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Archive for marzo 2013

“Una stella!…” – “Tre stelle!…” – “Quattro stelle!…”
“Cinque stelle!” – “Beppe, non sembra di sognare?…”
Ma ti levasti su quasi ribelle
alla perplessità parlamentare:
“Scendiamo Piergigi! è tardi: possono pensare
che noi si faccia cose poco belle…”

(Da G. Gozzano, La signorina Felicita)

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DEL NUOVO CHE AVANZA

Autentico, lungimirante progressista non è colui che ama ed abbraccia ed esalta ciecamente, al suo primo apparire, il ‘nuovo’ e il ‘moderno’, ma colui che sa tempestivamente scrutarne (accanto agli eventuali pregi) i limiti reali e – soprattutto –  annusarne i potenziali pericoli.

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PATETICI SLITTAMENTI

La parola spesso – la psicoanalisi lo insegna – è traditrice. In molti modi. Non solo nei casi classici del lapsus linguae vel calami di singoli parlanti o scrittori; ma anche nello scivolamento di senso che nella storia di una lingua patiscono alcune parole. Intelligentemente una mia alunna mi ha fatto notare come, nella sua accezione comune, l’aggettivo patetico non sembri oggi avere più una relazione semantica stretta con il greco pathos da cui deriva. Pathos significa infatti in greco antico ‘evento, spesso disgraziato o calamitoso, che ci colpisce’; oppure ‘un’emozione, una passione, un sentimento molto intensi e coinvolgenti’ (e in quest’ultima accezione viene ancora usato per lo più nell’italiano moderno). Non c’è traccia alcuna di ignobiltà nel vocabolo. Patetico invece è attualmente un aggettivo che connota spesso – nel linguaggio comune – personaggi, situazioni e comportamenti penosi e irritantemente miserevoli, che suscitano cioè un senso di fastidio, di disdegno o di distacco in chi li osserva anziché autentica pietà umana. Una analoga Sinnverschiebung  si osserva, d’altro canto, tra pietà o pena nel loro primitivo significato e espressioni o aggettivi che ne derivano: fare pietà/pena  e pietoso/penoso. Non riesco a spiegarmi altrimenti questo slittamento se non pensando che esso denunci – tradisca! – la naturale e istintiva e primitiva (ancorché inconfessabile) repulsione dell’uomo verso la sventura del prossimo.  Quella originaria e  animale e egoistica  ripugnanza per la ‘sfiga’ altrui – che pure secoli di civilizzazione filosofica e religiosa hanno cercato di sostituire nelle coscienze con la pietas – è beffardamente riemersa in superficie aggrappandosi allo stesso nobile significante che avrebbe dovuto sommergerla.

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Se è vero che l’ autorità spesso diverge drammaticamente dall’autorevolezza, la prima magistrale rappresentazione di questa verità si trova nell’Antigone di Sofocle, laddove si mettono a nudo e a fronte due solitudini opposte ed estreme: quella del tiranno e quella dell’eroe. La prima riscuote – pur senza alcuna autorevolezza – l’ubbidienza pavida e rancorosa di tutti. La seconda – pur senza alcuna autorità – l’amore e il consenso di tutti. La tragedia, a guardar bene, sta (quasi)  interamente in ciò che Antigone all’inizio rimprovera aspramente ad Ismene: nel fatto cioè che  quest’ultima, benché ami la sorella e la sua causa, non sappia seguirla per una ‘ragionevole’ paura del potere e abbandoni perciò Antigone al suo ‘folle’ martirio.

Merita i suoi tiranni la società che si limita a santificare i suoi eroi senza cercare di emularli.

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MOSAICI

Un’opera letteraria, specialmente narrativa, è in superficie un mosaico. I suoi tasselli sono materiale di riporto della più varia (ir)rilevanza e  provenienza: autobiografica, culturale, esperienziale. Ma quello che conta è il disegno secondo cui essi sono ricomposti e il cemento che li tiene insieme. Entrambi (disegno e cemento) sono forma e sostanza dell’anima dell’autore o – come dissi altrove – del suo unico e irripetibile vissuto interiore.

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FAR PIOVERE?

Milioni che 

inveiscono dolorando 

urlando contro il cielo

sereno giammai riusciranno

a strizzare dai suoi occhi

di vetro una lagrima

sporca di pioggia.

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