Dài una bandiera a un folle e la userà come un’arma. Anche contro di te.
La più sconcertante stupidità e abiezione di quanti vivono nel pregiudizio consiste in una infrangibile presunzione di intelligenza. Che sussiste e si rafforza solo condividendo il pregiudizio con altri individui, altrettanto stupidi e abietti. Perciò il pregiudizio, se non è diffuso, deve almeno – per sopravvivere – essere settario: non riuscirebbe mai, come la verità, a camminare sulle gambe di un eroe solitario.
Bisogna riconoscere al pensiero politically correct almeno un pregio: quello di predicare tra una massa di bruti un vangelo di bugie o di mezze verità utili, talvolta, ad alleviare qualche nostra inutile pena.
Amore è parola grande e preziosa e nobile che ne contiene molte altre, molto più piccine, vili, ignobili, persino indicibili.
A una persona dalle belle parole preferisco le parole di una bella persona.
A teatro, sere fa. I miei studenti recitavano l’Andromaca di Euripide. Stare a teatro (quando si fa buon teatro) è l’esperienza di un confine magico: quello tra la realtà e la verità. Noi, spettatori, – al di qua di quel confine – sprofondati (stretti nelle nostre poltroncine, soffocati dai nostri vestiti) nella penombra della realtà. Loro, gli studenti-attori, trasfigurati nella luce della verità, liberi di muoversi fuori dal tempo e dallo spazio in cui noi eravamo imprigionati. Ragazzi e ragazze che vedevo tutti i giorni ridere, strillare, scartocciare merendine, sfogliare libri, spettegolare, litigare… lì erano diventati carne e sangue, volto e voce di archetipi delle passioni e della sofferenza umana: Andromaca, Ecuba, Ermione, Menelao, Peleo. Altri da sé. Così, come straniati ciascuno, ma con tutto se stesso, nell’estasi del mito.
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