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Archive for ottobre 2015

Risultati immagini per batracomiomachia Risultati immagini per politici topi

Musi rasati, netti di geometrici baffi o decorativi

pizzetti, zazzera calligrafica scolpita che accarezza

colletti a camicie imbalsamate. Nuotano i loro busti

d’automi dentro eleganti spezzati, incravattato

il cuore in filiformi spadini, il grugno illuminato

da telematici sorrisi: laccati, laminati, tenaci come

mastini questi aggregati di topi antropomorfica

mente modificati, addestrati quanto basta a sfoggiare

una lorica di spocchia che non arretra di fronte a fischi

né inchini, lesti ad amputare col laser dei canini la polpa

del formaggio a spregio sovrano di ferite o gogna: arduo

per la ranocchia fermarli, i giovani ratti rinati dalla fogna

in metallizzata mise da damerini. Anfibi di melma

e di stagno, noi, c’aspettavamo altro: muridi ceffi

laidi, vecchie pantegane, mantelli lerci di morchia

rimediata strisciando nei tombini, monatti

carichi dei vibrioni assassini di camusiana

memoria, pronti a inquinare le uova della rana

con raffiche di bombe stercorarie: invece

l’azzimato nemico ribatte sul tamburo – udite

udite – di volerci bene, di azzannare per noi le nostre

pene, di volerci spurgare del fango in un brodo

d’amore: basta che ci si affidi – dice – tutti al vangelo

roditore, quello che intona il credo nel già presente

futuro della transgenica specie, quella nella

quale potrà mutare, come ciofeca in vino

doc certificato, l’intera fauna dell’universo

immondo. Basta che ogni rana, inforcate le lenti

della fede, senza retropensieri lo voglia e gracidi

lieta danzando in tondo tonde giaculatorie

a Rodigrana: incisivi di smalto, froge

di bronzo, né(r)vi d’acciaio, fulminante

duce, liberaci dai lagni di nottole, gufi

e barbagianni e riconduci all’acque

morte, qui, sulla tenaria riva, il sole

della magnifica sorte e progressiva.

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Risultati immagini per socrate apologia

Invecchio sempre imparando qualcosa: detto attribuito a Solone (VI sec. a.C.) uno dei sette sapienti. Da ricordare a quanti, per ignoranza o malafede, pongono un termine anagrafico all’educazione, all’apprendimento, alla crescita degli individui. Che è permanente e sarebbe potenzialmente indefinita se non incontrasse il limite naturale della morte. Non per nulla Platone attribuisce a Socrate (nell’ Apologia), di fronte alla giuria che lo ha appena condannato alla pena capitale, queste parole: «Se poi la morte è una trasmigrazione da qui ad altro luogo, ed è vero quel che si dice, cioè che là dimorano tutti i morti, qual bene, o giudici, potremmo noi allora aspettarci maggiore di questo? Se, giungendo nell’Ade, dopo esserci liberati da questi qua che si danno il nome di giudici, si troveranno i veri giudici, quelli che anche là giudicano, Minosse, Radamànto, Eaco e Trittolèmo e tutti gli altri semidei che in vita furono giusti, sarebbe forse da disprezzare tale trasmigrazione? O al contrario, non sarebbe essa di tal valore da pagare qualsiasi prezzo pur di potere conversare con Musèo, Orfeo, Esiodo e Omero? Quanto a me, se tali cose sono vere, preferirei morire mille volte. Oh! quale meravigliosa conversazione sarebbe la mia quando mi imbattessi in Palamede e Aiace il telamonio e in qualche altro dei tempi antichi morto per ingiusto giudizio! Raffronterei la mia sorte alla loro; e ciò penso sarebbe per me motivo di dolcezza. E soprattutto amerei trascorrere il tempo ad esaminare ed interrogare quelli di là, come sono solito esaminare questi di qua, per scoprire chi di loro è sapiente e chi invece crede di esserlo e non lo è affatto. Quanto, infatti, non pagherebbe ciascuno di voi, o giudici, per interrogare colui che guidò l’esercito contro Troia, o Ulisse, o Sisifo, o tanti altri uomini e donne che potrei nominare? Quale inesprimibile beatitudine sarebbe parlare con loro, vivere in loro compagnia, esaminarli!»

Parole magnifiche, di splendida sapienza laica, per molti motivi. Perché immaginano il paradiso come nient’altro che la prosecuzione della passione che ha riempito la vita di un uomo nell’ al di qua; il suo crescere e rinnovarsi all’infinito: il dèmone della ricerca, dell’indagine, della scoperta intellettuale. Non c’è in questo oltremondo immaginato da Socrate niente che assomigli a quello delle varie credenze e religioni rivelate: vale a dire l’aspettativa di una realizzazione definitiva e assoluta, di una pienezza divina che si rivela, colma il vuoto dell’imperfezione e appaga una volta per sempre il desiderio nella sua soddisfazione, il movimento nella stasi. No: questo al di là è la perpetuazione di quel desiderio e di quel movimento. Sempre perfettibile e desiderante: perciò umano ed esaltante. Il cammino che sostituisce la meta.

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Dice Euripide per bocca di Fedra (nell’Ippolito): «sembra che gli uomini agiscano per il peggio non per difetto naturale della loro ragione: molti infatti sono bensì forniti di senno, ma bisogna considerare che noi conosciamo e comprendiamo il bene, ma non ci sforziamo di attuarlo, gli uni per inerzia, altri perché prepongono al bene una qualche altro piacevole vizio.»       Quanto ciò sia vero lo si osserva talvolta particolarmente in certe persone che, pur dotate di una intelligenza brillante o persino geniale, sperperano questo loro patrimonio – lo sottraggono cioè al possibile beneficio degli altri – asservendolo a una loro manìa o tara o debolezza (ideologica, sentimentale, caratteriale): una patologica libido che cattura, assorbe, distorce quello speciale talento come uno specchio deformante risucchia la bellezza di un volto nel vortice della sua caricatura.

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Risultati immagini per alfonso berardinelli Risultati immagini per valerio magrelli

Sentivo dire ieri in Tv da Valerio Magrelli che la poesia è suprema sintesi di senso e di suono: un binomio inscindibile, un sinolo virtuoso che non ammette la rinuncia ad una delle due componenti. Perfettamente d’accordo. Poi però mi capita di leggere molta poesia contemporanea che (mi) sembra sfuggire a questo incontestabile assioma, perché caratterizzata da un linguaggio criptico, disancorato da ogni certezza semantica; una poesia completamente arresa a un ermetismo esoterico, autistico, anticomunicativo, incapace – per me – tanto di significare quanto di evocare. Insomma: una poesia che non riesce a trasmettermi, nonostante tutti i miei sforzi, lo straccio di un idea né di un emozione. Una poesia incomprensibile e scoraggiante nella sua incomprensibilità. Forse la colpa è mia – mi sono detto –: sono poco addestrato a intendere l’evoluzione ultima di questo linguaggio artistico, sono rimasto irrimediabilmente indietro. Poi, girovagando sul web, ho trovato sull’argomento una autorevole riflessione di Alfonso Berardinelli (scritta una ventina d’anni fa, ma attualissima) e mi sono un po’ riconfortato. E ho capito anche meglio perché mai tanta poesia contemporanea non venga più da nessuno commentata. Perché è – semplicemente – incommentabile: nessuno si azzarda a decifrarne le oscurità oracolari, solipsistiche, impenetrabili e pertanto irriducibili a qualsiasi onesta parafrasi.

Ecco uno stralcio dell’articolo di Berardinelli:

« La debolezza, l’opacità comunicativa, l’oscurità o, più precisamente, l’inconsistenza semantica di molta poesia di oggi deriva dal fatto che quella piccola cerchia di lettori fa finta di capire, o accetta il fatto che non venga detto quasi niente e che non ci sia quasi niente da capire. Il paradosso è questo: la fuga dal significato viene accettata dogmaticamente come significativa, e così l’oscurità e problemi comunicativi interessanti, anzi li annulla, li scavalca.

Eliminando dal linguaggio poetico tutta una serie di funzioni linguistiche legate al significato e alla comunicazione, la poesia non corre più nessun rischio. La sua diventa un’esistenza ipotetica, virtuale, larvale, non reale. E il codice del non-significato è diventato ormai un codice fissato rigidamente. Lo svuotamento semantico è oggi e da tempo una delle regole fondamentali che creano fra cosiddetti poeti e critici una specie di complicità, di omertà.

La poesia non si confronta con niente che stia al di fuori di essa: con nessun altro linguaggio e ambito culturale. Il valore della produzione poetica degli ultimi vent’anni (parlo degli autori che hanno fra i trenta e i cinquant’anni) è assai scarso proprio per questa mancanza di coraggio e di energia comunicativa. Si tratta per lo più di poeti (simil-poeti) che cercano di farsi accettare semplicemente non facendo niente che possa farli rifiutare.

 Certo, nella poesia possono esserci delle zone di oscurità e di difficoltà, perché la letteratura è anche una sfida ai significati stabiliti e accettati. Ma credo che ora il gergalismo poetico abbia toccato limiti intollerabili, ridicoli e si tratta di tornare, se si è in grado di farlo, a parlare in poesia di tutto, senza limitazioni preliminari. Del resto, la migliore poesia delle generazioni precedenti lo aveva fatto: da Pasolini e Caproni a Sereni… Sarebbe il caso di ripartire da zero, senza escludere a priori nessun tipo di linguaggio e nessun ambito di esperienza.»

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