Nel particolare di un’opera letteraria di valore si condensa sempre l’universale umano (etico, psicologico, esistenziale) di tutti i tempi e luoghi ma talora anche (e – in tanti capolavori – contemporaneamente) l’universale storico e culturale di un epoca e di una società.
Nel breve respiro di un racconto come Cavalleria rusticana di Verga temi antropologicamente elementari e primordiali (quasi etologici, come la rivalità in amore, il tradimento, la gelosia, l’onore, la vendetta) si intrecciano con la invadenza del nuovo stato unitario (con i suoi obblighi imposti dall’alto e dall’esterno) nella vita degli infimi della arcaica società siciliana. Il dramma sanguinoso di Alfio e Turiddu non si sarebbe infatti consumato se quest’ultimo non fosse stato costretto a partire militare, assentandosi così per lungo tempo da Lola, la sua prima (ma mai sopita) fiamma.
Poche pagine di una vicenda illuminano (rappresentandolo dall’interno di vicende individuali) un intero mondo (un universo, appunto) con una completezza non inferiore ed un’immediatezza molto maggiore di quelle prodotte dalla lettura di un saggio storico sulla Sicilia postrisorgimentale.
Un’analoga impressione di efficace sintesi rappresentativa di ‘universi’ storico-sociali più recenti e vicini a noi ho provato leggendo ultimamente i racconti Anomalie di Mauro Covacich, appena ripubblicati nei libretti diffusi dal Domenicale del Sole24ore. Due universi, nella fattispecie: quello della guerra civile jugoslava degli anni ’90 e quello del nordest italiano (di tradizione agraria e cattolica) rapidamente contaminato da una xenofobia rabbiosa ed aggressiva dopo le prime intense ondate dell’immigrazione. A dispetto di qualche eccesso effettistico, Covacich riesce in brevi scorci narrativi a riprodurre con vivida e plastica brutalità il paradosso di una violenza primitiva che esplode dentro e nonostante la civiltà ‘moderna’. Nonostante i valori culturali, civili e religiosi che avrebbero dovuto irretirla ed esorcizzarla, questa violenza affiora, da profondità rimosse e inconfessabili, come un fenomeno tettonico devastante attraverso le crepe e le falle che i nuovi conflitti aprono nel nostro tessuto sociale. Esemplare è in proposito il racconto Senza piombo, che narra di un’atroce punizione inflitta da un gruppo di giovani benpensanti a un immigrato di colore. La storia è mentalmente ripercorsa in prima persona proprio da uno dei giovani aggressori mentre assiste alla messa domenicale: così le drammatiche e feroci sequenze dell’evento rievocato nella memoria dal protagonista si alternano con le preghiere e le giaculatorie familiari ed edificanti della liturgia. Un espediente narrativo, quest’ultimo, molto utile a rappresentare il paradosso di cui si diceva. A farci capire che spesso il bell’ edificio della civiltà (e della civilizzazione) è davvero una fragile, ipocrita gabbia della nostra indomabile animalità.