Come quando confidando
nella legge di Newton lasci cadere
un foglietto di carta o un fazzoletto
nel target di un cestino – e basta invece
un dispetto dell’aria, l’ interferenza
angelica del nulla a deviarne
il destino.
Posted in epigrammata, pensieri, versiculi, www.larecherche.it, tagged Hybris, Newton, poesia on 28 agosto 2015| Leave a Comment »
Come quando confidando
nella legge di Newton lasci cadere
un foglietto di carta o un fazzoletto
nel target di un cestino – e basta invece
un dispetto dell’aria, l’ interferenza
angelica del nulla a deviarne
il destino.
Posted in ars docendi et educandi, parole, segnalazioni, tagged Gratteri, progettificio, scuola on 24 agosto 2015| 1 Comment »
Replica di una rubrica televisiva di libri e attualità. La conduce una giornalista radical-chic molto nota, brava ma insopportabilmente politically correct, discretamente avvenente per la sua età ma fastidiosamente incline ad esibire – in studiate pose da vamp – il suo glamour. Attorno, a far da cornice giovanilistica, una corona di studenti liceali accompagnati da un paio di prof. Accanto a loro, spalla della conduttrice, un altro prof un po’ più noto – e assai gradito alla sinistra salottiera – per aver scritto diversi e non disprezzabili libri sulla nostra scuola. L’ospite principale è il magistrato Nicola Gratteri. Parla di droghe e di criminalità. Del suo pane quotidiano, insomma. A un certo punto – e del tutto incidentalmente, ma con una foga che mi colpisce – afferma che egli ama discutere spesso di questi problemi con i ragazzi delle superiori, ma – sottolinea – soltanto di pomeriggio, “perché la mattina i ragazzi devono dedicare tutto il tempo a studiare, per imparare l’italiano, la matematica e tutte le altre materie. La scuola deve smetterla di essere un progettificio”.
Progettificio è un neologismo sgraziato, ma ha la capacità di smascherare d’un colpo, nella sua pregnante carica dispregiativa, amaramente satirica, la recente deriva della nostra scuola. Chiunque lo usi è in qualche misura un mio compagno di strada, perché professa ancora insieme a me una concezione educativa seria, opposta a quella oramai dominante. Progettificio è quel baraccone che è stato messo su da anni per conciliare – bisogna ammetterlo: con astuzia geniale e diabolica convergenza di interessi – almeno tre cose: l’apparente modernizzazione del sistema educativo; l’esigenza degli istituti di fare immagine per attirare a buon mercato le iscrizioni; la sempre maggiore invadenza di soggetti estranei nelle attività quotidiane della scuola. Progettificio significa che la scuola non è più il luogo nel quale gli insegnanti istruiscono ed educano i giovani, bensì la sede nella quale – quotidianamente e a scapito del proprio autentico lavoro – gli insegnanti si prodigano per organizzare attraenti e distraenti attività con la partecipazione di esterni (conferenze, film, incontri, recital ecc.) che gratifichino e intrattengano i loro allievi. Progettificio indica un seducente veleno smerciato ormai da tempo e impunemente come panacea moderna di veri e presunti mali antichi della scuola. Il panegirico del progettificio si leva purtroppo da decenni (e per ragioni diverse ma convergenti) da molte, troppe parti. Ma la parte che si è spesa di più per magnificare la scuola dei progetti, inutile nasconderlo, è proprio quella della (ex) ‘sinistra’ all’acqua di rose, apostata del marxismo e convertita ormai definitivamente alla fede nel marketing e nell’ efficientismo tecnocratico, La parte cui appartengono sicuramente la conduttrice glamour e probabilmente anche il prof scrittore che le fa da spalla.
Forse perciò, alla battuta sul progettificio pronunciata con tanto sacro sdegno dal magistrato, i due interlocutori non replicano minimamente. Glissano. Lasciano che il discorso di Gratteri scorra avanti e ritorni a occuparsi di droghe e di spaccio. Neanche gli studenti e i loro prof intervengono a proposito di quella forte e inaspettata ‘provocazione’ del magistrato. Ma a me, inevitabilmente, è venuto subito il desiderio di approfondire. E ho scoperto che il giudice Gratteri ha parlato della scuola- progettificio molto spesso e molto meno en passant di come è successo in questa occasione. Vd. ad esempio in http://www.gazzettadelsud.it/news//43314/Gratteri-agli-studenti—la.html, di cui riporto un breve stralcio:
«Con una scuola diventata definitivamente un progettificio, violentata da scelte politiche nazionali errate, fatte da tutti i governi, senza più attenzione alla didattica, con insegnanti visti e trattati come degli sfigati e sotto la cappa quotidiana di trasmissioni spazzatura, ci ritroviamo oggi con studenti, adulti e professionisti che ignorano la storia, la geografia e la lingua italiana. Con più conoscenze forse, ma con meno cultura. »
Posted in inattualità dell'antico, leviora, tagged Penelope, Polifemo, quiz, Ulisse on 18 agosto 2015| Leave a Comment »
Quiz televisivo basato su giochi linguistici.
Concorrenti di età tra i trenta e i quaranta.
Conduttore: «Mi trovi la parola intermedia, iniziante per p, tra Ulisse e occhio»
1° concorrente: «Penelope»
Conduttore: «Ahi, ahi, non ci siamo…Penelope caso mai va bene con tela, non con occhio. Dobbiamo dimezzare il monte premi, peccato. Aggiungiamo adesso una lettera: po…»
2° concorrente (sghignazzando sotto i baffi per l’intima soddisfazione di averla intuita giusta): «Polifemo! » e aggiunge, volendo strafare, «…. il mostro che Ulisse uccise dopo avergli strappato un occhio!»
Posted in de aesthetica, epigrammata, letteratura, versiculi, tagged letteratura, letture di poesia, performance poetica, recitationes, summer poetry reading on 13 agosto 2015| 1 Comment »
Se non vuoi che il tuo nome se lo porti
via il vento, non talento non lacrime
non sudore di sillabe o segreto stridore
di lima varranno né trucioli di pelle
viva su caratteri morti, non calcina
di latte né fior di farina a gonfiare
focacce immortali, fragranti di sdegno
e d’amore; se non vuoi che il tuo nome
lo rapini via il tempo, lo confonda
la schiuma con la sabbia d’argento
hai da essere desto a inventarti
un evento: sulla riva del mare tra
distratti bagnanti nelle sere d’estate
snocciolare compunto epigrammi rimati
o cantare sonetti nel teatro di fronde
di un poetico parco infestato di insetti
a turisti in bermuda dai palati sottili
stravaccati in sedili succhiando gelati
e fingendo pensosa, appuntita attenzione
mentre sale – in un’aria affebbrata
dall’ipnotico ritmo del tuo cuore
snudato – l’afasia compulsiva del tuo
oscuro universo, la fatidica nenia
del tuo vivere perso.
Scrivevo in un altro post (I vantaggi dell’impostura) che non amo particolarmente le performance pubbliche dei poeti. Beninteso, esse sono sempre meglio di altre forme di spettacolo molto più dozzinale; ma le trovo inopportune se non assurde: questo recupero della dimensione orale-teatrale di un arte che da decenni si è sempre più chiusa in forme espressive ermetiche, cerebrali, esoteriche è in effetti oramai una contraddizione in termini; il carattere libresco e ultra-elitario di tanta poesia (o pseudo-poesia) moderna cozza con la pretesa di divulgarla in contesti e con mezzi propri della cultura di massa. Inoltre, anche ammesso che esistano forme di poesia accessibili ad un ampio pubblico, io non vedo utilità né decoro nel fatto che un autore di poesia si proponga oggi quale primo presentatore (lettore, commentatore e recitatore) dei propri testi, un po’ come p.e. Benigni fa con quelli di Dante. Non solo la cosa è sconveniente in sé (mi pare) ma è anche didatticamente e artisticamente poco credibile, se si parte dall’assioma difficilmente contestabile che un autore è di norma, e in tutti i sensi, il peggiore interprete di se stesso. Non solo: se la fortuna di un autore dipende soprattutto dalle sue capacità di autopromuoversi davanti a un pubblico reale o virtuale, allora giocoforza si affermeranno non proprio i bravi poeti, ma soprattutto i bravi intrattenitori, recitatori, attori ecc. Aggiungiamoci poi che l’accesso agli ‘eventi’ che permettono la maggiore visibilità (festival, recital, reading ecc.) è regolato spesso non dal valore effettivo dell’autore, ma dalle sue ‘entrature’ con le varie lobby e conventicole letterarie ed editoriali, ecco allora che il quadro meritocratico è completo…
Ma al di là di queste poco confortanti controindicazioni, il poeta che promuove se stesso è un controsenso più che altro perché un testo letterario, una volta che sia stato prodotto, non ha (e non dovrebbe avere) a mio parere nulla più a che fare con il suo autore: diventa un patrimonio di tutti quelli che vogliono leggerlo, recitarlo, interpretarlo. L’autore che si intromette nei suoi testi per mediarli con la sua presenza fisica, mimetica e vocale, vincolandoli alla sua persona individuale e storica, rischia di ridurre o compromettere – anziché dispiegarla – la loro sovrapersonale e universale ampiezza di significazione.