In questa stiva ombrosa, allagata
di sola luce artificiale il comandante
raccatta le sparse esche di una esoterica
mensa; sale sul ponte, carezza con prudenza
la barra del timone della nave e attracca
piano al molo del tempo usato. In quello lento
e astratto della navigazione si è faticato
intanto a trattenere il fiato, ad osservare terre
dal largo, noi stessi da lontano, a dirimere
il monte dal piano, dal cielo il mare, le luci
delle case dagli occhi delle stelle. Poco e
non poco. Adesso però un selvatico tramestio
di piedi, oltre gli oblò, precipita esultando
per la magica scaletta sul pontile. La scuola
è finita. Sull’arenile spensierato evade
finalmente la vita, il presente, l’ubriaca
giovinezza dell’estate.
[Questa mia poesia inedita era stata già postata da me un paio di anni fa. La ripropongo qui per dedicarla particolarmente ai miei (ormai ex) alunni di quinta di quest’anno, appena diplomati. A loro auguro buone vacanze e soprattutto buona fortuna per il loro futuro immediato e lontano.]