Un politico che, per pura ipotesi, provocasse – prima – di sua iniziativa la crisi di un governo in cui ha sempre spadroneggiato sui suoi alleati e si atteggiasse – poi – a vittima di tradimenti, ribaltoni e congiure di palazzo, mi somiglierebbe molto ad un marito che, dopo aver tiranneggiato, tradito e infine cacciato di casa la consorte, si lamentasse poi che quella abbia immediatamente trovato un nuovo partner.
In Italia ha vinto, vince e vincerà sempre di volta in volta le elezioni quel partito che mostra di voler garantire impunità perpetua o quasi a quel 35% circa di evasori fiscali (ovvero sedicenti o immaginarie vittime del fisco) che da sempre, effettivamente, nel nostro paese comanda. Durerebbe pochissimo quel governo che per avventura o per sbaglio contrastasse questo potere effettuale.
I politici oggi sulla breccia confrontati con quelli di quando ero ragazzino (anni 60 e 70) commettono forse, più e meno, le medesime porcate, ma hanno smarrito ogni stile, ogni cultura, ogni idealità che non dico santifichi, ma giustifichi e indirizzi la loro prassi. Soprattutto è svanita ogni aureola esiodea di pudore e di vergogna che renda sostenibili alla vista le loro belle facce di … [Cara, vecchia ipocrisia democristiana…!]
I politici di oggi sono sì rapidamente biodegradabili, come i nuovi sacchetti della spazzatura, (e questo mi dà un ingannevole senso di sollievo) ma anche e purtroppo disperatamente interscambiabili: insomma tutti nella pratica (cioè nella loro prassi) sono uguali o assai simili. Forse perché la politica vera non esiste quasi più, soggetta come è a schiaccianti diktat economici planetari rispetto a cui bisogna o assentire o fingere di dissentire, i politici di oggi si differenziano tra loro soltanto fino al giorno delle elezioni. Corrottissimi allievi del marketing elettorale loro insegnato dai nuovi sofisti della comunicazione, quando vanno al potere non sanno o non possono fare quasi nulla per risolvere concretamente i maggiori problemi nazionali. Salvo apparire ogni giorno in tv da guitti e da istrioni, o pronunciarsi ogni momento sui nuovi media per promettere di risolverli. [Cara, vecchia, sobria, regolatissima, persino laconica tribuna politica di mezzo secolo fa!]
In questo momento i diritti civili (importanti) sono brioches, quelli economici e sociali (fondamentali) il pane. Non potendo nulla o quasi per garantire un’equa distribuzione del pane, i politici nostrani si accapigliano più spesso e più volentieri intorno alle brioches. Su questo almeno (sui gusti e sulle varietà delle brioches) ci si può distinguere con qualche tornaconto (dei politici) senza mettere le mani nelle casse dello stato…
Se la qualità della classe politica dipendesse dal grado medio di sviluppo, di scolarizzazione e di informazione della società che i politici rappresentano, allora i politici di adesso dovrebbero in teoria distanziare di anni luce i vari De Gasperi, Nenni, Togliatti. Siccome in pratica succede esattamente l’opposto, cioè che i politici di adesso non sarebbero degni neanche di lustrare le scarpe ai loro predecessori (pur non immacolati) degli anni ’50 e ’60 ecco che ne discenderebbe, paradossale ma automatica, la desolante deduzione che sviluppo, scolarizzazione di massa, informazione sono fattori di barbarie anziché di civiltà.
Se penso al significato estensivo della parola politica come « Linea di condotta accorta e astuta al tempo stesso, caratterizzata dalla capacità di destreggiarsi abilmente nelle situazioni e nei rapporti con gli altri: bisogna agire con un po’ di p.; ci vuole p.; è un uomo che ha molta p. ecc.» (Treccani, Vocabolario online, s.v.) faccio fatica a riconoscervi i recenti, giovani mattatori della nostra scena pubblica: personaggi – tutti – di un’astuzia miope e di un demagogismo scoperto e miserevole, essi rimangono imprigionati nella loro iniziale e precaria immagine vincente al punto da ruinare con essa e per essa, del tutto incapaci di liberarsene con una onesta e coraggiosa ammissione di colpa o di errore. Più che la volpe di Machiavelli mi ricordano il Pellegrino di Luciano di Samosata, il santone impostore che, per rimanere fedele alla maschera di eroe spregiatore del dolore e della morte con cui si era guadagnato il favore del popolino, è costretto alla fine a gettarsi nel fuoco.
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