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Archive for ottobre 2018

 

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È di imminente pubblicazione presso l’editore ENSEMBLE  di Roma  il mio nuovo libro di racconti intitolato Nota di addebito

Come recita la quarta di copertina si tratta di dieci racconti in forma monologica, dieci diverse voci narranti attraverso le quali,  in un flusso di coscienza incessante, si riproducono i molteplici affluenti dell’animo umano. Un’indagine aperta, vivida e genuina, in cui sentimenti e risentimenti del vivere quotidiano si riflettono su sfondi ora attuali ora proiettati nella storia o nella leggenda, a comporre il caleidoscopio contraddittorio e affascinante dell’esistenza.

Il libro sarà disponibile nelle librerie e nei bookshop online a partire dal 19 Novembre, ma è già possibile prenotarlo presso il sito dell’editore e di qualche altro bookshop:

https://www.edizioniensemble.it/prodotto/nota-di-addebito/

https://www.lafeltrinelli.it/libri/paolo-mazzocchini/nota-addebito/9788868813406

https://www.amazon.it/Nota-addebito-Paolo-Mazzocchini/dp/8868813408/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1541060543&sr=1-1&keywords=mazzocchini

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La mia recente raccolta di poesie Pietra e farfalla (edita nel 2017 con Ladolfi) è stata appena segnalata dalla rivista on line YAWP Giornale di letterature e filosofie, che ne riporta, oltre ad uno stralcio dell’introduzione di Giulio Greco, alcune liriche significative:

http://www.letterefilosofia.com/pietra-e-farfalla-poesie-edite-di-paolo-mazzocchini/

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Risultati immagini per proteste studentesche

Lenin non si sarebbe aspettato così fedeli e singolari epigoni. Tutti gli anni, immancabilmente, con qualsiasi governo, con qualsiasi tempo meteorologico (ma di preferenza quando le previsioni sono favorevoli) gli studenti delle superiori scendono in piazza annunciando la loro (periodica) rivoluzione d’Ottobre. Sì, perché proteste, manifestazioni, autogestioni studentesche sono da 50 anni come una malattia di stagione: l’autunno, il primo autunno è il picco del contagio piazzaiolo. Poi tutto si tace. D’inverno, intendo, quando fa freddo e ci sono le vacanze natalizie e le feste carnevalesche. Ma anche in primavera, quando ci sono le gite scolastiche e si ha bisogno di studiare di più in vista dello scrutinio finale. Ma Ottobre è diverso: Ottobre è un mese lungo, ancora mite, per giunta senza feste né ponti. Il momento più adatto per protestare. Contro che cosa? Contro i tagli e le cattive riforme. Contro i tagli, se ci sono buone riforme. Contro le cattive riforme, se non ci sono i tagli. E se pure ci fossero buone riforme senza tagli si protesterebbe lo stesso. Un motivo lo si trova, sempre. Per qualche giorno di vacanza in più.

Quest’anno per esempio, di fronte a un governo che ha (ridicolmente) semplificato le difficoltà dell’esame di maturità ma che sta (giustamente) ridimensionando l’infame alternanza scuola-lavoro, gli studenti dovrebbero avere in teoria di che essere soddisfatti. Invece no: il governo –dicono- non sta investendo abbastanza sulla scuola. Verissimo. Sai che novità! Ebbene, volete protestare in maniera efficace e credibile per questa ormai decennale manchevolezza? Vi butto là una proposta: organizzate in tutte le città d’Italia, un sabato sera, una notte bianca per la scuola, con manifestazioni, stand, dibattiti in cui coinvolgere anche gli adulti, i genitori, i professori, i politici… Che ne dite? Perché storcete il muso? Non sarà perché è di sabato sera e ne va di mezzo la discoteca, la passeggiata e la cena con gli amici? Però riflettete, ragazzi: se volete essere credibili ed efficaci dovete rimetterci qualcosa, pagare un prezzo. Se no che rivoluzionari e che protestatari siete? Se volete crescere e cambiare davvero le cose, dovete studiare (sudando) di più e meglio (la storia, soprattutto, ma poi anche la filosofia, le lettere…). Solo così potrete capire a fondo quanto oggi voi, come studenti e come giovani, siete soprattutto un formidabile target elettorale e pubblicitario. Che il sistema edonistico-consumistico ha un famelico bisogno di voi come consumatori ed elettori, mentre si disinteressa beatamente di voi come persone, come cittadini e come lavoratori. Prendere profonda coscienza di questa vostra condizione vi permetterebbe magari di sfruttarla politicamente al meglio a vostro legittimo vantaggio. Ma questa coscienza solo lo studio, la lettura, la buona informazione e i buoni insegnanti ve la possono dare. Meno smartphone e più libri, insomma. Molti, molti più libri. Molto più studio. E manifestare quando bisogna nel modo più credibile possibile. Altrimenti le rivoluzioni d’ottobre faranno il gioco di quelli che dite di voler combattere. Del ministro giovanilista di turno. Quello che al primo vociare della vostra piazza ottobrina vi dice: «Io sono con voi, sono uno di voi, anche se mi avete sbertucciato nei vostri striscioni e mi avete persino bruciato in piazza in effigie. Fino a ieri anch’io protestavo in piazza: figuratevi se non vi capisco…». E poi, sorridendovi con dentatura smagliante, promette di ricevere presto una vostra delegazione per darvi tutto l’ascolto e la soddisfazione che desiderate. Esattamente come ha fatto l’anno prima il suo predecessore. O come hanno fatto tre, dieci, venti anni prima i predecessori del suo predecessore…

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Risultati immagini per diego fusaro

Incuriosito dalla fama mediatica del personaggio e dall’ammirazione fervida, a dir poco, che diversi miei ex alunni di liceo nutrono per lui, mi sorprendo ogni tanto a visitare pagine e video di Diego Fusaro, nuova star della filosofia da salotto televisivo, giovane (prestante, brillante, eloquente) cuciniere dei luoghi comuni del nuovo pensiero alternativo telegenico. Intelligenza, cultura e carisma di questo personaggio non si discutono, anche se mi sembrano messi al servizio molto più della facile acquisizione del consenso che della difficile indagine della verità. A me che non sono più tanto giovane desta particolare irritazione di lui la disinvoltura con la quale mescola, nei suoi attacchi al cosiddetto ‘sistema capitalistico- finanziario transnazionale’ ingredienti di destra e di sinistra in un indigeribile brodetto di pesce. Ma tant’è: ammettiamo pure che oggi questa ibridazione politico-culinaria sia ormai un dato di fatto della ricetta populista e ‘anti-elitaria’. Ricordiamoci però che quando questa ibridazione avviene, quando nazionalismo e istanze socialiste si coniugano insieme, ne può venir fuori, linguisticamente prima che ideologicamente, una salsa nazional-socialista…

Ma non vorrei vedere nel pensiero di Fusaro implicazioni così sinistre. O destre.

Mi basti qui averlo còlto in castagna in una contraddizione molto futile ma clamorosa che è difficile, secondo me, liquidare come una svista o un lapsus. Uno di quegli svarioni veniali per i più ma imperdonabili in chi tradisce, con degnazione e compiacimento, ad ogni frase che pronuncia, un complesso di inarrivabile superiorità intellettuale e culturale.

Fusaro difende a spada tratta in molti suoi interventi sulla stampa e nel web la cultura classica. Elogia la cultura umanistica come antidoto al dominio pervasivo dei valori mercantili e finanziari delle élite. Fin qui potrei trovarmi facilmente d’accordo.

Usa (ostenta) inoltre un italiano ricco, intellettualistico e forbito che infarcisce continuamente di parole e di frasi di lingue straniere, moderne e soprattutto antiche. Qui già si potrebbe obiettare che parlare con un lessico ricco sì, va bene, ma parlare complicato e oscuro può diventare (in certi contesti comunicativi) il troppo che storpia, una versione elegante del latinorum di manzoniana memoria.

E poi chi di latinorum ferisce, di latinorum rischia di perire. Così è accaduto a lui. Ma nessuno – credo- se n’è accorto, lui compreso. Purtroppo per Fusaro, però, il web non dimentica. Si veda il filosofo in questo intervento sull’immigrazione:

http://www.la7.it/laria-che-tira/video/diego-fusaro-essere-di-sinistra-non-significa-essere-a-favore-dellimmigrazione-marx-critic%C3%B2-14-03-2018-236468

Ad un certo punto il Fusaro spara la sua bella frase in latino: Marx et Gramsci docunt! Bellissima perla. Docunt anziché docent…. Errore morfologico sesquipedale. Come dire in italiano: insegnono anziché insegnano. Tutti gli studenti di ginnasio lo sanno (dovrebbero saperlo), ma non lo sa (non lo ricorda più?) il coltissimo filosofo poliglotta e sedicente cultore ed estimatore delle lingue classiche…

Questo episodio me ne ricorda curiosamente un altro analogo, ma di risonanza pubblica infinitamente minore. Tanti anni fa, agli esordi della mia carriera di insegnante, un mio collega filosofo – anche lui per parte sua bravissimo parlatore e incantatore di studenti- durante un collegio in cui si disquisiva di didattica durò un paio d’ore a ripetere lo stesso verbo latino all’infinito, ma con l’accento clamorosamente sbagliato: dòcere anziché docère. Finché una collega di lettere del ginnasio si alzò in piedi, indispettita, a sbugiardarlo…

Latinorum nemesis philosophantium, evidentemente. Ovvero: latinorum philosophantibus fatale. [traducano i filosofi che ne sono capaci…]

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Del desiderio puoi

perdutamente

innamorarti. Della ragione

ciecamente fidarti.

 

Incapacità di intendere e di volere: triste, crepuscolare, penosa.

Capacità di intendere e incapacità di volere: frustrante, dolorosa, tragica.

Incapacità di intendere e capacità di volere: incontenibile, sordocieca, devastante.

 

Più falsa e più pericolosa del falso è una mezza verità, o – peggio-  piccoli e semplici frammenti di una verità staccati dal quadro complesso e completo di essa.

Premesso che si può e si deve, in politica, esprimersi e manifestare per qualsiasi idea od obiettivo, ne consegue però necessariamente che la credibilità della manifestazione dipende molto più dalla credibilità del manifestante che da quella della causa per cui egli manifesta. Banalmente ma efficacemente esemplificando: nulla sarebbe la credibilità di una manifestazione in favore della donazione del sangue che fosse organizzata da vampiri impenitenti; o una manifestazione contro la schiavitù che fosse promossa e finanziata da negrieri in piena attività. Ciò che si è (e si fa) è la garanzia più credibile di ciò che si dice di essere (e di voler fare).

Se a nulla serve lo specchio dell’esperienza di un genitore per distogliere un figlio da una scelta sbagliata, figuriamoci se gli errori passati di un popolo o dell’intera umanità potranno aiutare i posteri a non ripeterla. Dalla storia – ahimè, temo – si impara più che altro la nostra tragica incapacità di imparare da essa.

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