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Archive for marzo 2017

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Mentre statistiche impietose rivelano che l’italiano – non quello di Dante, si badi bene, ma quello che conosciamo e usiamo ancora noi sessantenni ex studenti del liceo di quasi cinquant’anni fa – è una lingua moribonda, sconosciuta ormai, nella sua tradizionale ricchezza lessicale e varietà sintattica, ai più, leggo che una rampante preside di un liceo milanese sta attrezzando la sua scuola per far sì che tutte le materie (meno -bontà sua -l’italiano) siano insegnate in inglese (sic!).

Ora, io ho sempre pensato e scritto che l’autonomia è un bel nome che nasconde innumerevoli operazioni di politica scolastica molto sospette e discutibili, ma questa mi pare davvero la pensata tra tutte la più idiota e provinciale. Fumo negli occhi dell’opinione pubblica. Sì, perché chi conosce la scuola sa che gran parte degli insegnanti, anche bravissimi, che vi lavorano sono ultraquarantenni con una preparazione in lingue straniere mediamente scarsa. Non credo che i colleghi di quel liceo abbiano potuto ovviare con qualche corso di inglese o con qualche soggiorno estivo in qualche stato anglofono a queste note e diffuse lacune. Non so immaginarmi, per esempio, un insegnante nostrano di educazione fisica che dia comandi in inglese se non figurandomi scenette linguisticamente assai maccheroniche. Peggio ancora potrebbe avvenire a un insegnante di filosofia, con il linguaggio complesso e astratto che si ritrova a maneggiare….

Ma anche ammesso – senza realisticamente poterlo concedere – che questi miei colleghi parlino inglese come docenti di Oxford, l’errore è nel principio: l’italiano è, oltre che la nostra lingua madre, una lingua che appartiene a una cultura antica, prestigiosa e, a tratti nella storia, egemonica sulle altre. Ci pensano già i media di vario tipo a deprimerlo, ad impoverirlo e a snaturarlo: davvero non si sentiva il bisogno che anche qualche ingegnosa preside in cerca di pubblicità ne programmasse la sistematica liquidazione addirittura in sede scolastica. Mi pare -scandalosamente – il colmo.

Se vogliamo davvero studiare l’inglese, facciamolo nelle ore d’inglese: potenziamo i laboratori linguistici, la didattica della lingua straniera corrente, gli scambi estivi con l’estero.

Ma non costringiamo, per carità del cielo, il mio collega cinquantenne di storia a spiegare la rivoluzione francese in uno stentato inglesorum.

Perché così – se anche riuscissimo ad adescare qualche iscritto in più – ammazzeremmo due piccioni con un colpo solo (di clil): l’italiano e l’inglese.

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