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Archive for dicembre 2010

La millesima volta
smemoro nei tuoi vicoli
erosi dal vento tramontano
inerpicandomi tra mute
generazioni di case, ruvide
brecce e restauri
sbozzati. La bora
tende nel dorso
irrigidito dei vetri,
fino allo spasimo, lugubri
sinfonie invernali.
 
È dicembre. Tra comignoli
sbeccati che tagliano
il profilo del cielo ristagna
il sangue rappreso del crepuscolo.
 
Nulla sento, oramai
fuorché l’elastico
tepore, la carezza
dell’asfalto fresco sulla gomma
indurita delle scarpe; la scossa
viva che le fibre
della terra trasmettono
alla corteccia delle gambe.
 
Trafelato approdo
ad un angolo di sassi
rugosi e di aria che dirupa
nel vuoto nero
luccicante del piano.
 
Qui ed ora,
in questi giorni di agonia
dell’anno, si attenua e si fa raro
il battito del tempo
sino a sostare, sospeso
davanti alla linea
ultima delle cose.

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«I più fra gli uomini preferiscono essere chiamati furfanti scaltri che onesti ingenui; e mentre della prima cosa si vantano, della seconda invece si vergognano» (Tucidide, Storie, III 82,7 [V sec. a.C])

Spietata – e sempre attuale – antropologia tucididea.
Certo, se nulla è cambiato in questi 2.500 anni che ci separano dallo storico greco; se ancora oggi la massima (amarissima) di Tucidide può diventare, almeno in Italia, lo slogan trionfante ed esibito di fazioni politiche; se intelligenza ed onestà non riescono ancora ad allearsi; allora è lecito chiedersi a che cosa siano serviti secoli di lavorìo intellettuale: filosofico, religioso, etico.
Nessun nano (!) è veramente mai salito sulle spalle dei giganti.
Nessuna bestia si è mai ammansita.
Il nocciolo duro della natura umana, la corteccia primordiale del cervello (quella che oggi si chiama orribilmente la pancia) resta lì, pietra rozza e dura, non scalfita né smussata dalla fata morgana di una cultura millenaria.
 

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Presunzione fra le più stolte e pericolose è quella di coloro che pensano che la realtà umana – specie nella sua dimensione collettiva- sia modificabile in toto secondo i criteri di una ‘bella’ proiezione (ovvero progetto o modello o ideologia) mentale/ideale che essi, di quella realtà, si sono confezionata nel chiuso, asfittico recinto della loro scatola cranica.
Come se le forze naturali concrete che muovono questa realtà (di per sé irrazionali, fluide, contraddittorie e conflittuali) potessero soggiacere a gabbie razionali solo perché queste ultime appagano intellettualmente e moralmente coloro che le hanno, in astratto, costruite.

Basterebbe osservare banalmente, senza scomodare la psicoanalisi, quanta fatica costa migliorare se stessi osservandosi, mettendosi in discussione, cercando di modificare le proprie cattive abitudini. Quanto sforzo, per esempio, richiede (come accade allo Zeno sveviano) smettere di fumare, o mangiare di meno, o raccogliere la spazzatura in modo differenziato…

Se ne deduce a fortiori che pretendere di cambiare radicalmente una comunità o una società sulla base di appaganti modelli astratti è solo rovinosa utopia. Tutta la storia del novecento sta lì, davanti ai nostri occhi, a dimostrarcelo.

Perché modificare la realtà umana facilmente si può, ma -purtroppo- solo in peggio. Cioè assecondando – se si ricopre un ruolo educativo o politico – e rafforzando in una crescente deregulation i suoi istinti basilari (non dico neanche i peggiori).

Allora sì che si va in discesa.
Perché corrompere è molto più facile che educare. Con conseguenze tuttavia alla lunga incontrollabili, anche per il corruttore.

Ma se per educazione, come dicevo sopra, si intende – all’opposto – la pretesa utopica di far remare l’educando contro corrente, cioè contro natura, e di attuare una palingenesi antropologica e sociale in questo caso il fallimento del progetto è sicuro.

Ed i risultati di questa operazione non sono oggettivamente meno deleteri – si badi bene – di quelli della corruzione.

Perché gli impulsi della natura umana non possono essere conculcati, ma solo incanalati.

L’ottimo educatore/politico è colui che costruisce saggiamente, infaticabilmente, canali, una rete di canali per trasformare in una benefica opera di irrigazione l’irruenza anarchica e conflittuale dei torrenti.

La pazienza, la duttilità, la concretezza, l’equilibrio degli interventi sono le sue uniche armi vincenti.

Sarà l’impeto dell’acqua, la natura del terreno, il clima della regione a dettargli di volta in volta le strategie atte allo scopo.

Non la bella idea astratta, platonica (di natura-giardino addomesticata) che ha in testa di realizzare.

Perché, se così facesse, sarebbe tentato inevitabilmente di prosciugare fiumi, di spianare colline, di abbattere boschi.

Sognando un paradiso creerebbe solo devastazioni.

 

P.S.: Avevo cominciato a scrivere questo pezzo pensando alle ideologie politiche che nulla hanno realizzato se non lutti e sciagure nell’intento – talora anche nobile – di rifondare la società: mi sono accorto ora che esso si adatta molto bene anche alle ‘ideologie’ didattico-pedagogiche che hanno infestato negli ultimi decenni il nostro sistema scolastico.

Un’esperienza meno drammatica solo per chi non ha vissuto dall’interno la scuola italiana degli ultimi anni.

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A Pompei la Casa del Moralista
crolla simultaneamente
al Piccolo Lupanare
(= 'mini-bordello', per i non antichisti).

Singolare metafora dell'Italia di oggi.

Simbolo pregnante; archetipo figurale delle nostre (in)civili discordie.

Par Condicio politico-archeologica.

Ovvero: crollo bipartisan con diritto di replica.

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SALSICCIAIO

Mi dici come diverrò grand'uomo,io che son salsicciaio?
SERVO A  
Diverrai perciò appunto grand'uomo! Perché sei piazzaiolo, furfante e temerario!
SALSICCIAIO  
Io non mi stimo degno del potere!
SERVO A
Povero me,perché non te ne stimi degno? Ti riconosci qualche buona qualità? Ne hai l'aria! Sei di buona famiglia?
SALSICCIAIO  
Per gli Dei, no, di gentaglia!
SERVO A
Felice te, che sorte! Che gran qualità per la vita politica!
SALSICCIAIO
Brav'uomo, non ho affatto istruzione! Appena appena so l'alfabeto, e anche questo alla peggio!
SERVO A  
È questo il solo guaio, che, sia pure alla peggio, lo sai! Guidare il popolo non è più cosa per un uomo colto né costumato, ma per un bestione,uno sporcaccione! Ah! Non respingere quanto ti offrono gli Dei con quest'oracolo!

 

Qualche volta leggendo testi antichi si prova un forte senso di spaesamento, di confusione spazio-temporale.
Ad esempio: questo dialogo teatrale è tratto da I Cavalieri di Aristofane, una commedia messa in scena ad Atene quasi 2.500 anni fa. Vi si parla di un Mercante di cuoio che raggiunge il potere per farsi gli affari propri grazie a una politica spudoratamente demagogica (= populistica); Demos (il Popolo, appunto) vi è rappresentato per allegoria nelle sembianze di un anzianotto scemo e rimbambito che si lascia completamente abbindolare dalle lusinghiere promesse del Mercante. Allora alcuni servitori onesti di Demos, preoccupati per la sua sorte, si danno da fare per trovare un antagonista del Mercante. Trovano scritto in un oracolo che il Mercante potrà essere contrastato sì, ma solo da un avversario degno di lui per ribalderia, cinismo, rozzezza e immoralità. Trovano così in un Salsicciaio la persona che fa al caso loro e la istruiscono sul responso oracolare e sul compito che lo aspetta.
A questo punto si inserisce il dialogo sopra riportato. Il quale è davvero interessante per diversi motivi.
Anzitutto per quell’effetto di spaesamento di cui dicevo. Perché a leggere che per avere successo in politica l’istruzione e la cultura non solo sono inutili ma addirittura controproducenti si precipita, vertiginosamente, dall’Atene del V secolo a.C. nel tetro squallore della vita pubblica nostrana.
E poi perché vi si dice, amaramente, che la gaglioffa demagogia del mercante non può trovare efficace antagonismo se non in se stessa, cioè nell’incarnazione di un alter ego speculare ed opposto al mercante medesimo.
E infine perché questa desolante affermazione viene fatta discendere da un oracolo, cioè dalla voce e dalla legge divina che per un greco antico coincideva – si badi bene – con la legge naturale.
In politica dunque, per natura, uguale si combatte con uguale, ribaldo con ribaldo, corrotto con corrotto, mascalzone con mascalzone. Insomma: loco a gentile, ad innocente opra non v'è, per dirla con Manzoni (e in accordo sostanziale con Machiavelli).
Però attenzione: il problema vero – se non si vuole cadere in un pessimismo fatalistico disarmante – non sta nel Ribaldo Populista ma in Demos, cioè nel Popolo. La stupidità della massa non è un dato di natura, ma è frutto, oggi come allora – e come mostra di capire bene anche Aristofane – di diseducazione sistematica delle menti e delle coscienze, ai fini del dominio e del tornaconto di pochi.
E siamo allora alle solite: l’unico antidoto al Mercante sta nell’educazione, dei giovani in particolare, e nella battaglia culturale, difficile – oggi quasi disperata –  ma irrinunciabile, contro i corruttori del popolo e della gioventù.
Già, quelli che nella democrazia ateniese antica rischiavano di essere condannati a bere la cicuta (talora anche ingiustamente, come nel caso di Socrate) e che invece oggi, nella nostra tragicomica videocrazia, sono innalzati alle più alte cariche dello stato dopo (e in virtù di) un trentennio di sfacciata flagranza di reato.

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