Nego nel modo più reciso che le macchine (anche le più evolute) possano educare una persona, tantomeno valutarne la maturità. Possono aiutare gli educatori, possono in parte o in tutto sostituirli nell’addestrare tecnicamente qualcuno, ma non nel formare e nell’educare, tantomeno nel giudicare i frutti di quella educazione e di quella formazione. Perché l’educazione è il prodotto di una relazione umana. Solo umana. Non surrogabile da attori o strumenti diversi dagli esseri umani. Anche una prova di valutazione generale e sommativa quale dovrebbe essere l’esame di maturità è condotta da esseri umani, docenti e alunni. Per quanto si incontrino per un breve periodo, in un contesto particolarmente formale, insegnanti e ragazzi della maturità si incontrano, in quel momento, anzitutto come persone. Come tali si relazionano, sperimentano utilmente gli uni degli altri la correttezza, la lealtà, il rigore, la flessibilità, la cordialità, la serietà, la caratura intellettuale, persino la simpatia e l’antipatia reciproca.
Pare che tutto questo sfugga sempre più ai tecnocrati del ministero dell’istruzione. Pare per esempio che l’orale del nuovo esame di maturità debba essere un mega-test, un quizzone, dove persino il momento per me fondamentale della interazione intellettuale, dialettica ed emotiva tra educatore ed educando che sono i colloqui orali, sarà spersonalizzato e banalizzato. Pare che il nuovo orale si baserà sulla scelta di tre buste contenenti ciascuna una serie prestabilita di domande legate da un qualche file rouge tematico, su di una interrogazione pre-scritta insomma, prevedibilmente nozionistica, ma soprattutto sottratta alla estemporaneità socratica del confronto tra docente e allievo che è un confronto vivo di persone, un dibattito tanto più fruttuoso quanto meno prevedibile nei suoi sviluppi. Un colloquio orale che si rispetti, a mio avviso, si sa da dove parte, ma non proprio dove possa arrivare. Anche da questa im-programmabile libertà di sviluppo si misura la bravura e la maturità dell’esaminando (oltre che quella dell’esaminatore).
No invece: nel nome di una presunta oggettività di trattamento e di misurazione bisogna seguire un binario obbligato, un binario preordinato, un binario morto.
Credo che anche questo nuovo monstrum della maturità discenda dalla imperante concezione tecnocratica dell’istruzione che regna ormai nelle stanze della Minerva. La sua origine (anglosassone) la conosciamo bene. Ma da noi arrivano sempre le caricature e i cascami, il peggio del peggio, ahinoi. Cambiano i governi, ma non cambia l’apparato, il fantomatico Komintern anonimo o dai nomi astrusi (Invalsi, Indire ecc.) che partorisce e impone, da un governo all’altro, da un lustro all’altro, i frutti più deformi della propria malata (ed asservita ai soliti poteri) subcultura pedagogica.
Pareva che l’abolizione della famigerata tesina preludesse a un qualche tardivo ma beneaugurante rinsavimento, discendesse da una inaspettata ma benvenuta iniezione di buon senso. Invece no. Ecco la seconda prova, che per supplire all’abolizione della terza (che non era certo da buttar via, per la sua aderenza ai programmi effettivamente svolti e per l’esercizio di puntualità e di sintesi che richiedeva) pasticcia insieme un paio di materie con pretesa (teorica) ambiziosa di interdisciplinarità ed effetto (pratico) probabilissimo di confusione e di disorientamento (al classico non si traduce più un testo di versione: anzi sì, si traduce ancora, ma un pezzo più corto di latino o di greco, o forse un po` di latino e un po’ di greco; ma poi si aggiungono delle domande di comprensione del testo e di commento storico-letterario, come se uno, dopo aver tradotto male o addirittura frainteso un passo di Cicerone, possa poi interpretarlo e commentarlo bene…).
E poi, tornando a noi, ecco l’orale: prima l’esposizione della esperienza della ASL, cioè dell’Alternanza Scuola Lavoro (notoriamente magnifica e indimenticabile per i liceali…), poi l’estrazione delle buste (uno, due, tre) di cui sopra.
Diciamolo: per quello che vale ormai questo pezzo di carta nel mondo del lavoro o nel proseguimento degli studi universitari, mantenere a tutti i costi e a questo prezzo l’esame di maturità è non solo insensato, ma altamente nocivo. Deleterio cioè per insegnanti ed alunni, perché la distorta impostazione della prova finale obbliga purtroppo i primi come i secondi ad adeguarsi durante tutto il corso degli studi agli sciagurati pseudo-principi didattico-docimologici cui l’esame è ispirato. Cambiare continuamente (come sta avvenendo da anni) il tetto della scuola richiede infatti, per evitare crolli e dissesti, che si ristrutturino alla bell’e peggio e contro ogni regola dell’arte anche i muri portanti e le fondamenta. Mi si perdoni la metafora architettonica, che è tirata (è il caso di dire) con gli argani, ma penso che renda, meglio di ogni considerazione, il succo amaro di questa deprimente storia.