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Archive for giugno 2020

Il Manuale di Scienze umane Pedagogia Psicologia - Pedagogia ...
Fedor Dostoevskij: la libertà del bene e del male

«A un ragazzino può essere detto tutto, proprio tutto. Mi sorprendeva sempre il pensiero che gli adulti conoscano così poco i bambini, persino i propri figli! Non bisogna nascondere nulla ai bambini col pretesto che sono piccoli e che certe cose non conviene le sappiano in così tenera età. Che pensiero triste e disgraziato! E come gli stessi bambini si accorgono bene che i genitori li considerano troppo piccoli e credono che non capiscano nulla, mentre capiscono tutto, invece! Gli adulti non sanno che spesso i bambini sono capaci di dare un consiglio prezioso anche in faccende molto serie…» (F. Dostoevskij, L’idiota, Garzanti, Milano 1980, p. 84 – Trad. di R. Küfferle con ritocchi)

Ascolto ripetutamente in questi giorni nei salotti televisivi litanie di giornalisti e opinionisti (e tra questi ultimi, spesso, psicologi, pedagoghi, sociologi) che tendono ad affermare il contrario di queste parole di Dostoevskij. Dicono che bambini e ragazzi vanno difesi dalla realtà, specie quando è troppo dura e traumatica, allontanati da ogni fonte di disagio e di sofferenza. Sottolineano in particolare che l’alterazione forzata delle loro abitudini di vita in questo periodo di emergenza (la clausura domestica, la lontananza dalle aule scolastiche) può aver causato danni incalcolabili al loro equilibrio psichico.

Chi ha ragione?

La mia lunga esperienza di insegnante e di genitore mi dice che ancora una volta il genio dell’artista ha còlto di più nel segno.

Non sempre invece le scienze umane, quelle psicopedagogiche in particolare, mi sembrano capaci di colpire il bersaglio allo stesso modo. Anzi ho spesso l’impressione che le loro affermazioni discendano più da edificanti ideali antropologici, astratti e precostituiti (e non poco condizionati dal mainstream culturale), che da una concreta ricerca sul campo della realtà umana. E che risultino perciò ben poco scientifiche e addirittura fuorvianti. Oserei azzardare che il bambino o il ragazzo di cui i pedagoghi parlano non sia proprio quello che si incontra nella vita quotidiana, familiare, sociale o scolastica, bensì un essere ipotetico o angelico, costruito e affermato a priori solo per suffragare la presunta coerenza e attuabilità delle loro belle teorie. Un bel circolo vizioso autoreferenziale, quasi inattaccabile, infalsificabile, direi.

Ma chi è (o è stato, come me) a contatto con degli adolescenti non può non fiutare nelle parole di Dostoevskij l’odore della autentica, ancorché misconosciuta ormai, natura dell’umano.

Difficile, secondo me, dargli torto: la persona giovanissima sa avvertire e comprendere l’avversità e il trauma, sa adattarvisi e reagirvi psicologicamente meglio degli adulti, proprio così come sa resistere fisicamente meglio a un virus ignoto. Non dico che non risenta di quel trauma, ancor meno che debba essere lasciato solo ad affrontarlo, ma sono convinto che sappia affrontarlo e metabolizzarlo con una elasticità ed una adattabilità – e una fantasia – superiore a quella dei suoi genitori e dei suoi nonni. Se presumiamo e addirittura teorizziamo invece che non sappia farlo, che sia un fragile esserino, indifeso e inconsapevole, esposto a tutte le insidie, ai colpi e alle minacce di un mondo per lui incomprensibile, questo accade forse perché gli adulti di oggi, imbevuti e infrolliti fino alle midolla da un edonismo miope ed egocentrico, proiettano indebitamente sui loro piccoli la propria paura e la propria rimozione totale del male, del dolore e della morte. Paura e rimozione che sono, da decenni ormai, la base inscalfibile della loro fragilissima forma mentis. Perciò gli adulti di oggi non educano più i loro figli: perché sono unicamente intenti a proteggerli, finché possono, dal mondo esterno dentro la campana di vetro, perfettamente asettica ed anestetizzata, del loro stesso paradiso artificiale. E da immaturi ed eterni ragazzini impediscono ai loro ragazzi di crescere.

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