Qualcuno si chiederà: perché in questo blog la rubrica contra academicos? Perché tanto insistito e risentito sdegno, in queste pagine, verso il mondo universitario?
A queste domande il racconto della mia storia di vittima esemplare (insieme a tanti altri) dell’accademia italiana – di cui per altro non ho mai fatto parte a nessun titolo – fornirebbe forse la risposta più pertinente ma nel contempo davvero troppo personale e poco attraente per un lettore che non conosca gli arcana di quel sistema chiuso nella patologica e nociva difesa dei suoi inespugnabili privilegi. Per di più questo racconto alimenterebbe il fondato sospetto che la mia denuncia nasca solo dal risentimento e da un basso istinto di rivalsa. O peggio ancora da una forma di paranoia.
In realtà non è proprio così. Perché il motivo più importante che mi spinge oggi, più di ieri, a combattere pubblicamente nel mio piccolo la malauniversità sono i miei alunni di liceo. Sì, proprio loro. Sono quegli alunni di notevoli capacità e di belle speranze che alla fine del quinquennio liceale, innamoratisi improvvidamente delle discipline umanistiche, mi chiedono come potranno mai coltivare concretamente questa loro passione senza per forza iscriversi (dopo una laurea in lettere o in storia) nella lunga e frustrante e inaffidabile lista d’attesa dei prof di scuola media. Mi chiedono insomma, questi miei talentuosi, ingenui e disgraziati alunni, se esista per loro anche una qualche prospettiva più gratificante, dopo la laurea, nel mondo della ricerca e dell’università.
E io sono costretto a rispondere brutalmente che no, assolutamente no! Che devono sradicarsi dalla testa l’illusione che qualcuno di loro (senza un protettore-barone fra i parenti stretti o nella cerchia altrettanto ristretta delle proprie conoscenze) possa mai tentare con successo in Italia, con le proprie sole capacità, una strada del genere. E questa tristissima rivelazione fatta a diciannovenni che credono ancora (come il Renzo manzoniano) nella giustizia del mondo, questa profanazione delle loro vergini speranze, questa violenta e prematura agnitio cui li costringo anzitempo è più dolorosa per me –credo – che la infliggo, che per loro che la patiscono (molto spesso, devo dire, con grande sorpresa e incredulità). Perché offende e beffeggia e distrugge in un soffio (prima che i loro legittimi sogni) l’idea stessa di educazione che ancora nei nostri licei si cerca di trasmettere: educazione all’onestà, alla limpidezza morale, al merito, al rispetto delle regole. Perché mi tocca svelare prematuramente loro che la partita che desidererebbero giocarsi su quel campo che si chiama università italiana essi non potranno mai vincerla. Non tanto perché si tratti di una partita difficilissima, quanto perché quella partita è fittizia, truccata, decisa già a tavolino. Che per quanti goal su quel campo essi potranno segnare con la loro bravura di fuoriclasse ci saranno sempre arbitri pronti a fischiare rigori inesistenti in più per i loro protetti.
E il male che la nostra università infligge in questo modo ai nostri giovani migliori è intollerabile.
Perciò non può essere taciuto.
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