Quello di Massimo Recalcati (L’ora di lezione, Einaudi 2014) è il primo libro di uno psicoanalista sulla scuola che leggo con stupefacente, totale e (un po’) malinconica condivisione. Perché Recalcati condisce sì esperienze sue personali e ‘storiche’ di studente prima e di insegnante poi in rigorosa (a tratti un po’indigesta) salsa lacaniana, ma il piatto che ci offre ha il sapore intenso di una realtà vissuta e ripensata autenticamente, non quello di una pietanza precotta secondo le supponenti ricette psicopedagogiche di un Galimberti o di un Andreoli. Dice R. (sintetizzo qui molto sommariamente) che alla vecchia scuola autoritaria ed edipica pre-sessantottina è subentrata da decenni la scuola edonistica e narcisistica della società di massa. Che l’atteggiamento comprensibilmente oppositivo e ‘omicida’ dei figli verso l’autoritarismo di padri e insegnanti si è rovinosamente rovesciato in una diseducativa e corruttrice alleanza fra genitori e figli contro i docenti. Che questi ultimi sono ormai relegati, senza più munizioni né armi, in una trincea bombardata e vilipesa da tutti e perciò praticamente, per effetto di questo discredito e di questo isolamento totale, impossibilitati a educare chicchessia. Che l’unica via d’uscita a questa agonia della scuola come agenzia educativa non può che essere la riscoperta e la rivalutazione di un insegnamento socratico, ‘filo-sofico’ nel senso strettamente etimologico del termine. Vale a dire che l’insegnante, per poter riacquisire dignità e autorevolezza, deve puntare su quella che R. chiama l’erotizzazione del sapere: non tanto – cioè – la trasmissione di nozioni morte e di risposte preconfezionate (da verificarsi con test e quiz stile Invalsi), quanto la stimolazione continua e spiazzante di dubbi e di domande, l’accensione del desiderio del sapere (il philosophein appunto dei Greci antichi) che sposta sempre più in là il confine della conoscenza. E se l’insegnante vuole davvero, dice R., trasfondere in altri questo desiderio bisogna soprattutto che lo avverta profondamente in sé: che sia egli stesso innamorato del sapere, cioè – etimologicamente – philosophos. Non burocrate, non ripetitore o addestratore; tantomeno – udite udite, quale musica per le mie orecchie! – neppure psicologo o confidente degli allievi, perché quest’ultimo è l’equivoco più diffuso e fuorviante della scuola narcisistica di oggi.
Insomma: grazie Recalcati. Grazie di esserti fatto mio (ancora etimologicamente) profeta; di aver ridetto con maggiore dottrina della mia e maggiore speranza di essere ascoltato cose che da anni vado scrivendo in questo blog (e altrove) praticamente tra l’indifferenza e la sordità di quasi tutti.
Ma attenzione: questa concezione alta dell’insegnamento (l’unica che dovrebbe guidare le scelte di qualsiasi governo e operatore della nostra scuola) ha i suoi lati pericolosamente utopistici.
Per esempio: per innamorare gli studenti della Commedia di Dante come sa fare Benigni bisognerebbe che gli insegnanti fossero affascinanti performer, geni del palcoscenico. Non semplicemente bravi insegnanti appassionati di letteratura. D’altra parte il bravo insegnante dovrà pure far sudare e annoiare un po’ i suoi allievi sull’italiano del trecento prima di fargli gustare il canto di Paolo e Francesca.
E poi a chi interessa, tra quelli che comandano, che si spendano energie e soldi su questo fronte? Non è meglio, non è più direttamente funzionale al ‘sistema’ (come si diceva una volta), addestrare e intrattenere con un po’ di internet, di inglese e di ideologia imprenditoriale?
E infine: siamo sicuri che un Socrate oggi – ammesso che ne esistano ancora in giro – riuscirebbe a sedurre intellettualmente la globalità degli studenti della scuola di massa? O ci riuscirebbe solo con pochi? Coi pochi predisposti a lasciarsi sedurre – esattamente come duemilacinquecento anni fa?
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