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Posts Tagged ‘potere’

Riporto qui di seguito qualche passo della Vita di Caligola di Svetonio:

Escogitò anche un genere di spettacolo assolutamente nuovo e senza precedenti. Fece costruire tra Baia e la diga di Pozzuoli, che separava uno spazio di circa tremila e seicento passi, un ponte formato da navi da carico, riunite da tutte le parti e collocate all’ancora su due file; poi le si ricoprì di terra dando a tutto l’insieme l’aspetto della via Appia. Per due giorni di seguito non la smise di andare e venire su questo ponte: il primo giorno si fece vedere su un cavallo riccamente bardato, con una corona di quercia, una cetra, una spada e una veste broccata d’oro, il giorno dopo, vestito come un cocchiere di quadriga, guidava un carro tirato da due cavalli celebri […]. So che Gaio Caligola aveva ideato un ponte di tal genere, secondo alcuni, per rivaleggiare con Serse che, non senza stupore, ne gettò uno sull’Ellesponto […] Ma durante la mia infanzia, ho sentito raccontare da mio nonno che, secondo le confidenze di persone addentro ai segreti del suo cuore, la ragione di questa impresa si trova nella dichiarazione dell’astrologo Trasilo a Tiberio che si tormentava a proposito del suo successore e si orientava verso il proprio nipote: «Gaio ha tante possibilità di diventare imperatore quante ne ha di attraversare a cavallo il golfo di Baia.» [Svetonio, Vita di Caligola, 19]

La ferocia della sua natura si manifestò soprattutto da questi fatti. […] Molte persone di rango onorevole furono prima marchiate con il ferro e poi condannate alle miniere, ai lavori stradali o ad essere divorati dalle belve, oppure costrette a tenersi a quattro zampe in una gabbia, come animali, oppure furono tagliate a metà con una sega; e questo avveniva non per gravi motivi, ma semplicemente per aver criticato uno dei suoi spettacoli o perché qualcuno non aveva giurato per il suo genio. Costringeva i parenti ad assistere all’esecuzione dei loro figli: quando uno di loro si scusò perché era ammalato, gli mandò la sua lettiga. Invitò alla sua tavola un altro che ritornava proprio dall’esecuzione e impiegò tutto il suo buon umore per farlo ridere e scherzare. Per più giorni consecutivi un intendente dei giochi e delle cacce fu flagellato con catene in sua presenza e lo fece uccidere solo quando si sentì infastidito dall’odore del cervello in putrefazione. Un autore di atellana, solo per un verso che conteneva una battuta a doppio senso, fu bruciato nell’anfiteatro, in mezzo all’arena. Quando un cavaliere romano, condannato ad essere divorato dalle belve, proclamò la propria innocenza, diede ordine di portarlo indietro, di tagliargli la lingua e di riportarlo al supplizio. [ibidem, 29]

[…] Divorato dal desiderio di contatto con il danaro, spesso passeggiava a piedi nudi su enormi mucchi di monete d’oro o vi si voltolava dentro con tutto il corpo per lungo tempo. [ibidem,  42]

A proposito del suo cavallo Incitato, il giorno che precedeva i giochi del circo, aveva preso l’abitudine di far sonare il silenzio dai soldati nelle vicinanze in modo che il suo riposo non fosse turbato; e non solo gli assegnò una stalla di marmo, una greppia d’avorio, coperte di porpora e finimenti tempestati di pietre preziose, ma gli regalò anche un palazzo, alcuni schiavi e un arredamento per ricevere più splendidamente le persone invitate a suo nome; si dice anche che progettò di nominarlo console. [ibidem, 55]

Ammettiamo pure che Svetonio esageri, che presti orecchio (per aggiungere sale e pepe al gossip piuttosto spinto delle sue biografie) alle peggiori e più assurde dicerie che circolavano tra i ranghi della élite senatoria, irriducibile avversaria (e spesso vittima) in quel tempo del potere autocratico e populista del principe: resta che al fondo di queste manifestazioni sadiche e psicopatologiche di Caligola (una fama di mostro per eccellenza, tra gli imperatori della dinastia Giulio-Claudia, sopravvissuta fin nel teatro esistenzialista di Albert Camus) si avverte una sinistra, realistica assonanza con tiranni grandi e piccoli della modernità e, ahimè, anche della nostra tribolata attualità: figure che riversano tragicamente nella sfera pubblica insuperabili sensi di rivincita per risentimenti o frustrazioni personali; figure che sfogano con sbrigliata fantasia, oltre che con spietata sistematicità, la loro crudeltà contro ogni rivale e ogni oppositore; figure che mostrano disprezzo totale per qualsiasi forma di istituzione e di dialettica politica; figure che straziano il patrimonio pubblico per il proprio infinito arricchimento personale (mi colpisce e incuriosisce molto, nella fattispecie, il Caligola – “zio Paperone” del cap. 42 della biografia suetoniana).

Caso squisitamente clinico, si dirà, quello di Caligola e dei suoi epigoni moderni. Ma la follia non è stupidità e non si coniuga affatto per caso col potere assoluto e arbitrario: sono anzi due elementi che si attraggono, si combinano e si alimentano reciprocamente per legge di natura. Soprattutto quando la follia (vera o recitata) del tiranno contagia le masse perché appare loro l’unica possibile interprete delle loro aspettative frustrate, del loro rancore inascoltato o della loro rabbiosa disperazione.

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Credere in qualcosa può anche giovarci. Purché non sia seguito dall’obbedire e dal combattere

Credere in qualcosa non cambia forse la nostra vita ma spesso ci permette di risparmiare soldi per lo psicoterapeuta.

Credere va bene, ma capire è assai meglio.

La discesa che ci aspetta quando si sia raggiunta la vetta della civiltà può essere un dolce declivio, ma anche un precipizio.

Per l’essere umano regredire verso la bestia è enormemente più rapido e semplice che progredire verso la propria umanità.

Di tutte le bestialità quella rifornita di tutti gli strumenti tecnologici è la più temibile.

Più pure e rigide del diamante sono le convinzioni di certa follia. Nessuna dialettica le scalfisce. Nessun incontro a metà strada con lei è possibile. Certa follia puoi solo o assecondarla o combatterla.

Considerando che la recente psichiatria afferma che una follia del tipo appena menzionato è elettivamente attratta dal (e adatta al) potere (da ogni forma e grado di potere), traetene tutte le consolanti conclusioni possibili.

Non si può far muovere a ritroso l’orologio della storia, ma purtroppo lo si può fermare, distruggendolo a colpi di spranga e di martello.

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Mi resta incomprensibile come alcuni ingegni si lascino intrappolare (e menomare) nelle angustie di una qualsivoglia ideologia, rinunciando così – volontariamente – allo slancio dispiegato dell’indagine e dell’intelligenza verso ogni direzione possibile. Forse perché anche l’ingegno avverte la vertigine del volo e nutre un desiderio inconscio del nido. Così come l’uomo adulto del ventre materno.

I giovani che forse un tempo avevano più solida (perché trasmessa, per via familiare e culturale) memoria del passato e più attiva e fiduciosa aspettativa del domani, oggi sembrano in gran parte (non tutti) privi dell’una e dell’altra, compressi ed anestetizzati come sono dalla macina mediatico-consumistica-produttivistica in un presente che ripete e divora febbrilmente se stesso. Sordi, in questa compulsione dell’istante, verso la lezione del passato e ciechi di fronte alle minacce tenebrose del futuro più immediato, essi sono i passeggeri di un Titanic che naviga, festeggiando, verso il disastro. Intenti soprattutto a prolungare la propria deriva fuori dalle rotte della storia. Dimentichi del punto di partenza così come ignari di quello di prossimo approdo, o di naufragio. Non so se commiserarli o invidiarli.

Il vittimismo di rendita può diventare un pugnale avvelenato, puntato costantemente sulla schiena del prossimo per rivendicare diritti, privilegi, impunità. Una speculazione sul passato che getta la sua ipoteca sul futuro. Un credito presunto di cui si vorrebbero riscuotere interessi a tempo indeterminato. Il vittimismo di rendita può essere odiosamente capitalizzato da individui, categorie, popoli interi. Da vittime può renderli carnefici. Da oppressi oppressori con (auto)licenza di opprimere.

Guàrdati da chi ha sempre ragione in teoria e torto in pratica perché con le sue impeccabili obiezioni teoriche egli vorrà impedirti qualsiasi ragionevole, ancorché – giocoforza – imperfetta, realizzazione concreta.

Il potere è da sempre maschio, ma l’ambizione del potere (e del primato e del successo) è, da alcuni decenni, prevalentemente femmina. E si trasmette implacabile di madre in figlia.

Ogni civiltà si è costruita la sua religione ed ogni religione il suo paradiso. Per capire bene quale sia da qualche decennio a questa parte la nostra religione e quale il nostro paradiso non bisogna consultare saggi di antropologia o di sociologia. Basta guardare con occhio minimamente critico gli spot pubblicitari.

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Civiltà tra le più misogine dell’antichità, quella greca nutriva una inconfessabile percezione della dignità, dell’intelligenza e della ricchezza dell’animo femminile. Inconfessabile, ma profonda. Se così non fosse, non esisterebbero nell’immaginario mitico e letterario della grecità personaggi come: Elena, Andromaca, Ecuba, Calipso, Circe, Nausicaa, Penelope, Clitennestra, Elettra, Alcesti, Medea, Antigone, Ismene, Deianira, Cassandra, Lisistrata… Un campionario di umanità (nel bene e nel male) decisamente più ricco, autentico e vario di quello maschile.

Un paradosso, se è vero che sul piano giuridico, sociale e politico la donna era considerata e trattata quasi ovunque in Grecia come una nullità; nell’ambito familiare era proprietà del padre, prima, e poi del marito. Non poteva quasi mai uscire di casa. Non poteva ereditare. Non poteva testimoniare in tribunale. Nell’età classica e nella evoluta Atene del V secolo, un geniale e modernissimo storico come Tucidide nutriva un sovrano disprezzo per il genere femminile e ancora nel IV secolo un poligrafo e ‘saggista’ conservatore come Senofonte ribadiva netto e chiaro che l’unico regno della donna era la casa, e tutto il resto – fuori -, dal potere politico all’eros extraconiugale, era pertinenza del maschio.

Contraddizione sorprendente, non inspiegabile. Rivelatrice, direi, di come autori dell’antica poesia (epica, tragica, lirica) percepissero la figura femminile al di là dei condizionamenti del contesto storico-culturale che tanto la deprezzava e la marginalizzava. Segno in ultima analisi della stra-ordinaria capacità dell’arte, specie (e paradossalmente) nelle sue forme più genuinamente creative e fantastiche, di scandagliare e squadernare la verità nella maniera più spregiudicata, anticonformista e liberatoria rispetto alle gabbie ideologiche di un qualsiasi sistema di potere. Non per caso arte e potere fanno tanta fatica ad andare d’accordo.

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Mai come oggi – nell’epoca della presunta informazione globale – gli arcana imperi della politica e della finanza sfuggono ai più tra di noi, che pure siamo illusoriamente convinti di controllarli con un telecomando o con un mouse. Perché in realtà quella informazione è saldamente – tecnologicamente – nelle esclusive mani di chi detiene l’imperium.

Mai come oggi l’antico principio del divide et impera viene così scientificamente e capillarmente applicato da piccoli e grandi detentori del potere politico ed economico. E l’applicazione di questo principio riesce tanto meglio quanto più chi comanda sa rendersi invisibile quale autentica e prima causa della divisione che produce. I burattinai scompaiono dalla vista e dalla coscienza dei burattini. E questi ultimi, incapaci di guardare in alto, sono solo intenti a picchiarsi ferocemente tra di loro. In fantoccesche baruffe fra poveri.

Mai come oggi il potere (soprattutto quello economico-finanziario) è impersonale, senza volto né carne. Ricorda il Sauron signore di Mordor nella famosa saga di Tolkien. Salvo di volta in volta ipostatizzarsi in maschere feroci o torve o severe o bronzee o grottesche quali quelle di tiranni, eminenze bancarie, affaristi, politici ecc. Personaggi apparentemente vari, ma interpreti e mediatori di un unico disegno. Che ha la sua forza proprio nella sua astratta e quasi metafisica inattingibilità. Tale da farsi passare, anziché per una contrastabile forza storica, per una oscura e inviolabile legge di natura.

Mai come oggi utilehonestum, tornaconto (di pochi) e giustizia (verso i più), paiono divaricarsi: perché in una crisi economica, quando la fatidica torta si rimpicciolisce, l’unica preoccupazione di quanti hanno sempre goduto delle porzioni più grosse è quella di continuare a goderne nella stessa quantità. A scapito degli altri, che si divideranno in molti briciole sempre più scarse.

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L’ arte è velo che disvela, maschera che smaschera.

Maschere e veli (ideologici e propagandistici) sono orpelli vischiosi e irrinunciabili del potere, sotto tutte le sue parvenze, anche le meno minacciose.
Perciò arte (autentica) e potere vanno così difficilmente d’accordo.

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