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Archive for marzo 2021

Notte nazionale del Liceo Classico, recitazioni, concerti e degustazioni a  tema Eventi a Ravenna
Il Palmieri partecipa alla "Notte Nazionale del Liceo Classico" | Telerama  News

Nell’incipit dell’Iliade, dove si racconta che Apollo, offeso dall’empietà di Agamennone, scende dall’Olimpo con la pessima intenzione di sterminare gli Achei, la nera collera del dio è paragonata all’oscurità della notte:

[Apollo] scese giù dalle cime d’Olimpo, il petto gonfio di rabbia,

arco in spalla e faretra chiusa d’ambo i lati. L’ira lo ardeva:

dietro le spalle, ad ogni passo, le frecce tintinnavano.

E lui scendeva, nero come la notte.

[Il. I 44ss.]

In un celebre passaggio della Teogonia di Esiodo, dove si parla di tenebrose entità figlie del Chaos primigenio, spicca la progenie numerosa e davvero poco raccomandabile di Notte:

Notte partorì l’odioso Fato e la nera Kere

e Morte, e diede alla luce Sonno e generò la stirpe dei Sogni.

[…]

Notte funesta generò anche Nemesi, rovina

per gli uomini mortali; dopo di lei partorì Inganno

e Amore, Vecchiaia rovinosa e Contesa dal cuore violento.

(Es. Theog. 211ss.)

È curioso che proprio studenti e insegnanti del liceo classico, quelli che hanno (avrebbero) ancora il compito e il privilegio di conoscere e meditare direttamente questi antichissimi testi, rilancino oggi un archetipo così famoso e tradizionalmente spaventevole (e duraturo, con questo significato negativo, nel nostro immaginario e nella nostra cultura) in un senso diametralmente opposto rispetto a quello di Omero e di Esiodo. Da qualche anno a questa parte, nel liceo classico, Notte evoca infatti soprattutto l’evento più luccicante e mondano di questo tipo di scuola, la punta di diamante delle sue iniziative autopromozionali : La notte nazionale del liceo classico. Tutti i licei classici ormai celebrano la loro Notte. Ma per una sorta di enantiosemia la minacciosa oscurità, reale e metaforica, della notte omerica ed esiodea diventa, per questa occasione, la luce (artificiale), sfavillante e psichedelica, di un happening pubblicitario. Notte festosa e luminosa. E soprattutto illuminante. Sì, perché in questa notte speciale studenti e insegnanti, spesso agghindati in costumi d’epoca e tra colonne doriche di polistirolo, cercano di illustrare al mondo la appetibile vitalità del loro corso di studi offrendone al pubblico un catering di assaggini rapidi e sfiziosi: brevi performances teatrali e musicali di drammaturghi e di poeti classici, minirecital di Orazio e di Seneca – ma rigorosamente alternati, si badi bene, con pezzi di Beckett, De André, Shakespeare, Bulgakov e Jovanotti ecc… non accada che la gente pensi che il classico insegni ancora solo robe ammuffite e che proprio per questo stia meritatamente schiattando di decrepita vecchiezza… No, anzi, guardatelo bene! È ancora arzillo, persino ringiovanito, come i vegliardi delle Baccanti euripidee o il Demos di Aristofane! Vale la pena, insomma, frequentarlo perché – udite udite! – il classico di adesso è di tutto e di più: una scuola vecchia e nuova, antica e moderna, per almeno un paio di buoni motivi: primo perché l’antico è sempre attuale, visto che si può studiare anche sul computer; secondo perché, insieme al latino e al greco, al classico si insegna adesso anche tanto inglese e persino molta matematica, fisica e informatica, e si fanno pure tante altre attività integrative e ricreative…

Ma no, no, per favore, no! Raccontiamocela giusta, cari ragazzi ed ex colleghi della Notte: le cose non stanno propriamente così.

Da decenni il classico – si mormora malevolmente in giro – è un moribondo in prognosi riservata. In realtà, da un bel po’, io temo che il classico sia piuttosto (qui esagero per farmi capire meglio) un morto che cammina. Continuerà a camminare fino a quando qualcuno dall’alto non avrà la forza (e la spudoratezza) politica di seppellirlo. I pochi che si iscrivono ancora al classico sono sempre gli stessi, con lo stesso retroterra familiare e sociale e le stesse motivazioni: figli di persone che hanno frequentato a loro volta il classico; figli di una certa borghesia media o alta (molto più impiegatizia che imprenditoriale: insegnanti, medici, funzionari pubblici); qualche sparuto figlio di nessuno o di papà che avverte una vocazione speciale e precoce per le lettere e le arti e una concomitante allergia per la matematica; qualche ragazzino troppo timido e introverso che teme la giungla di una scuola tecnica o professionale… Questo è il piccolo bacino di reclutamento del classico – si badi bene: una pozzanghera residuale che si va prosciugando. Quasi nessuno sceglie(rà) questa scuola – non illudiamoci – solo perché folgorato dalle luci della sua Notte. Il classico, ahilui, è già defunto e non lo sa. Il latino e il greco si continuano a studiare, da anni ormai, più che altro per finta: tirando giù da internet tutte le traduzioni già bell’è pronte, da quelle dei testi classici a quelle delle versioni, fino alle singole frasette. Così quasi più nessuno (con alcune lodevoli eccezioni) suda e si allena sulle lingue antiche, questa palestra formidabile di metodo trasversale che gioverebbe ancora molto, se venisse davvero praticata a dovere, a tutte le altre discipline. Ma tant’è: nel classico-zombie-frankenstein di oggi il tempo per studiare il greco e il latino è sempre di meno e il peso – ineludibile – delle materie o degli argomenti più ‘moderni’ aggiunti, dei progetti à la page, delle varie attività extra è schiacciante. Il copia e incolla delle traduzioni rimane per molti l’unica scorciatoia. Il classico, quello originale, è morto. Pace all’anima sua. Morte (astruse, specialistiche, lontanissime dalla forma mentis di un ragazzo medio di oggi) sono le lingue che il classico si ostina ancora ad insegnare. Come si può realisticamente pretendere, lo dico sapendo di inimicarmi forse un po’ di gente, che in tempi come questi lo stato continui a finanziare una scuola del genere? In Europa e nel resto del mondo in effetti non esiste niente di simile. Il classico è morto, rassegniamoci. Nessuna magica notte lo risusciterà. Quello che resta doveroso fare, secondo me, non è tenerne ancora in piedi la salma imbalsamata, ma salvarne l’anima, raccoglierne al meglio la preziosa eredità. E l’eredità del classico può essere raccolta solo da una scuola liceale ben riformata, riorganizzata, non saprei con esattezza dire come, ma di certo diversamente da adesso. Una scuola liceale magari unificata ma con percorsi diversificati, nella quale lo studio della lingua greca e latina rimanga opzionale. Ma nella quale la grande eredità della civiltà classica (poesia, teatro, storiografia, archeologia) diventi comunque (un po’come è accaduto per la filosofia greca e la storia dell’arte antica) parte integrante dello studio di tutti quelli che la frequentano.

[PS: Diversi anni fa, nel post Perché salvare il liceo classico, mi esprimevo in modo più ottimista circa lo stato di salute di questo corso di studi. Adesso sono diventato parecchio più scettico. Ma, a guardar bene, le prospettive che, con dispiacere ma con molto realismo, indico ora per questo tipo di scuola (che ho molto a cuore perché ci ho insegnato per una vita) non sono nella sostanza diverse da quelle che indicavo allora: bisogna passare attraverso una sensata e complessiva riforma della scuola liceale]

[PS bis: non ho voluto affatto pronunciare in questo post un giudizio di valore sul liceo classico in sé, ma constatare un dato di fatto, una sorta di necessità storica: il classico così com’è (diventato) è ormai largamente superato dai tempi, purtroppo. Questo non significa ovviamente che non vi siano tuttora nel liceo classico studenti e insegnanti di valore. Tutt’altro: ce ne sono molti. Ma non è questo il punto. Il punto è che questo genere di scuola a mio avviso può sopravvivere solo trasformandosi (meglio forse: annullandosi) intelligentemente in qualcosa di diverso, non solo dal suo passato storico, ma anche e soprattutto dall’ibrido attuale.]

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a Filippo Argenti!

[da Inferno, VIII (girone degli iracondi, immersi in uno stagno melmoso)]

Mentre noi corravam la morta gora,
dinanzi mi si fece un pien di fango,
e disse: “Chi se’ tu che vieni anzi ora?”.33

E io a lui: “S’i’ vegno, non rimango;
ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?”.
Rispuose: “Vedi che son un che piango”.36

E io a lui: “Con piangere e con lutto,
spirito maladetto, ti rimani;
dai nevi ti conosco, ancor sie lordo tutto”.39

Allor distese al legno ambo le mani;
per che ’l maestro accorto lo sospinse,
dicendo: “Via costà con li altri cani!”.42

Lo collo poi con le braccia mi cinse;
basciommi ’l volto e disse: “Alma sdegnosa,
benedetta colei che ’n te s’incinse!45

R…  fu al mondo persona orgogliosa;
bontà non è che sua memoria fregi:
così s’è l’ombra sua qui furïosa.48

Quanti si tegnon or là sù gran regi
che qui staranno come porci in brago,
di sé lasciando orribili dispregi!”.51

E io: “Maestro, molto sarei vago
di vederlo attuffare in questa broda
prima che noi uscissimo del lago”.54

Ed elli a me: “Avante che la proda
ti si lasci veder, tu sarai sazio:
di tal disïo convien che tu goda”.57

Dopo ciò poco vid’io quello strazio
far di costui a le fangose genti,
che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio.60

Tutti gridavano: “A  M…  R….. !”;
e ’l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea co’ denti [gli incisivi, n.d.r.].63

Quivi il lasciammo, che più non ne narro.

Un paio di impercettibili ritocchi e una chioserella al testo ed ecco che un noto passo dell’Inferno dantesco, come per magia, parla della nostra attualità. Al posto di Filippo Argenti ecco un suo epigono e concittadino, meritatamente immerso nello stesso fetido liquame, altrettanto orgoglioso (= ‘sfrontato e prepotente’ per dirla educatamente), con un nome e un cognome (M… R…), metricamente compatibili e vagamente assonanti con l’originale. Ogni riferimento a un nostro personaggio politico è tutt’altro che casuale.

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