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Posts Tagged ‘alternanza scuola lavoro’

Si sa che parole singolari astratte assumono in certi casi, al plurale, un significato diverso: fortuna/fortune; bene/beni; amore/amori, tanto per fare qualche esempio. Il plurale è sempre più concreto e pragmatico, talvolta meno nobile ed elevato del singolare. La stessa cosa accade per educazione/educazioni. Quando è declinato al plurale questo termine sottintende sempre aggettivi che lo specificano e lo circoscrivono subordinandolo a scopi meno generali e meno alti, direi, del singolare senza aggettivi. C’è dunque l’educazione e ci sono varie educazioni, ciascuna mirata a istruire o a catechizzare gli educandi a certe idee, comportamenti o abilità in uno specifico ambito.

Sentivo stamane in radio un economista che reclamava l’urgente introduzione di una educazione finanziaria nella nostra scuola. Non passa giorno che qualcuno non esiga a gran voce diritto di cittadinanza nella nostra istruzione per una qualche educazione con aggettivo al seguito: musicale, cinematografica, teatrale, stradale, sanitaria, ambientale, alimentare, sessuale, digitale, e molte altre ancora.

Intanto il ministero ha già recepito e imposto (ma temo sia solo l’inizio…) almeno due di queste educazioni: quella civica, che esisteva già prima, ma era una semplice e (ingiustamente) trascurata appendice dell’insegnamento disciplinare della storia, e quella aziendalistica, camuffata dietro le sigle dell’Alternanza Scuola-Lavoro (ASL) e dei Percorsi Trasversali per le Competenze e l’Orientamento (PTCO).

Trasversale è nel nostro caso la parola magica. La chiave di volta della rivoluzione didattica che si vuole attuare imponendo da un anno all’altro queste educazioni. Sia la nuova Educazione civica che l’Alternanza, infatti, sono concepiti dal ministero non come discipline da aggiungere alle tradizionali, ma come percorsi (altra parola magica) che intersecano (attraversano> infilzano > trafiggono) tutte le varie discipline. Tutte le discipline devono insomma concorrere, subordinandovisi, alla educazione civica e a quella aziendalistica, ciascuna pagando il pegno di un bel gruzzolo di ore sottratte alla normale attività programmata e inventandosi attinenze fantasiose e improbabili con le finalità superiori di ciascuna educazione. Il sottofondo ideologico comune rimane, con tutta evidenza, la interdisciplinarietà. Un totem che circola nella pedagogia ministeriale da oltre sessant’anni ma che continua ad essere spacciato nella scuola reale come il non plus ultra della modernità, benché venga attuato nelle nostre aule in forme spesso degradate, fuorvianti e caricaturali.

Una interdisciplinarità così intesa si sposa in effetti a meraviglia con la proliferante pluralità delle educazioni. Ne diventa il lievito potente, fecondante. Capace di pompare potenzialmente l’importanza e la misura oraria delle nuove educazioni fino a coprire tutto il campo dell’attività didattica, o quasi.

In soldoni: se la scuola accoglierà una ad una nel suo grembo (ma come potrà non farlo se vuole adeguarsi alle esigenze di una istruzione utile, pratica ed attuale?) tutte le educazioni che reclamano di essere adottate, il tempo per insegnare le discipline tradizionali, prima o poi, non esisterà più.

Inutile negarlo: se questo accadrà, si avvererà una vera rivoluzione. La scuola che uscirà da questo totale rivolgimento sarà completamente altra rispetto a quella che noi conosciamo e che molti di noi anzianotti hanno frequentato: in questa nuova scuola le conoscenze disciplinari saranno disfatte, diluite, smembrate, sfrittellate, sfarinate e infine travasate dentro i contenitori delle educazioni. Saranno al servizio di un sistema di insegnamento tutto rivolto all’utilità immediata. Sarà una scuola delle istruzioni per l’uso, per capirci. Perché le educazioni hanno più o meno tutte nel mirino lo sviluppo delle famigerate e mai ben identificate competenze.

Beninteso: se davvero tutti oggi vogliono (politici, famiglie, società) una scuola così, se si ritiene che la scuola delle discipline non serva più a nessuno, se si pensa che Leopardi e Hegel e Machiavelli e le matematiche e la fisica classiche ecc. debbano finire nella spazzatura o porsi al massimo (e non si sa bene come) al servizio delle varie educazioni (stradale o alimentare ecc.) ebbene si metta allora mano al bulldozer e si proceda a demolire dalle fondamenta la vecchia scuola liceale. Si faccia con coraggio e subito piazza pulita delle materie tradizionali.

Sia chiaro: personalmente ritengo questo progetto di ‘scuola del prêt à porter’ un vero delitto di cui ci si dovrà presto pentire.

E tuttavia preferirei vederlo consumato, questo delitto, senza esitazioni e fino in fondo, con una riforma drastica e cruenta, piuttosto che assistere alla prolungata agonia della scuola delle discipline.

Per effetto di queste riforme striscianti i licei in particolare (e non per caso) sono infatti da anni impantanati in un drammatico guado. Non sono più carne e non sono ancora pesce. Si trascinano in questa lenta e travagliata metamorfosi, costretti a reggere il peso doppio del loro impianto tradizionale e delle insopportabili sovrastrutture ‘moderne’ imposte da un anno all’altro dalle riforme ministeriali o inventate dalla fantasiosa inventiva degli istituti autonomi.

Nei licei infatti si insegnano ancora, ormai più male che bene, le vecchie discipline. Ma a loro danno reclamano ormai un sempre maggiore spazio, in nome dell’attualità e della ‘progettualità’ e sotto molteplici e variopinte etichette, proprio le varie educazioni. Una presenza sempre più invadente, soffocante. Una vera e propria metastasi.

Il risultato, al momento, è un ircocervo, un organismo ibrido ed elefantiaco. Qualcosa, ripeto, che non è più e non è ancora. Un essere sofferente che non riesce, per la sua stessa mole mostruosa e iper-obesa, a muoversi e ad operare.

La conseguenza didattica è, etimologicamente, tremenda: incalzati nell’immediato dalle verifiche tradizionali e preoccupati a lungo termine dall’esame di stato, gli studenti liceali di oggi (anche i più seri e volenterosi) non riescono più ad assimilare decentemente i contenuti delle vecchie discipline, costretti come sono a occuparsene in tempi sempre più stretti e in modo vieppiù frettoloso e superficiale. Il tempo della lezione e del lavoro domestico infatti è sempre più dominato dalle esigenze e dalle incombenze della progettualità e delle nuove educazioni. Se a questo aggiungiamo il tantissimo tempo che i ragazzi di oggi dedicano, fuori dalle aule, a molteplici attività organizzate (sportive, ricreative ecc) e soprattutto quello che sperperano sugli smartphone e sui social, allora la frittata strapazzata (dell’apprendimento disciplinare) è fatta.

Signori della Minerva, abbiate pietà! Aiutate il vecchio liceo a morire, al più presto, con tutte le sue decrepite e fragili discipline. Non fatelo soffrire oltre. Spazio, subito, alle giovani educazioni…

(Però uno dubbio mi rimane: quando la matematica e la storia saranno decedute, come si farà a spiegare matematicamente, nelle ore di educazione civica, i sistemi elettorali? E come si spiegherà storicamente la storia della rivoluzione industriale nelle ore dell’alternanza scuola-lavoro? Giro queste stupide domande ai lettori…)

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Cari studenti, perdonatemi, ma ancora una volta non mi convincete del tutto. Avete ricominciato a muovervi sulle piazze ancora una volta col piede (almeno uno dei due) francamente sbagliato… E dire che stavolta mi ero illuso, vedendovi prendere di petto, nelle vostre proteste, uno dei guasti più seri (tra diversi altri) che il ministero ha inflitto alla scuola superiore negli ultimi anni: la famigerata ASL, l’Alternanza Scuola Lavoro.

Per quello che mi riguarda, in questo blog ho già criticato più volte e aspramente la ASL.

Ritengo infatti che la ASL, imposta a tutte le scuole superiori per legge (la 107, detta anche “Buona Scuola”), sia stato un duro colpo inferto all’autonomia e alla continuità didattiche della scuola liceale. La presunta (e in astratto nobile) esigenza di interconnettere il mondo scolastico con quello lavorativo e imprenditoriale ha, nella realtà molto meno virtuosa dei fatti, introdotto a forza nell’organismo già sofferente della scuola (al solo scopo di compiacere Confindustria & c.) un ingombrante corpo estraneo che produce grave intralcio e ulteriore paralisi nella attività didattica corrente. Questa ‘Alternanza’ si realizza infatti, fondamentalmente, in un paio di fasi. Prima si ricava nell’orario di insegnamento (a scapito quindi, ancora una volta, della lezione ordinaria) uno spazio di molte ore per svolgere un approfondimento sulla storia del lavoro o dell’impresa o del commercio, o sulla attività produttive del proprio territorio ecc. Insomma, si tratta ancora una volta di progetti monografici (ultimamente ribattezzati PCTO = Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento) estranei ai programmi di ciascun corso di studi e calati tra capo e collo di studenti e insegnanti. Poi, in un secondo momento, gli studenti vengono smistati per un consistente numero di ore (in buona parte rubate alle lezioni o quantomeno allo studio domestico ordinario) presso un qualche ente pubblico o una qualche azienda privata per svolgere uno stage lavorativo. Ora, se parliamo di scuole tecniche e professionali, questi stage sarebbero, almeno in teoria, ben giustificati: nelle esperienze di stage i ragazzi dei tecnici sperimentano infatti concretamente (dovrebbero almeno sperimentare…) il mestiere per il quale sono stati teoricamente preparati a scuola. Ma per gli alunni dei vari licei le cose stanno in ben altro modo: la preparazione teorica e culturale fornita da questo tipo di scuole si scontra con gran parte delle esperienze lavorative concretamente possibili nella alternanza scuola-lavoro. Studenti di matematica, fisica, storia, latino, filosofia si trovano alle prese per lo più con attività di stage che non hanno nulla a che fare con le materie che studiano, catapultati quindi in un contesto loro estraneo e in una esperienza prematura, visto che sarà per loro solo l’università ad indirizzarli ad una scelta professionale.

Spessissimo, quindi, succede nei licei che la ASL significhi per gli studenti soltanto una insulsa perdita di tempo speso a oziare o a lavoricchiare in uno studio di un notaio, di un dentista, di un estetista…

In casi ancora peggiori, e che riguardano purtroppo anche e soprattutto le scuole tecniche, la ASL si traduce in una indecorosa o addirittura pericolosa esperienza di sfruttamento di bassa manovalanza giovanile a costo zero.

Il fatto è che scuola e mercato del lavoro sono oggi due mondi tra loro opposti, distanti anni luce per quanto concerne la condizione giovanile e il rapporto dei giovani col mondo adulto.

Con tutti i suoi limiti, la scuola è – molto più che in passato – un ambiente iperprotettivo, un luogo di cura e di accudimento per voi giovani addirittura più attento della famiglia. Un rifugio che vi preserva, finché vi muovete dentro le sue mura, dal trauma della conoscenza e della esperienza dirette di ciò che sta fuori.

Il mondo (e il mercato) del lavoro invece, l’ho già sottolineato altre volte, è letteralmente oggi (per dirla col Foscolo dell’Ortis) una foresta di belve.

In mezzo, con la teorica buona intenzione di creare un trait d’union fra i due pianeti e di evitarne la violenta collisione, i nostri politici si sono inventati la Asl.

Ma, l’assenza di un saggio pragmatismo e soprattutto la colpevole ignoranza della realtà effettuale della nostra scuola (oltre che della nostra impresa) hanno prodotto un aborto tecnico e pedagogico.

Perciò, cari ragazzi, avete fatto bene, benissimo, ripeto, a protestare.

E tuttavia… Perdonatemi, ma io sono troppo vecchio e malizioso (forse un po’ prevenuto, per avervi conosciuto troppo bene e per troppi anni) per prendervi così, toto corde, sul serio quando protestate. Sapete, io ho insegnato a lungo in un liceo classico e pure lì, negli ultimi anni della mia carriera, i miei studenti di quarta e di quinta facevano regolarmente gli stage della ASL, anche se non si capiva bene che cosa potessero imparare, fuori della scuola, di coerente col greco, col latino o con la filosofia… Ma lasciamo stare. Quello che non mi quadra è che questi miei alunni, quando arrivava maggio e le lezioni si interrompevano venti giorni prima della fine dell’anno scolastico per lasciare posto alle loro amene ‘esperienze’ presso avvocati, notai, dentisti, commercialisti ecc… ebbene, io questi miei alunni non li vedevo in quei frangenti per nulla affatto scontenti. Tutt’altro: molti erano piuttosto euforici; nessuno quantomeno protestava, nessuno si rammaricava di perdere ben tre settimane di lezione e di amputare in modo così pesante i programmi, vale a dire di impoverire drasticamente (in cambio del nulla o quasi) il loro bagaglio di apprendimenti. Vedete, io capisco tutto: l’età, la voglia di evadere e di divertirsi ecc. Ma non capivo allora (e non capisco adesso) come mai voi, a diciotto anni suonati, che si pretende siano l’età della ragione, non capivate che perdere tanti giorni di studio significava darvi la zappa sui piedi. Perciò faccio fatica a capire (scusatemi il bisticcio di parole col verbo capire, che rispecchia però le vostre oggettive contraddizioni) come mai soltanto adesso sareste giunti davvero a capirlo. A capire cioè che la ASL così concepita è una iattura, di principio e di fatto, ad esclusivo danno di voi stessi. Mi viene insomma da pensare (male) che senza la tragica e assurda morte sul lavoro (prestato gratuitamente) di due giovanissimi studenti in stage, forse voi non vi sareste mai mossi per protestare contro la ASL. Mi sopravviene di conseguenza il sospetto – ancora più malevolo – che voi stiate usando quei drammatici fatti più per pretesto che per convinzione. Per favore, ditemi che sto sbagliando! Persuadetemi che hanno ragione i tanti giornalisti e intellettuali che appoggiano senza remore la vostra protesta! Ma io vedete, ho il difetto di conoscervi troppo bene, perciò diffido sempre un po’ di voi quando scendete in piazza. E non solo perché non lo fate mai di pomeriggio o di domenica; ma anche perché, pure stavolta, avete messo insieme capra e cavoli: appiccicato cioè alla protesta sacrosanta contro la ASL altre motivazioni molto, molto meno nobili e convincenti. Su tutte: la richiesta (con la scusa della pandemia) di esami di maturità più facili. “Vogliamo un elaborato scritto da presentare oralmente, preparato coi docenti, interdisciplinare e che vada oltre i programmi“, leggo sul web. Cioè volete fare una bella chiacchierata su un generico argomento precotto, già semi-confezionato per voi dai vostri prof. Volete un esame-farsa… Ecco dove cade l’asino! Voi temete (o pretendete di farmi credere) che comporre da soli un tema in italiano e affrontare una versioncina o un problema (per di più preparati dai vostri stessi prof) sia diventato per voi un ostacolo insormontabile solo perché avete fatto qualche settimana di DAD! Sapete che vi dico? Alla fin fine, vi capisco persino un po’… A forza di sentir dire in giro che avete sofferto tanto per la pandemia pure io, al vostro posto, sarei tentato di approfittarne… E poi, state tranquilli, questo esamino ridicolo che voi reclamate, in una forma o nell’altra, quelli del ministero ve lo concederanno, da qui a giugno, senza problemi, dopo aver finto per un po’ di resistervi…

Mi auguro soltanto siate abbastanza maturi da realizzare che una scuola facile – ripeto – va solamente a vostro svantaggio. Ma che ai nostri politici non è difficile accordarvela, perché ai nostri politici della vostra istruzione e della vostra educazione non interessa un beneamato fico. Di voi interessa loro (molto di più) il consenso immediato: ecco perché quando reclamate una scuola facile essi, come nonni un po’ infrolliti, non restano mai insensibili ai vostri strazianti gridi di dolore.

Ma le rare volte in cui chiedete qualcosa di serio, qualcosa che li tocchi nei loro interessi e in quelli dei loro amici, beh, allora la musica cambia. E la ASL (leggi tra le righe: apprendistato professionale a carico delle scuole e manodopera giovanile gratuita a disposizione delle imprese) è una roba che fa gola parecchio ai loro amici. Roba per difendere la quale si può anche mobilitare la polizia.

Perciò state attenti: se sul piatto delle vostre richieste metterete insieme capra e cavoli, se chiederete cioè di abolire la Asl e nello stesso tempo di riavere la maturità-farsa dei due anni appena trascorsi, c’è il rischio che vi concedano la seconda cosa in cambio della prima. Che vi neghino cioè (magari con qualche trucco) quella molto più seria. Quella che muterebbe davvero in meglio la situazione dentro la scuola superiore italiana. C’è il rischio cioè che giochino sull’ingenua eterogeneità delle vostre rivendicazioni usando quella più banale e per loro meno costosa come merce di scambio. Vi chiederanno così di svendere la Asl per il piatto di lenticchie del vostro tanto desiderato esamino-burla: se così accadrà, come temo, toccherà a voi, a quel punto, dimostrare che cosa volete davvero.

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Nego nel modo più reciso che le macchine (anche le più evolute) possano educare una persona, tantomeno valutarne la maturità. Possono aiutare gli educatori, possono in parte o in tutto sostituirli nell’addestrare tecnicamente qualcuno, ma non nel formare e nell’educare, tantomeno nel giudicare i frutti di quella educazione e di quella formazione. Perché l’educazione è il prodotto di una relazione umana. Solo umana. Non surrogabile da attori o strumenti diversi dagli esseri umani. Anche una prova di valutazione generale e sommativa quale dovrebbe essere l’esame di maturità è condotta da esseri umani, docenti e alunni. Per quanto si incontrino per un breve periodo, in un contesto particolarmente formale, insegnanti e ragazzi della maturità si incontrano, in quel momento, anzitutto come persone. Come tali si relazionano, sperimentano utilmente gli uni degli altri la correttezza, la lealtà, il rigore, la flessibilità, la cordialità, la serietà, la caratura intellettuale, persino la simpatia e l’antipatia reciproca.

Pare che tutto questo sfugga sempre più ai tecnocrati del ministero dell’istruzione. Pare per esempio che l’orale del nuovo esame di maturità debba essere un mega-test, un quizzone, dove persino il momento per me fondamentale della interazione intellettuale, dialettica ed emotiva tra educatore ed educando che sono i colloqui orali, sarà spersonalizzato e banalizzato. Pare che il nuovo orale si baserà sulla scelta di tre buste contenenti ciascuna una serie prestabilita di domande legate da un qualche file rouge tematico, su di una interrogazione pre-scritta insomma, prevedibilmente nozionistica, ma soprattutto sottratta alla estemporaneità socratica del confronto tra docente e allievo che è un confronto vivo di persone, un dibattito tanto più fruttuoso quanto meno prevedibile nei suoi sviluppi. Un colloquio orale che si rispetti, a mio avviso, si sa da dove parte, ma non proprio dove possa arrivare. Anche da questa im-programmabile libertà di sviluppo si misura la bravura e la maturità dell’esaminando (oltre che quella dell’esaminatore).

No invece: nel nome di una presunta oggettività di trattamento e di misurazione bisogna seguire un binario obbligato, un binario preordinato, un binario morto.

Credo che anche questo nuovo monstrum della maturità discenda dalla imperante concezione tecnocratica dell’istruzione che regna ormai nelle stanze della Minerva. La sua origine (anglosassone) la conosciamo bene. Ma da noi arrivano sempre le caricature e i cascami, il peggio del peggio, ahinoi. Cambiano i governi, ma non cambia l’apparato, il fantomatico Komintern anonimo o dai nomi astrusi (Invalsi, Indire ecc.) che partorisce e impone, da un governo all’altro, da un lustro all’altro, i frutti più deformi della propria malata (ed asservita ai soliti poteri) subcultura pedagogica.

Pareva che l’abolizione della famigerata tesina preludesse a un qualche tardivo ma beneaugurante rinsavimento, discendesse da una inaspettata ma benvenuta iniezione di buon senso. Invece no. Ecco la seconda prova, che per supplire all’abolizione della terza (che non era certo da buttar via, per la sua aderenza ai programmi effettivamente svolti e per l’esercizio di puntualità e di sintesi che richiedeva) pasticcia insieme un paio di materie con pretesa (teorica) ambiziosa di interdisciplinarità ed effetto (pratico) probabilissimo di confusione e di disorientamento (al classico non si traduce più un testo di versione: anzi sì, si traduce ancora, ma un pezzo più corto di latino o di greco, o forse un po` di latino e un po’ di greco; ma poi si aggiungono delle domande di comprensione del testo e di commento storico-letterario, come se uno, dopo aver tradotto male o addirittura frainteso un passo di Cicerone, possa poi interpretarlo e commentarlo bene…).

E poi, tornando a noi, ecco l’orale: prima l’esposizione della esperienza della ASL, cioè dell’Alternanza Scuola Lavoro (notoriamente magnifica e indimenticabile per i liceali…), poi l’estrazione delle buste (uno, due, tre) di cui sopra.

Diciamolo: per quello che vale ormai questo pezzo di carta nel mondo del lavoro o nel proseguimento degli studi universitari, mantenere a tutti i costi e a questo prezzo l’esame di maturità è non solo insensato, ma altamente nocivo. Deleterio cioè per insegnanti ed alunni, perché la distorta impostazione della prova finale obbliga purtroppo i primi come i secondi ad adeguarsi durante tutto il corso degli studi agli sciagurati pseudo-principi didattico-docimologici cui l’esame è ispirato. Cambiare continuamente (come sta avvenendo da anni) il tetto della scuola richiede infatti, per evitare crolli e dissesti, che si ristrutturino alla bell’e peggio e contro ogni regola dell’arte anche i muri portanti e le fondamenta. Mi si perdoni la metafora architettonica, che è tirata (è il caso di dire) con gli argani, ma penso che renda, meglio di ogni considerazione, il succo amaro di questa deprimente storia.

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Leggo qua e là che diversi miei colleghi (tra loro il mio amico Massimo Rossi (https://profrossi.wordpress.com/2016/04/30/la-buona-scuola-si-sta-rivelando-un-fallimento/) riconoscono solo adesso i disastri che la legge 107 (la cosiddetta Buona scuola) sta infliggendo alla nostra scuola. Meglio tardi che mai, ovviamente. Ma non erano disastri difficili da prevedere. Già un servizio televisivo di Riccardo Iacona lo aveva a suo tempo ben previsto e dimostrato more geometrico (http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b2f6d908-a308-4af1-a2f5-78c6812d86f7.html). E le aperture di credito erano davvero male indirizzate. Un conto è infatti la prudente astensione da giudizi prematuri, un conto l’ingenuità di fronte al costante, evidente accanimento contro la scuola dei marpioni della nostra politica.

Vediamo come stanno le cose almeno su tre punti fondamentali:

1) Il bonus per i ‘meritevoli’: come pensare che avrebbe potuto essere applicato virtuosamente? In una scuola che, di fronte a tagli massicci di fondi aggiuntivi di istituto, non ha mai minimamente rinunciato (più per amore che per forza) alla miriade di attività extra più e meno utili, è ovvio che si cerchi in qualche modo di dirottare i soldi del bonus sui prof che continuano a fare quelle attività. Se si fatica (anche in qualcosa di inessenziale) bisogna giustamente essere ricompensati. A poco serve lamentarsi che così si tradisce lo spirito meritocratico della legge. Sono il primo a dire (e da sempre lo dico) che la qualità del lavoro in classe vale molto, molto di più dell’impegno in tremila attività promozionali, organizzative o integrative. Ma intanto bisognerebbe capire (e io ci ho rinunciato) come si fa a valutare bene la qualità del lavoro in classe senza cadere in pericolosi arbitri. E poi se i fondi aggiuntivi per quelle attività extra non ci sono più, giocoforza bisognerà impropriamente attingere a quelli stanziati per il bonus. È una scelta obbligata dalle misure studiatamente contraddittorie del governo oltre che dalla tendenza persistente e insopprimibile della scuola ‘autonoma’ a spendere per autopromuoversi.

2) L’alternanza scuola-lavoro (ASL): per i licei è un massacro; un sacrificio cruento consumato sull’altare delle pretese di banche e confindustria. Da sempre queste ultime reclamano da governi loro amici riforme scolastiche che catechizzino gli studenti alla dottrina aziendalistica e investano su di una formazione puramente tecnicistica e funzionale ai soli loro interessi. Adesso con la nuova legge hanno ottenuto che studenti di liceo (ragazzi destinati cioè a lunghi e teorici studi universitari) perdano – tra il terzo e il quarto anno – 200 (duecento!) ore del loro studio curricolare (scolastico e domestico) per seguire progetti sulla storia e l’attualità dell’industria, dell’artigianato ecc. oltre che per fare degli stage in varie aziende. Contemporaneamente il ministro annuncia proprio in questi giorni che le scuole rimarranno aperte anche d’estate per ospitare attività alternative e ricreative (leggi: per l’assistenza di minorenni che creerebbero problemi ai genitori); tutto questo significa che la scuola come istruzione e formazione è un organismo destinato, per l’effetto concentrico di questi interventi dissennati che durano da decenni, a una morte imminente, devastato ormai com’è dalla metastasi di quella che io chiamo l’Antiscuola: vale a dire da tutte quelle attività create ad hoc per paralizzarla dall’interno e dall’esterno, impedendole di funzionare fisiologicamente.

3) gli insegnanti assunti per il potenziamento: pareva all’inizio una benedizione per i più anziani avere accanto dei giovani entusiasti ed energici che potessero assumersi parte delle classi troppo numerose, attività sensate di recupero e di integrazione, supplenze… Invece alcuni di loro non sono per niente distribuiti né utilizzati come si dovrebbe: spesso sono parcheggiati in sala insegnanti ad aspettare di sostituire qualcuno assente; pare – a quanto mi risulta – che non possano per legge neanche avere supplenze lunghe nell’istituto cui sono stati assegnati (alla faccia del principio tanto sbandierato dal governo del superamento del precariato!); il prossimo anno saranno in gran parte spostati in altra sede, dove cioè si libereranno cattedre. Perché – diciamocela chiara – questa assunzione straordinaria è stata una ennesima operazione elettorale oltre che un debito assolto una tantum verso le normative europee sul precariato: tutti questi insegnanti più giovani (in realtà molti di loro sono quarantenni e insegnano già da anni come precari) saranno tutti riassorbiti – come è giusto – entro due o tre anni nei ruoli e l’organico del potenziamento si dileguerà. Ma di qui a una decina d’anni almeno i giovani neolaureati che entreranno per concorso nella scuola saranno rari come mosche bianche. D’altro canto già adesso la media anagrafica degli insegnanti di ruolo supera abbondantemente il mezzo secolo…

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