Follia nana genera figli (e nipoti) giganti.
Follia è diamante: perfetto in sé, nella sua geometrica, tagliente e inattaccabile durezza. Tutto essa può incidere, da nulla può essere scalfita.
La follia è invidiabilmente autarchica, autosufficiente. Si alimenta delle sue ossessioni all’infinito; poggia il suo edificio farneticante sopra quelle fondamenta incrollabili. Non è mai sfiorata dal dubbio. O dal bisogno di qualcosa di diverso da ciò che, senza mai saziarla, la nutre. Corre sicura dentro la realtà (e fuori da essa) come un treno in un tunnel senza uscita.
Tra follia e ragionevolezza non c’è possibilità di dialogo, transfert o benefica frequentazione. La follia è sintonizzata su di una frequenza inaccessibile alla ragionevolezza. Chi tenterà di intercettarla e di correggerla non solo fallirà nel suo scopo ma metterà a serio repentaglio – con una infinita frustrazione – il proprio equilibrio mentale.
Il metodo e la travolgente ostinazione con cui il folle persegue i propri folli scopi gli permettono a suo modo e non di rado – purtroppo, e con qualsiasi mezzo – di raggiungerli; più facilmente di quanto non accada per gli scopi ragionevoli perseguiti da persone ragionevoli: da persone cioè che riconoscano gli ostacoli del principio di realtà e si fermino saggiamente davanti ad essi.
La follia ha i suoi indubbi vantaggi: primo fra tutti, quello di credersi con cieca e autoritaria presunzione – senza la titubanza minima del dubbio né il timore della smentita – suprema e incontestabile saggezza. Ma anche un tragico svantaggio: che non trova di norma nessuno pronto a condividere questa – di per sé – così gratificante autoconvinzione. La follia è quindi, di norma, etimologicamente ‘autistica’, solitaria, autodistruttiva. Sottolineo, tuttavia, di norma: perché purtroppo si sono avute nella storia, rispetto a questa norma, tragiche e spaventose deviazioni: esempi di una follia divenuta infettiva o diabolicamente indotta, ogniqualvolta il sistema immunitario della razionalità collettiva sia gravemente debilitato ed esposto ad un contagio altrimenti impossibile.
La follia solitaria non immagina (né tollera) ostacoli o limitazioni o mediazioni di sorta. Gode perciò, rispetto alla ragionevolezza, dell’illusione e della pretesa di una libertà sconfinata. Quella del fuoco che danza, guizza e imperversa in una foresta. O quella di una nottola che svolazza nel buio, all’impazzata, cozzando sulle pareti di una caverna.
La psichiatria moderna (con valide ragioni, che io sappia) ha molto sfumato i confini tra follia e normalità: col risultato che ogni nostra più comune stranezza, bassezza, debolezza, stronzaggine ecc. rischia di ottenere oggi una patente di sindrome psicopatologica x,y,z,k…. Così rischiamo di essere sempre giustificati nei nostri peggiori difetti e vizi, ed esentati da qualsiasi sforzo per correggerli. Per ogni peccato abbiamo, oramai, pronto un certificato.
Di converso l’incertezza del confine può portare (direi piuttosto astrattamente e ideologicamente) a considerare anche la follia più delirante come una diversa e originale forma di normalità o di razionalità. Con la conseguente dismissione (o demonizzazione) di qualsiasi pratica psichiatrica minimamente coercitiva. E il risultato che anche le più pericolose forme di follia si aggirano a piede libero in mezzo a noi o si accaniscono, devastandola, sulla incolpevole e sventurata umanità loro prossima.
Se nella storia pensatori e artisti hanno paradossalmente elogiato e pericolosamente corteggiato la follia è stato soltanto perché – si badi bene – essi sovente l’hanno metaforicamente (antifrasticamente) intesa e contrario quale fuga coraggiosa, atto di libertà contro la suprema e disumana e autentica follia ordinaria ed ‘ordinata’ in un sistema.
Chi ragiona intorno alla follia, chi pretende di osservarla da vicino per capirla o addirittura dom(in)arla è un esploratore sull’orlo del vulcano, un danzatore sul ciglio di un baratro, un Penteo che si lascia issare sulla cima di un albero per osservare il delirio delle Baccanti: il suo destino è quello di esserne avvistato, abbrancato e sbranato prima ancora di averle potute studiare e comprendere a fondo. (Forse sarà perciò che certi psichiatri o psicanalisti particolarmente assidui nei media producono, in chi li ascolta e li guarda, l’effetto di persone un po’ inquietanti).
Possibile che queste modeste, sparse e profane riflessioni abbiano addirittura alimentato, anziché dissiparlo, il dubbio su che cosa sia veramente follia e che cosa invece ragionevolezza. Sulla incerta demarcazione di un confine tra l’una e l’altra. Sulla loro facile confusione o sovrapposizione. È un dubbio legittimo e persino agghiacciante. Ma finché dubitiamo abbiamo almeno la confortante certezza di non essere (ancora) completamente folli. Il dubbio – come sempre – è la nostra unica, fragile àncora di salvezza.
[PS: leggendo questo post ci si potrà chiedere che cosa mi abbia spinto (tempo fa, a dire il vero) a scriverlo e (adesso) a pubblicarlo: molte ragioni, non tutte confessabili. Più di tutte la considerazione che la follia, quella almeno (‘ordinaria’ e diffusa, non diagnosticata e/o subclinica) di cui parlo qui, è – che ce ne accorgiamo o no – compagna di strada più e meno assidua di noi tutti, non maledizione di pochi.]