Leggo nell’ultimo Domenicale del Sole24ore una nota di diario di Paola Mastrocola che con molte ragioni stigmatizza la tendenza sempre più diffusa di scrittori e poeti a farsi performer, teatranti, promotori, lettori e interpreti di se stessi nella veste di attori e di star mediatiche. Questo avviene – aggiungerei – non solo per i pochi autori in vista sostenuti dalle grandi case editrici, ma anche – anzi direi ancora di più, sebbene in scala adeguatamente ridotta o circoscritta – per la pletora di noi piccoli, sconosciuti e semisconosciuti, ansiosi di emergere dall’anonimato. Ci sono molti di questi miei simili che si dibattono fra mille presentazioni, eventi materiali e virtuali, reading in librerie, locali pubblici, ristoranti, scuole, luoghi turistici ecc. ecc.
Niente di nuovo sotto il sole, in realtà.
Nell’antichità classica, specie nell’età proto-imperiale romana, andavano di moda le recitationes: poeti e poetastri si esibivano recitando i propri versi nei teatri e negli auditoria ed obbligando moralmente amici, conoscenti, clientes a intervenire, numerosi e spesso annoiati, per ascoltarli. Questo obbligo era difficilmente eludibile per gli invitati, soprattutto se anch’essi appartenevano al mondo delle lettere. E quindi si aspettavano prima o poi di essere a loro volta ricambiati del favore della presenza altrui nel momento in cui avessero essi stessi inscenato una propria recitatio.
Così si instaurava un circolo vizioso di reciproco ossequio che teneva in vita questo tipo (spesso moralmente, oltre che artisticamente, deleterio) di manifestazioni. Così si favoriva in quel genere di letteratura – per la consapevolezza del rischio sempre incombente della noia e della disattenzione di un pubblico scarsamente motivato – la tendenza ad uno stile enfatico, ‘urlato’, oppure ultra-artificioso; e il ricorso a toni e a temi di facile effetto: sangue, violenza, pathos elevati alla massima potenza…
Letteratura (o pseudo- letteratura) che si trasformava continuamente in spettacolo.
Nulla di sostanzialmente diverso, ripeto, da quello che accade oggi.
Ma oggigiorno la smania esibizionistica di letterati o sedicenti tali è, sicuramente, centuplicata rispetto ad allora. Direi ossessiva, parossistica.
Non potrebbe essere diversamente. Perché emergere tra migliaia e migliaia di concorrenti (quanti sono oggi in Italia gli aspiranti scrittori, sulla carta e nel web) davanti allo sterminato pubblico dei media, non è la stessa cosa che rivaleggiare (come avveniva nell’antichità) con pochi altri letterati esibendosi davanti a qualche decina di amici e conoscenti.
Tanto più che il pubblico di oggi (benché potenzialmente enorme e teoricamente scolarizzato) è in realtà molto più refrattario alla letteratura, perché attirato da ben altre forme, più popolari e immediate, di intrattenimento.
E siccome l’oralità e l’immagine sono ormai da decenni tornate a farla da padrone rispetto alla faticosa e antiquata pratica della lettura, ecco che gli scrittori debbono farsi conferenzieri, intrattenitori, guitti, istrioni…
Un poco impostori, diciamolo pure, come diceva due secoli fa, di molti suoi colleghi, il vecchio Leopardi.
Il quale sosteneva, due secoli fa, che possedere una buona dose d’impostura riesce sempre, almeno nell’immediato, ad avvantaggiarti su chi ne è privo, per quanto ricco sia di talento.
Difficile – oggi più che mai – dargli torto.