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Archive for marzo 2012

È un grave errore credere che la grande letteratura si nutra necessariamente di buoni e nobili sentimenti. Esatta prova del contrario ne sono decine di ottimi autori che hanno trovato nel risentimento, nell’odio, nel rancore, nell’irrisione, nell’umore tetro ecc. le loro muse ispiratrici. Anzi la letteratura dei buoni e dei nobili sentimenti è quella che rischia più di ogni altra di partorire opere (come avrebbe detto il vecchio Croce) di oratoria piuttosto che di poesia. Io direi – ponendomi dalla parte del lettore – ancora di peggio: rischia di produrre opere che alimentano soprattutto l’ipocrisia di fruitori benpensanti (siano essi religiosi o laici, bigotti o radical chic) e che non giovano più che tanto ad illuminare il sottosuolo torbido della realtà umana.

Corrono questo rischio tutte quelle opere che tendono a rappresentare l’uomo non come è ma come (si presume che) dovrebbe essere. Qualche esempio famoso tra molti: la commedia di Menandro e (in minor misura) del suo emulo latino Terenzio tra gli antichi; il Manzoni di alcune parti dei Promessi Sposi tra i moderni; in generale corrono questo pericolo tutti quegli autori che più e meno consapevolmente rifiutano l’autonomia dell’arte attribuendole una funzione edificante e civilizzatrice, se non proprio ideologica.

Chi assiste a una commedia di Menandro e osserva il vecchio misantropo aprirsi alla humanitas è tentato perciò da una finta e deteriore catarsi: non si specchia cioè crudelmente nelle sue proprie inconfessabili bassezze, ma crede altresì inevitabilmente di essere generoso come i giovani salvatori dell’anziano scorbutico; o quantomeno si rafforza nella convinzione che egli non potrà mai essere come il misantropo così meschinamente lento e restìo alla generosità e alla solidarietà … Insomma la letteratura dei buoni sentimenti offre al lettore medio uno specchio non veritiero ma lusinghiero e ruffiano nel quale riflettersi. L’effetto possibile non sarà – a dispetto delle intenzioni – la reale crescita umana e morale del lettore ma semplicemente il rinforzo dell’alto e falso concetto che egli nutre di sé, cioè l’incremento della sua ipocrisia benpensante.

Il tipico effetto che – su di un gradino più basso – perseguono deliberatamente (e non per caso) tanti programmi di vasto consumo della nostra televisione, come gli sceneggiati di RaiUno (pieni di preti e di ragazze madri redente) o certi salotti buoni della Terza Rete.

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CAVETE, MANSUETI MARES!

Ogni maschio buono, intelligente, conciliante è destinato prima o poi ad incontrare sulla sua strada una femmina prevaricatrice, aggressiva, intransigente (non necessariamente molto intelligente) che nutrirà verso di lui una irresistibile libido predatoria. Tenga dunque egli, cammin facendo di sua vita, gli occhi bene aperti.

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FABULA GALLINACEA DOCET

Sempre meno becchime e sempre più scadente. Sempre minore pulizia nelle stie ridotte ad un merdaio puzzolente. Sempre più numerose, strette come sardine, dentro anguste gabbie sgangherate e putrescenti: così il padrone teneva da un po’, senza pietà, le galline ovaiole – un tempo vanto dell’intera fattoria – per via, diceva, della concorrenza gallinacea del lontano oriente. E quelle, temendo che il capo tirasse presto loro il collo per dedicarsi ad altra e più lucrosa attività, pensaron bene, sotto il saggio consiglio di talune fra loro, saccenti e pettorute, di mettersi a deporre più uova del dovuto. Non era facile, senza l’apporto di carboidrati, sali minerali e vitamine. Ma sempre meglio che finire dal beccaio. E poi le saccenti e pettorute andavan ripetendo che poteva fare all’uopo, al posto del becchime ormai carente, la merda secca, assai più nutriente – se lasciata fermentare – dell’infido mangime padronale. Fu così che molte di loro presto schiattarono, di malattia e di stenti. Le superstiti, comprese le saccenti, finirono nude in vetrina, nel reparto del pollame. Il padrone chiuse il pollaio. E il ricavato dell’ultima, miracolosa produzione di uova servì a pagare la ditta chiamata a demolirlo per far posto a una lussuosa e agrituristica piscina.

 La favola insegna che …. non saprei; direi che forse insegna molte cose; fate voi, a vostro piacimento.

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DE AMICITIA

 

Sonoramente piangono tre amici

 

per la pelle la improvvisa dipartita

 

di un quarto, amato compare

 

di bisca e di taverna, deplorano

 

l’età ancor giovine, la simpatia

 

calda di lui, i figli ancora

 

agli studi, la vedova casalinga

 

senza un lavoro e l’indulgenza

 

di lui misurata e sovrana

 

al fascino indiscreto del bicchiere,

 

e poi la saggezza e l’impagabile sua

 

cordialità umana. Ma di tutto questo

 

– pensano fra sé – sapranno consolarsi

 

prima o poi più di leggieri che del fatto

 

– irreparabile e crudele torto

 

inflitto loro dal destino – che d’ora

 

in poi dovranno sempre e soli, in tre,

 

giocarsela a tresette con il morto.

 

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DESCENSUS AD BARBARIEM

Quando una civiltà, superato l’apice del suo progresso civile e culturale, imbocca a ritroso la discesa verso la barbarie, allora sente che il patrimonio di idee grandi e di parole nobili e belle che ha accumulato sulle sue spalle è diventato improvvisamente un fardello ingombrante e intollerabile e si adopera ad escogitare mille pretesti, più e meno sfacciati o astuti, per liberarsene.

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