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Archive for febbraio 2014

L’olio esausto e lurido dell’auto si cambia

per non farla grippare, non perché ci si aspetti

che l’olio nuovo fluirà per le vene del motore

puro e limpido in eterno. Se no, meglio

lasciarlo inutilmente chiuso immacolato

nell’urna vergine della sua lattina.

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Le verità del mondo si vedono e si giudicano meglio dall’alto e dall’esterno. Il senso degli eventi, la loro direzione si focalizzano meglio a distanza. Lo dicono bene i miei soliti autori latini. Lucrezio: Suave mari magno turbantibus aequora ventis etc; o Cesare Caesar idoneum locum nactus quid quaque ex parte geratur cognoscit etc.

Ahimè, ecco che mi tocca scendere subito dalle altezze letterarie di questa premessa per applicarne l’insegnamento alla realtà impoetica della nostra scuola.

Leggo che gli ultimi ministri accarezzano sempre più amorevolmente l’idea che la scuola media superiore sia accorciata da 5 a 4 anni. Perché – dicono – è così in molti paesi d’Europa. Perché così si permette ai giovani di anticipare di un anno la loro scelta universitaria. Perché così si crea un corso superiore di studi più flessibile e agile e personalizzato in vista dell’università. Chi è vaccinato contro questo linguaggio aziendo-scolastichese felpato e sornione del ministero fiuta subito che c’è sotto, come sempre, un secondo e un terzo fine. Ma per scoprirli meglio bisogna salire un po’ più in alto, come i saggi epicurei e i generali dell’antichità. E salendo un poco e osservando i programmi attuali di studio delle superiori si vede subito che un anno in meno significa uno studio liceale molto più raffazzonato e sommario (vogliamo chiamarlo agile?) delle materie sia scientifiche che umanistiche. Salendo ancora un po’ si vede meglio che la scomparsa di un anno nel curricolo superiore significa la scomparsa di un quinto delle cattedre – già falcidiate di recente – e dei prof, specialmente i precari. Fin qui – direi – una visione (o uno spettacolo) poco edificante che si poteva immaginare, per facile deduzione matematica, anche restando in pianura. Ma se saliamo più in alto ancora, molto più in alto, ecco che osserviamo che questo assottigliarsi degli anni e delle materie di studio e delle cattedre alle superiori non coincide con un analogo sfoltimento di anni di studi e di cattedre all’università. Anzi: da più di un decennio il corso universitario di studi è stato artificiosamente (e rovinosamente – aggiungerei – per i curricoli del settore umanistico, persino a detta di molti illustri cattedratici della vecchia guardia) allungato di un anno per tutti (il famigerato 3+2!). Ecco cosa si vede scalando la montagna della verità: un liceo violentemente accorciato, come in un letto di Procuste, e una università innaturalmente allungata e liceizzata. Chissà perché? Chissà che cosa vorranno dire queste manovre strategiche di lungo termine che tolgono, sempre e immancabilmente, minestra da un piatto già semivuoto e la aggiungono, sempre e immancabilmente, ad un altro ipergarantito? Chissà perché, infine, al ministero della Istruzione e della Università siedono quasi sempre ultimamente rettori universitari e mai professori o presidi di scuola media? Chissà perché da oltre un lustro gli stipendi dei prof sono bloccati, qualsiasi contrattazione negata, le condizioni e i carichi di lavoro aumentati (e destinati ad aumentare) gratuitamente a dismisura, le classi diventate rumorosi e ingestibili pollai? Tutto ciò mentre la casta degli accademici (almeno ai suoi livelli medio alti) conserva posti, stipendi e privilegi intatti, compreso quello di occupare numerosa in ogni legislatura gli scranni del parlamento e del governo (quasi il 20% di deputati e di senatori e gran parte dei ministri, benché essa rappresenti meno dello 0,1 % degli elettori!!) e pressoché stabilmente la sedia ministeriale della Minerva? Ai lettori l’ardua risposta…

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Figo/sfigato: così molti ragazzi di oggi definiscono rispettivamente il cantante/attore/sportivo da loro idolatrato e il letterato/pensatore/intellettuale che, con infinita sopportazione,  studiano a scuola. Basterebbe questa coppia di antonimi corradicali a illuminare la crisi irreversibile dell’istituzione- scuola e le sue cause (sotto)culturali. E invece si straparla e si sproloquia continuamente nei media sulla prima e sulle seconde riproponendo fino alla nausea come rivoluzionarie proposte e ricette di ‘riforma’ che in realtà sono, in gran parte, già vecchie e fallite. Mi tocca così di leggere (nel fondo dell’ultimo numero del domenicale del Sole24ore firmato da Franco Lorenzoni) l’ennesima filippica contro i presunti catastrofisti e difensori dello status quo identificati, nella fattispecie, nei miei colleghi e scrittori Mastrocola, Lodoli ecc., colpevoli – semplicemente – di denunciare la realtà fattuale della nostra scuola: il fallimento, cioè – paradosso dei paradossi! – , della scuola di massa in una società massificata. Ma questo fallimento è già tutto iscritto e significato proprio in quel binomio antonimico di cui sopra. Inutile (o quasi) prendersela con Lodoli e Mastrocola invocando una scuola meno cattedratica e stantia che ‘motivi’ e ‘coinvolga’ gli studenti in un apprendimento ‘sperimentale’ o selezioni solo insegnanti super-motivati e super–motivatori che esistono soltanto nel mondo delle idee. La verità è che la maggior parte degli studenti non sente più alcuna attrazione per Tasso, Leopardi o Schopenhauer in qualsiasi salsa li si condisca o li si faccia loro condire. Questo è il drammatico punto. O espelliamo la cultura alta dalla scuola e ci riduciamo a fare nient’altro che un po’ di internet, di attualità e di inglese, oppure l’80% dei nostri adolescenti continuerà, mentre noi facciamo lezione, a pensare ad altro. Perché contro il chiacchiericcio banalmente edonistico,vacuo e inconcludente dei vecchi e dei nuovi media Tasso, Leopardi o Schopenhauer non hanno più nessuna chance di far sentire la loro voce.

P.S.: questo mio articolo è stato pubblicato oggi (02.03.2014) nel domenicale del Sole24ore. Ringrazio la redazione di quel giornale per l’attenzione riservatami e Franco Lorenzoni per la controreplica in calce alla pubblicazione del mio intervento.

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«Arrivo a dire che se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità

(F. Dostoevskij, Lettera a N.D. Fonvizina, 1854, in Lettere sulla creatività, Feltrinelli, Milano 1994, p. 51).

Se Leopardi avesse potuto conoscere questo celebre pensiero di Dostoevskij l’avrebbe giudicato tra i più nobili e poetici ma anche tra i più irragionevoli e assurdi che un essere umano adulto potesse mai concepire.

E io preferirei – purtroppo, ma senza esitazione – restare con Leopardi piuttosto che con Dostoevskij.

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Qualcuno si chiederà: perché in questo blog la rubrica contra academicos? Perché tanto insistito e risentito sdegno, in queste pagine, verso il mondo universitario?

A queste domande il racconto della mia storia di vittima esemplare (insieme a tanti altri) dell’accademia italiana – di cui per altro non ho mai fatto parte a nessun titolo – fornirebbe forse la risposta più pertinente ma nel contempo davvero troppo personale e poco attraente per un lettore che non conosca gli arcana di quel sistema chiuso nella patologica e nociva difesa dei suoi inespugnabili privilegi. Per di più questo racconto alimenterebbe il fondato sospetto che la mia denuncia nasca solo dal risentimento e da un basso istinto di rivalsa. O peggio ancora da una forma di paranoia.

In realtà non è proprio così. Perché il motivo più importante che mi spinge oggi, più di ieri, a combattere pubblicamente nel mio piccolo la malauniversità sono i miei alunni di liceo. Sì, proprio loro. Sono quegli alunni di notevoli capacità e di belle speranze che alla fine del quinquennio liceale, innamoratisi improvvidamente delle discipline umanistiche, mi chiedono come potranno mai coltivare concretamente questa loro passione senza per forza iscriversi (dopo una laurea in lettere o in storia) nella lunga e frustrante e inaffidabile lista d’attesa dei prof di scuola media. Mi chiedono insomma, questi miei talentuosi, ingenui e disgraziati alunni, se esista per loro anche una qualche prospettiva più gratificante, dopo la laurea, nel mondo della ricerca e dell’università.

E io sono costretto a rispondere brutalmente che no, assolutamente no! Che devono sradicarsi dalla testa l’illusione che qualcuno di loro (senza un protettore-barone fra i parenti stretti o nella cerchia altrettanto ristretta delle proprie conoscenze) possa mai tentare con successo in Italia, con le proprie sole capacità, una strada del genere. E questa tristissima rivelazione fatta a diciannovenni che credono ancora (come il Renzo manzoniano) nella giustizia del mondo, questa profanazione delle loro vergini speranze, questa violenta e prematura agnitio cui li costringo anzitempo è più dolorosa per me –credo – che la infliggo, che per loro che la patiscono (molto spesso, devo dire, con grande sorpresa e incredulità). Perché offende e beffeggia e distrugge in un soffio (prima che i loro legittimi sogni) l’idea stessa di educazione che ancora nei nostri licei si cerca di trasmettere: educazione all’onestà, alla limpidezza morale, al merito, al rispetto delle regole. Perché mi tocca svelare prematuramente loro che la partita che desidererebbero giocarsi su quel campo che si chiama università italiana essi non potranno mai vincerla. Non tanto perché si tratti di una partita difficilissima, quanto perché quella partita è fittizia, truccata, decisa già a tavolino. Che per quanti goal su quel campo essi potranno segnare con la loro bravura di fuoriclasse ci saranno sempre arbitri pronti a fischiare  rigori inesistenti in più per i loro protetti.

E il male che la nostra università infligge in questo modo ai nostri giovani migliori è intollerabile.

Perciò non può essere taciuto.

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