Presunzione fra le più stolte e pericolose è quella di coloro che pensano che la realtà umana – specie nella sua dimensione collettiva- sia modificabile in toto secondo i criteri di una ‘bella’ proiezione (ovvero progetto o modello o ideologia) mentale/ideale che essi, di quella realtà, si sono confezionata nel chiuso, asfittico recinto della loro scatola cranica.
Come se le forze naturali concrete che muovono questa realtà (di per sé irrazionali, fluide, contraddittorie e conflittuali) potessero soggiacere a gabbie razionali solo perché queste ultime appagano intellettualmente e moralmente coloro che le hanno, in astratto, costruite.
Basterebbe osservare banalmente, senza scomodare la psicoanalisi, quanta fatica costa migliorare se stessi osservandosi, mettendosi in discussione, cercando di modificare le proprie cattive abitudini. Quanto sforzo, per esempio, richiede (come accade allo Zeno sveviano) smettere di fumare, o mangiare di meno, o raccogliere la spazzatura in modo differenziato…
Se ne deduce a fortiori che pretendere di cambiare radicalmente una comunità o una società sulla base di appaganti modelli astratti è solo rovinosa utopia. Tutta la storia del novecento sta lì, davanti ai nostri occhi, a dimostrarcelo.
Perché modificare la realtà umana facilmente si può, ma -purtroppo- solo in peggio. Cioè assecondando – se si ricopre un ruolo educativo o politico – e rafforzando in una crescente deregulation i suoi istinti basilari (non dico neanche i peggiori).
Allora sì che si va in discesa.
Perché corrompere è molto più facile che educare. Con conseguenze tuttavia alla lunga incontrollabili, anche per il corruttore.
Ma se per educazione, come dicevo sopra, si intende – all’opposto – la pretesa utopica di far remare l’educando contro corrente, cioè contro natura, e di attuare una palingenesi antropologica e sociale in questo caso il fallimento del progetto è sicuro.
Ed i risultati di questa operazione non sono oggettivamente meno deleteri – si badi bene – di quelli della corruzione.
Perché gli impulsi della natura umana non possono essere conculcati, ma solo incanalati.
L’ottimo educatore/politico è colui che costruisce saggiamente, infaticabilmente, canali, una rete di canali per trasformare in una benefica opera di irrigazione l’irruenza anarchica e conflittuale dei torrenti.
La pazienza, la duttilità, la concretezza, l’equilibrio degli interventi sono le sue uniche armi vincenti.
Sarà l’impeto dell’acqua, la natura del terreno, il clima della regione a dettargli di volta in volta le strategie atte allo scopo.
Non la bella idea astratta, platonica (di natura-giardino addomesticata) che ha in testa di realizzare.
Perché, se così facesse, sarebbe tentato inevitabilmente di prosciugare fiumi, di spianare colline, di abbattere boschi.
Sognando un paradiso creerebbe solo devastazioni.
P.S.: Avevo cominciato a scrivere questo pezzo pensando alle ideologie politiche che nulla hanno realizzato se non lutti e sciagure nell’intento – talora anche nobile – di rifondare la società: mi sono accorto ora che esso si adatta molto bene anche alle ‘ideologie’ didattico-pedagogiche che hanno infestato negli ultimi decenni il nostro sistema scolastico.
Un’esperienza meno drammatica solo per chi non ha vissuto dall’interno la scuola italiana degli ultimi anni.
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