Non so se Alessandro Barbero sia il migliore storico italiano in assoluto. Sicuramente ce ne sono molti altri altrettanto bravi in circolazione. E tuttavia lo storico piemontese è diventato da tempo e strameritatamente un beniamino del pubblico. Cura e conduce varie trasmissioni e rubriche della Rai, è ospite ed esperto in vari programmi televisivi, spopola sul web in conferenze e video con centinaia di migliaia di visualizzazioni. Un fenomeno culturale e mediatico che suscita qualche (e non banale) riflessione.
Barbero ha successo non solo perché, ovviamente, è competente nella sua materia ma soprattutto perché è comunicativo. Sa cioè tradurre in maniera appetibile, piacevole e interessante per un pubblico medio la sua ampia preparazione specialistica. In una parola Barbero sa insegnare al meglio quello che sa. È l’antica (e per molti trita e persino superata, in realtà sempre valida) formula magica dell’insegnamento.
Barbero espone interpretando quello che dice. E quando parlo di interpretazione non intendo solo che egli rielabora e spiega i fatti che narra collegandoli nei giusti rapporti di causa ed effetto, contestualizzandoli e articolandoli a dovere, ma anche che li sente e li rivive in maniera personale, e li trasmette con un pathos ed una partecipazione inconfondibili.
Barbero tuttavia – va sottolineato – non è propriamente né un attore, né un tribuno, né un intrattenitore di professione. Piuttosto possiede naturalmente, insieme alla competenza dello studioso, un po’ di tutte le abilità retoriche che sono proprie di questi mestieri.
Chi conosce l’eloquenza antica e i suoi ferri del mestiere riconosce in lui facilmente la speciale congenialità con almeno un paio di arnesi tipici di quell’arte: il delectare e l’agere. Vale a dire: la capacità di coinvolgere l’ascoltatore con una affabulazione brillante e colorita (delectatio), spesso attualizzante e non di rado divertente, di fatti e personaggi remoti e di per sé poco adatti a suscitare curiosità ed empatia; e poi la capacità di valorizzare quella narrazione con una gestualità (actio) energica e inimitabile. La convergenza di queste due qualità produce, come per reazione chimica spontanea, un notevole effetto di coinvolgimento: è quello che gli antichi chiamavano il movere, cioè la sollecitazione della componente emotiva dell’ascoltatore. Chi lo ascolta non può rimanere indifferente. Ma non perché sia adescato da un abile incantatore di serpenti che persegua a freddo quell’incantesimo con tutti i trucchi e gli strumenti del suo consumato mestiere. No. In realtà Barbero diverte e appassiona e coinvolge semplicemente perché egli per primo è divertito, appassionato e coinvolto dalle cose che narra.
Qui sta la differenza tra Barbero e un attore, un avvocato, un pubblicitario o un intrattenitore di professione: il suo è un talento oratorio naturale, spontaneo ed estemporaneo che si innesta e rampolla sopra la sua preparazione di studioso. Egli coinvolge e incatena il pubblico per contagio e per osmosi. Quasi preterintenzionalmente. In questo senso è, nel suo campo, un maestro: non perché sia – ripeto – uno storico necessariamente più bravo degli altri, ma perché sa meglio di altri – socraticamente – trasferire negli ascoltatori/allievi il dèmone che lo possiede. Un dèmone che ci provoca e ci interroga, non ci lascia inerti né apatici.
Il suo segreto è tutto qui.
Magari farebbe bene ai pedagoghi del ministero dell’istruzione riflettere sul fenomeno.
Forse si accorgerebbero che esso riempie un vuoto e soddisfa una esigenza: quella, che a torto essi (pedagoghi) ritengono irrimediabilmente tramontata e inattuale, di ascoltare un maestro. L’esigenza di assistere – come recita il titolo del bel libro di Recalcati – a un’ora autorevole di lezione.
Invece no. Loro (i pedagoghi di stato) vanno blaterando che oggi i ragazzi possono imparare da soli, raccogliendo e selezionando dal web le notizie che servono per inquadrare un argomento. In questa operazione il prof dovrebbe secondo costoro limitarsi a osservare e a guidare la loro ricerca dall’esterno, senza interferire troppo. Per questi profeti del self teaching tecnologico il prof e la sua bella lezione ex cathedra sono ormai roba da museo, e le capacità retoriche dell’insegnante ferri vecchi e arrugginiti da buttare. Salvo poi, ogni tanto, smentirsi e contraddirsi clamorosamente per reclamare, di fronte alle performance dantesche di un Benigni, altrettali capacità incantatorie dagli insegnanti delle nostre scuole.
Ma Barbero non è un attore né un incantatore. È semplicemente un professore esemplare (non ideale, per carità!). Uno che nel suo compito non può essere sostituito né surrogato da ricerche di gruppo sul web. Uno di cui i nostri studenti, specie gli adolescenti delle superiori alla ricerca spasmodica di guide culturali autorevoli e di riferimenti umani credibili, avrebbero disperato bisogno. Il bisogno di ascoltare maestri. Barbero – tanto per fare un esempio – ha tenuto incollati a una sua ricostruzione (dettagliatissima) sul sequestro Moro milioni di spettatori (dal vivo prima e poi su Youtube) per quasi due ore di fila. Una lunghissima lezione, una di quelle che in passato si sarebbero definite frontali, con un aggettivo incenerito oggi dalla scomunica del pedagogismo anglosassone alla moda. La cosa si commenta da sé. E mi suggerisce una modesta proposta da sottoporre ai signori che dirigono la scuola italiana.
In questi tempi di bene/male-detta DAD perché non offrire ai nostri studenti delle superiori, disorientati e smarriti nel caos educativo prodotto dalla pandemia, la chance di ascoltare liberamente online (oltre che il vero Alessandro Barbero) tutti gli altri “Alessandro Barbero” del proprio istituto (e non solo) che potrebbero interessarli e aiutarli di più? Non ci crederete, ma di prof come lui ce ne sono abbastanza nella nostra scuola superiore. Non la maggioranza, certo, anzi forse una contenuta minoranza. Ma sono più numerosi di quanto si immagini.
I prof che lo desiderano potrebbero insomma registrare le loro lezioni frontali che ritengono più riuscite e più utili e metterle a disposizione di tutti gli studenti del proprio istituto (e non solo). Così tutti i ragazzi avrebbero opportunità di confrontare e integrare le lezioni che seguono (e devono continuare a seguire) in classe con quelle di altri prof. Si sfumerebbero così – senza abbatterli – i confini rigidi tra le classi: e tutti gli alunni potrebbero virtualmente imparare da tutti i prof e tutti i prof insegnare virtualmente a tutti gli alunni. Il tutto a costo quasi zero. E con la possibilità anche di valorizzare e incentivare i prof migliori per quello che valgono didatticamente, non tanto per i servizi logistici e burocratici aggiuntivi che sono disposti o condannati a sobbarcarsi.
Per capirci: il prof più visualizzato e seguito riceverà un bonus premiale. Non solo quelli (come è successo finora) che si attivano per l’open day, per le gite scolastiche e per l’alternanza scuola-lavoro, ma anche e soprattutto quelli più bravi e più apprezzati dagli studenti. Semplice no? (quantomeno a dirsi…)
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