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Archive for settembre 2019

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Non mi piace parlare della stretta attualità, perché ne (s)parlano tutti i media. Non voglio pertanto scrivere della ragazzina che va in giro per il mondo a denunciare (in modi e con mezzi discutibili, ma per una causa oggettivamente sacrosanta) il riscaldamento del pianeta che minaccia a breve termine la sopravvivenza della nostra specie.

Però, siccome questa ragazzina ha proclamato per oggi una delle tante giornate di sciopero e di manifestazioni studentesche di piazza su scala mondiale e il nostro ministero dell’istruzione ha diramato un invito ufficiale a tutte le scuole d’Italia a giustificare gli studenti che vi parteciperanno, ecco che questa notizia non può lasciarmi indifferente.

Ho assistito nei miei ultimi anni di insegnamento al progressivo dilagare di quello che io chiamo il populismo giovanilistico delle autorità scolastiche italiane: un finto paternalismo che rincorre in realtà secondi fini (il voto giovanile, le iscrizioni numerose a buon mercato, il facile favore delle famiglie) e che accarezza sempre i ragazzi per il verso del pelo con demagogia disgustosa (per me) e rovinosa (per i ragazzi). Questa volta, secondo me, si è toccato il fondo.

Mio padre, operaio negli anni ’60 e ’70, aderiva a sue spese agli scioperi frequenti (indetti spesso per validissimi motivi) che si proclamavano allora. Mai sentito dire che la Confindustria a quei tempi abbia invitato il padronato a retribuire almeno una volta gli operai per quelle giornate di sciopero. Forse il paragone sembrerà inappropriato. E lo è. Perché quello che il ministero ha fatto questa volta è molto più grave di quello che Confindustria mai, nella sua storia, si è sognata di fare. Perché qui non è in gioco una giornata di salario (che gli studenti ovviamente non percepiscono) e nemmeno una giornata di scuola (che pure è un serissimo danno, perché se ne perdono allegramente a bizzeffe) ma il cardine stesso del rapporto educativo tra ruoli e tra generazioni. Questo rapporto si fonda su di un assioma basilare non scritto che non si può impunemente trascurare. Questo assioma dice che un educatore, quando agisca soltanto per blandire ed assecondare l’educando (poco importa che lo faccia per debolezza, quieto vivere o proprio inconfessabile tornaconto), fa soltanto il male dell’educando stesso. Si trasforma in suo corruttore.

Le conseguenze di questa scandalosa iniziativa corruttrice del ministero sembrano – come tutto ciò che riguarda il mondo della scuola – lievi, ma sono in realtà tutte assai gravi:

1) il ministero anzitutto ha scavalcato i diretti responsabili dell’educazione scolastica, cioè gli insegnanti e i dirigenti, mettendoli con le spalle al muro: o concederanno la giustificazione, oppure, se non lo faranno, prenderanno una decisione che apparirà ingiustamente, agli occhi dei ragazzi, una scelta autoritaria impugnabile in partenza, perché screditata da chi sta più in alto nella scala gerarchica. Il ministero insomma agisce come un nonno compiacente che delegittima a colpo sicuro i legittimi genitori. Questo, se si guarda bene, è l’effetto più deleterio del populismo scolastico di cui parlavo.

2) Il ministero si è arrogato inoltre il potere di indicare quali manifestazioni di piazza sono legittime e quali no. Ha dato cioè ufficialmente una indicazione in senso stretto politica. Ha espresso un giudizio di parte. Ciò viola, in uno stato democratico pluralista, il dovere di imparzialità e di neutralità che la scuola pubblica, almeno nelle sue prese di posizione ufficiali, è tenuta a rispettare se vuole (come deve) formare i futuri cittadini senza indottrinarli.

3) Il ministero infine ha di fatto squalificato (o almeno ha cercato di squalificare) il valore della manifestazione studentesca in sé nel momento stesso in cui ha ufficialmente deciso di avallarla e di giustificarla: se lo stato stesso approva una protesta popolare vuol dire che la ritiene innocua e insignificante o vuole, quantomeno, contribuire a renderla tale. Renderla un carnevale. Sì, avete capito bene, non credo di esagerare: una protesta o una trasgressione approvata e benedetta dall’alto assume inevitabilmente – lo sanno bene gli antropologi – una connotazione carnevalesca. Ludica. Perciò stesso inoffensiva. Una valvola di sfogo che viene lasciata sfiatare da chi comanda per continuare a fare, senza essere altrimenti e pericolosamente disturbati, quello che si è sempre fatto.

Semel in anno licet pro coelo tumultuari. Una volta ogni tanto, qualche venerdì all’anno, è concesso (meglio: consigliato) ufficialmente dallo stato manifestare contro lo stato, per l’ecologia.

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Spuntò un inverno

dove parole dalla tua bocca

soffiavano enigmi bui

di profezie avare:

metallico rimbalzare

di tuoni contro lo scudo

dell’orecchio altrui. Fu quello

preludio di una lugubre

tormenta di lampi e di spade

e grandine sulla lamiera

di un mare che rigurgita

cadaveri di amori

e di ricordi alla deriva

sul delta della sera.

Ormai il tuo grido di preghiera

è smemorato presagio, zimbello dell’aria

muggito quasi di bove al macello.

 

[ http://www.larecherche.it/testo.asp?Id=54728&Tabella=Poesia ]

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Un mio monologo inedito intitolato Gastoncino è stato selezionato fra i 9 finalisti della sezione racconti del XX Premio letterario ´Gozzano´.

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Un politico che, per pura ipotesi, provocasse – prima – di sua iniziativa la crisi di un governo in cui ha sempre spadroneggiato sui suoi alleati e si atteggiasse – poi – a vittima di tradimenti, ribaltoni e congiure di palazzo, mi somiglierebbe molto ad un marito che, dopo aver tiranneggiato, tradito e infine cacciato di casa la consorte, si lamentasse poi che quella abbia immediatamente trovato un nuovo partner.

In Italia ha vinto, vince e vincerà sempre di volta in volta le elezioni quel partito che mostra di voler garantire impunità perpetua o quasi a quel 35% circa di evasori fiscali (ovvero sedicenti o immaginarie vittime del fisco) che da sempre, effettivamente, nel nostro paese comanda. Durerebbe pochissimo quel governo che per avventura o per sbaglio contrastasse questo potere effettuale.

I politici oggi sulla breccia confrontati con quelli di quando ero ragazzino (anni 60 e 70) commettono forse, più e meno, le medesime porcate, ma hanno smarrito ogni stile, ogni cultura, ogni idealità che non dico santifichi, ma giustifichi e indirizzi la loro prassi. Soprattutto è svanita ogni aureola esiodea di pudore e di vergogna che renda sostenibili alla vista le loro belle facce di … [Cara, vecchia ipocrisia democristiana…!]

I politici di oggi sono sì rapidamente biodegradabili, come i nuovi sacchetti della spazzatura, (e questo mi dà un ingannevole senso di sollievo) ma anche e purtroppo disperatamente interscambiabili: insomma tutti nella pratica (cioè nella loro prassi) sono uguali o assai simili. Forse perché la politica vera non esiste quasi più, soggetta come è a schiaccianti diktat economici planetari rispetto a cui bisogna o assentire o fingere di dissentire, i politici di oggi si differenziano tra loro soltanto fino al giorno delle elezioni. Corrottissimi allievi del marketing elettorale loro insegnato dai nuovi sofisti della comunicazione, quando vanno al potere non sanno o non possono fare quasi nulla per risolvere concretamente i maggiori problemi nazionali. Salvo apparire ogni giorno in tv da guitti e da istrioni, o pronunciarsi ogni momento sui nuovi media per promettere di risolverli. [Cara, vecchia, sobria, regolatissima, persino laconica tribuna politica di mezzo secolo fa!]

In questo momento i diritti civili (importanti) sono brioches, quelli economici e sociali (fondamentali) il pane. Non potendo nulla o quasi per garantire un’equa distribuzione del pane, i politici nostrani si accapigliano più spesso e più volentieri intorno alle brioches. Su questo almeno (sui gusti e sulle varietà delle brioches) ci si può distinguere con qualche tornaconto (dei politici) senza mettere le mani nelle casse dello stato…

Se la qualità della classe politica dipendesse dal grado medio di sviluppo, di scolarizzazione e di informazione della società che i politici rappresentano, allora i politici di adesso dovrebbero in teoria distanziare di anni luce i vari De Gasperi, Nenni, Togliatti. Siccome in pratica succede esattamente l’opposto, cioè che i politici di adesso non sarebbero degni neanche di lustrare le scarpe ai loro predecessori (pur non immacolati) degli anni ’50 e ’60 ecco che ne discenderebbe, paradossale ma automatica, la desolante deduzione che sviluppo, scolarizzazione di massa, informazione sono fattori di barbarie anziché di civiltà.

Se penso al significato estensivo della parola politica come « Linea di condotta accorta e astuta al tempo stesso, caratterizzata dalla capacità di destreggiarsi abilmente nelle situazioni e nei rapporti con gli altri: bisogna agire con un po’ di p.; ci vuole p.; è un uomo che ha molta p.  ecc.» (Treccani, Vocabolario online, s.v.) faccio fatica a riconoscervi i recenti, giovani mattatori della nostra scena pubblica: personaggi – tutti – di un’astuzia miope e di un demagogismo scoperto e miserevole, essi rimangono imprigionati nella loro iniziale e precaria immagine vincente al punto da ruinare con essa e per essa, del tutto incapaci di liberarsene con una onesta e coraggiosa ammissione di colpa o di errore. Più che la volpe di Machiavelli mi ricordano il Pellegrino di Luciano di Samosata, il santone impostore che, per rimanere fedele alla maschera di eroe spregiatore del dolore e della morte con cui si era guadagnato il favore del popolino, è costretto alla fine a gettarsi nel fuoco.

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