi.

Solo la maggior parte.

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