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Archive for novembre 2013

Non c’è Bildungsroman più politicamente formativo e più squisitamente tragico del Pinocchio di Collodi. Perché nessun altro rappresenta così bene, prima di Freud, la sottomissione della natura a un ordine artificiale come il più crudele e intollerabile ma anche come il più necessario e benefico dei mali.

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Più autenticamente ricchi degli altri sono solo coloro che, più degli altri, hanno sofferto e sbagliato. Purché di sofferenza e d’errore abbiano fatto tesoro, non recriminazione.

Talmente rara è la gratuità nei rapporti umani che anche quando – per caso e indubitabilmente – essa si manifesta, desta il sospetto che chi la eserciti si senta, più e meno consapevolmente, in debito con la propria coscienza.

In Italia i privilegi propri sono diritti, i diritti altrui privilegi.

Non può (come vorrebbe invece Platone) un sottoposto o cittadino esemplare (cioè intelligente, zelante, onesto, competente ecc.) ambire con successo a diventare un capo o un politico, perché le qualità che si richiedono al capo e al politico di successo sono – soprattutto da noi – perfettamente antitetiche a quelle del sottoposto e del cittadino esemplare.

Più nociva di una pessima educazione è soltanto la delegittimazione esterna dell’educatore agli occhi dell’educando.

Il peggiore (e più infantile) delirio è quello di chi presume che il mondo sia fattibile e/o ordinabile ad immagine e somiglianza del proprio cervello.

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La scrittura artistica è effetto di combustione. E la combustione avviene fintantoché si sviluppa un processo, lento o rapido, di reazione tra elementi chimicamente conflittuali del vissuto dell’autore; un processo attraverso il quale si perviene alla consumazione (per distruzione reciproca) delle sostanze che alimentano il conflitto e la loro conversione in quel qualcosa d’altro (di sorvegliato e d’ innaturale) che è la fiamma fredda della forma.

La scrittura artistica è, in altri termini ancora, effetto (tachi- o bradisismico che sia) di uno scontro tettonico di zolle che collidono sopra il magma semiconscio del vissuto interiore: la lava che può sprigionarsene può diventare preziosa materia della creazione artistica se solo si riesca a incanalarla verso una plastica, controllata solidificazione.

Conciliazione ed armonia si danno, nell’arte, solo nella percezione ‘superficiale’, cioè estetica,del prodotto finale. Nel senso che, se quei conflitti che presiedono alla creazione artistica si componessero, per caso, prima – sul piano psicologico, esistenziale, razionale – di quella solidificazione ultima, allora verrebbe meno il presupposto stesso della creazione artistica. Si inaridirebbe cioè la sua fonte di ispirazione.

Soffrire una tensione o una conflittualità interiore senza rimedio, dunque, è la precondizione necessaria (non sufficiente) di una scrittura autenticamente poetica.

Se Tucidide non avesse sentito collidere dentro di sé la propria antica educazione aristocratica con le leggi della natura e della politica che la sua implacabile razionalità andava scoprendo, non avrebbe mai regalato all’umanità il ‘terribile’ Dialogo dei Meli.

Se Lucrezio (sempre il nostro Lucrezio) avesse scritto davvero il De rerum natura per il solo scopo – quello dichiarato – di divulgare in versi la filosofia epicurea, e non avesse invece bruciato in quel poema tutte le energie della sua lotta interiore fra le proprie intime, preesistenti e resistenti angosce e lo spasmodico desiderio di placarle nell’irenico specchio della sua nuova fede, probabilmente non avrebbe mai scritto un capolavoro, ma uno dei tanti, insignificanti poemi didascalici – non per caso naufragati – dell’antichità.

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Qualcuno dirà: «E che fare di quegli alunni che senza botte non si possono costringere a studiare?». Rispondo semplicemente: e che faresti agli asini e ai buoi se venissero a scuola? Non li scacceresti in campagna e agli uni faresti girare la macina, agli altri tirare l’aratro? Ci sono infatti uomini nati per il mulino o l’aratro non meno di asini e buoi. «Così però la classe si assottiglia e con essa anche il guadagno!» E allora? Bel guaio. Ecco la causa dei piagnistei. Meglio il guadagno, per quei maestri, che il profitto degli allievi. Ma i più dei maestri sono fatti così. Lo ammetto […] è molto più facile descrivere come debba essere idealmente il maestro che trovarne molti che corrispondano al modello.

(Erasmo da Rotterdam, De pueris statim et liberaliter instituendis [= Per una precoce e libera educazione dei ragazzi ], Bur-Rizzoli, Milano 2004, p. 155; trad. di L. D’Ascia, con ritocchi)

Oddìo! Chi ha scritto queste dozzinali, retrograde frasi sugli insegnanti, sui poveri ragazzi, contro il diritto allo studio nella scuola dell’autonomia, contro le nuove pedagogie? Quale sprezzante accanimento! Mi dissocio, prendo fermamente le distanze, sono scandalizzato… Deve essere un reazionario della peggiore risma, un microcefalo, uno spocchioso elitario. Uno di quegli scribacchini in cerca di pubblicità nei giornalacci di casa nostra. Ma come? Le ha scritte Erasmo da Rotterdam? Non ci posso credere. Qui bisogna tacitare e silenziare. Ma sì, dopotutto è vissuto cinque secoli fa: che cos’ altro ci si poteva aspettare? E poi è proprio vero che gli ingegni più grandi e illuminati quando parlano di scuola rappicciniscono miserevolmente….

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