Mi ero ripromesso già dalla riapertura di questo blog di parlare il meno possibile di scuola nei suoi aspetti più contingenti. Ma la drammatica e allarmante china che la conduzione politica della scuola pubblica sta imboccando negli ultimi tempi – ed a velocità uniformemente accelerata – mi ha costretto più volte e mi costringe ancora a ritrattare le mie intenzioni.
Tuttavia, visto il discredito infondato ma irrimediabile di cui soffre un docente medio presso l’opinione pubblica (il 50% degli italiani crede – finge di credere?- contro ogni evidenza che gli insegnanti lavorino solo 18 ore e godano di tre mesi di vacanze! ), preferisco questa volta affidare la parola a personaggi della nostra storia patria più autorevoli di chi scrive.
Il primo è Piero Calamandrei:
[Estratto dal Discorso pronunciato al III congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale (Adsn), a Roma l’11 febbraio 1950. ]
«Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli, ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura.
Allora che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato E magari si danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna discutere.
Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d’occhio i cuochi di questa bassa cucina. L’operazione si fa in tre modi: ve l’ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico.»
Piero Calamandrei, in “Scuola democratica”, 20 marzo 1950
Il secondo è Luigi Einaudi:
«Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana, tanto meno per 30 ore. La scuola, a volerla fare sul serio, con intenti educativi, logora. Appena si supera un certo segno, è inevitabile che l’insegnante cerchi di perdere il tempo, pur di far passare le ore. Buona parte dell’orario viene perduto in minuti di attesa e di uscita, in appelli, in interrogazioni stracche, in compiti da farsi in scuola, ecc., ecc. Nasce una complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e scolari a far passare il tempo, pur di far l’orario prescritto dai regolamenti e di esaurire quelle cose senza senso che sono i programmi. La scuola diventa un locale, dove sta seduto un uomo incaricato di tenere a bada per tante ore al giorno i ragazzi dai 10 ai 18 anni di età ed un ufficio il quale rilascia alla fine del corso dei diplomi stampati. Scolari svogliati, genitori irritati di dover pagare le tasse, insegnanti malcontenti; ecco il quadro della scuola secondaria d’oggi in Italia. Non dico che la colpa di tutto ciò siano gli orari lunghi; ma certo gli orari lunghi sono l’esponente e nello stesso tempo un’aggravante di tutta una falsa concezione della missione della scuola media […] A me sembra che 18 ore di lezione alla settimana sia il massimo che possa fare un insegnante, il quale voglia far scuola sul serio, e quindi prepararsi alla lezione e correggere i compiti coscienziosamente ed attendere ai gabinetti di fìsica o chimica; il quale, sopra tutto, voglia studiare.»
Luigi Einaudi, dal “Corriere della Sera” – 21 aprile 1913.
Sono interventi molto noti e vecchi, rispettivamente, di 60 e di 100 anni. Rimangono tuttavia attualissimi ed istruttivi. Non c’è infatti chi non possa constatare l’abisso che separa l’intelligenza profetica, il buon senso, l’attenzione e l’amore verso la scuola di stato che hanno ispirato queste parole e la sciatta e volgare e sprezzante insipienza e/o malafede di ciò che dicono e fanno (o vorrebbero fare) della nostra istruzione pubblica i politici italiani dell’ultimo ventennio. Senza, ahimé, grande differenza per questi ultimi – negli effetti almeno, se non nelle intenzioni – tra i vari schieramenti politici. Perché io ho sostenuto e continuo a sostenere per amore di verità e di imparzialità che prima di essere brutalmente massacrata dagli ultimi governi di centrodestra la scuola pubblica è stata malamente e cronicamente intossicata dalle pretenziose ‘riforme’ tecnocratiche e demagogiche del centrosinistra. E aggiungo che la recente e sbrigativa pratica eutanasica è stata molto favorita (o pretestuosamente giustificata) proprio dal lungo veneficio che l’ha preceduta.
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