È un grave errore credere che la grande letteratura si nutra necessariamente di buoni e nobili sentimenti. Esatta prova del contrario ne sono decine di ottimi autori che hanno trovato nel risentimento, nell’odio, nel rancore, nell’irrisione, nell’umore tetro ecc. le loro muse ispiratrici. Anzi la letteratura dei buoni e dei nobili sentimenti è quella che rischia più di ogni altra di partorire opere (come avrebbe detto il vecchio Croce) di oratoria piuttosto che di poesia. Io direi – ponendomi dalla parte del lettore – ancora di peggio: rischia di produrre opere che alimentano soprattutto l’ipocrisia di fruitori benpensanti (siano essi religiosi o laici, bigotti o radical chic) e che non giovano più che tanto ad illuminare il sottosuolo torbido della realtà umana.
Corrono questo rischio tutte quelle opere che tendono a rappresentare l’uomo non come è ma come (si presume che) dovrebbe essere. Qualche esempio famoso tra molti: la commedia di Menandro e (in minor misura) del suo emulo latino Terenzio tra gli antichi; il Manzoni di alcune parti dei Promessi Sposi tra i moderni; in generale corrono questo pericolo tutti quegli autori che più e meno consapevolmente rifiutano l’autonomia dell’arte attribuendole una funzione edificante e civilizzatrice, se non proprio ideologica.
Chi assiste a una commedia di Menandro e osserva il vecchio misantropo aprirsi alla humanitas è tentato perciò da una finta e deteriore catarsi: non si specchia cioè crudelmente nelle sue proprie inconfessabili bassezze, ma crede altresì inevitabilmente di essere generoso come i giovani salvatori dell’anziano scorbutico; o quantomeno si rafforza nella convinzione che egli non potrà mai essere come il misantropo così meschinamente lento e restìo alla generosità e alla solidarietà … Insomma la letteratura dei buoni sentimenti offre al lettore medio uno specchio non veritiero ma lusinghiero e ruffiano nel quale riflettersi. L’effetto possibile non sarà – a dispetto delle intenzioni – la reale crescita umana e morale del lettore ma semplicemente il rinforzo dell’alto e falso concetto che egli nutre di sé, cioè l’incremento della sua ipocrisia benpensante.
Il tipico effetto che – su di un gradino più basso – perseguono deliberatamente (e non per caso) tanti programmi di vasto consumo della nostra televisione, come gli sceneggiati di RaiUno (pieni di preti e di ragazze madri redente) o certi salotti buoni della Terza Rete.