Quand’ero piccolo, dopo pranzo, le madri lavavano i piatti e i padri fumavano tranquilli una sigaretta prima di tornare al lavoro. Adesso, dopo pranzo i padri lavano i piatti prima di tornare al lavoro (se ce l’hanno ancora). Comunque li lavano, doverosamente, a prescindere. E senza discutere.
Quand’ero ragazzo per incontrare gente si andava in piazza, in oratorio, al bar ecc. Oggi invece la si incontra prima virtualmente e rigorosamente sui network. Poi, magari, se ci si riesce, anche fisicamente nello shopping al mega-centro commerciale.
Quand’ero piccolo tutti i figli dovevano ubbidire ai genitori. Adesso molti sono i genitori che ubbidiscono ai figli. Talvolta, persino, si lasciano docilmente condurre da loro al guinzaglio.
Quand’ero piccolo, dalle elementari al liceo, andavo a scuola a piedi e poi in corriera. Poi da genitore, per 15 anni ininterrotti ho sempre portato i figli a scuola in macchina. Ma pure al cine, in palestra, alle cene di classe ecc ecc.
Quand’ero ragazzo, se sgarravo coi professori, i miei genitori se la prendevano con me. Adesso se un ragazzo sgarra con un prof(essore) i genitori se la prendono col prof(essore). Cioè sempre con me, che nel frattempo ho avuto la pessima idea di diventare prof(essore).
Quand’ero studente si andava in gita ogni tanto entro un raggio non superiore ai 150 km da casa. Rigorosamente dopo i 14 anni, s’intende. Solo l’ultimo anno di liceo si poteva raggiungere per due o tre giorni Roma o Firenze. Oggi se in una gita scolastica di quindicenni non si arriva almeno a 500 km di distanza non vale. Altrimenti parrebbe di fare una scampagnata fuori porta.
Quand’eravamo ragazzini avevamo pen-friends all’estero coi quali scambiavamo due lettere all’anno, perché ci mettevano mesi a arrivare. Oggi ragazzi hanno centinaia di ‘amici’ su FB in Italia, in Europa e in vari altri continenti con cui scambiano continuamente messaggi in tempo reale. Che cosa avranno poi da dirsi…
Quand’ero ragazzo i partiti di sinistra erano quelli che volevano fare leggi a favore dei lavoratori e dei più deboli. Oggi si fanno chiamare di sinistra quei partiti che fanno leggi contro i diritti dei lavoratori e a favore della precarietà, della licenziabilità ecc. Mah….
Quand’ero ragazzo vedevo quelli di 40 anni andare in pensione. Oggi vedo quegli stessi – ormai ultrasettantenni, che stanno in pensione da quasi 40 anni, mentre io – a sessant’anni e dopo 40 di lavoro – sono ancora crocifisso al mio posto lavoro. E devo pure considerarmi fortunato, perché non sono ‘esodato’.
Quand’ero ragazzo i sessantenni erano pensionati con figli adulti e autonomi e qualche nipotino da spupazzare occasionalmente per diporto passeggiando al parco comunale. Oggi i sessantenni spesso hanno ancora figli a carico, studenti o disoccupati che siano, e in aggiunta anziani novantenni da accudire e il lavoro che ancora li perseguiterà, fino alle soglie del Tartaro…
Quand’ero piccolo, e andavo in campagna da miei parenti, sentivo i contadini lamentarsi del lavoro in campagna. Oggi londinesi e parigini vengono a mettere su aziende agricole nelle nostre campagne, magari ristrutturando le case che i nostri contadini di allora hanno abbandonato.
Quand’ero ragazzo mi dicevano che tra le virtù cardinali c’era la coerenza. Oggi, al contrario, la flessibilità, la disponibilità a cambiare continuamente. Cioè il suo esatto contrario. Mah…
Quand’ero giovane mi dicevano che – nei rapporti umani e di lavoro – bisognava ascoltare e seguire i più anziani. Adesso che sono ormai anziano dicono che gli anziani devono lasciare spazio, cedere il passo ai più giovani. Al limite, accettare pure di essere rottamato…
Quand’ero piccolo nella Tv di stato si trasmettevano quotidianamente per milioni di spettatori e in prima serata: teatro e sceneggiati tratti da grandi capolavori letterari. Oggi invece: Affari tuoi, Tale e quale show ecc ecc. Meno male che adesso c’è l’alternativa del digitale con qualche canale più serio che ritrasmette spesso i programmi di allora (sob!); canale seguito oggi, per altro, da poche decine di nostalgici …
Quand’ero ragazzo mi dicevano: dài, sbrigati a studiare che prima finisci, prima ti trovi un bel posto e non devi emigrare. Oggi noi genitori diciamo ai nostri figli: che studi a fare, tanto il posto non c’è, o è stato riservato a quelli che contano. Se proprio vuoi studiare, rassegnati poi ad emigrare. All’estero.
[to be continued]
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