L’ aforisma è una pillola di pensiero condensato: se la stemperi nell’ acqua di un ragionamento più ampio si riduce alla densità insipida e inefficace di una medicina omeopatica.
L’ aforisma è la forma espressiva più adatta al consumo rapido del web e dei network: ci colpisce prima di convincerci, suona prima ancora di creare, è uno spot pubblicitario per il benessere interiore.
Seducente, prima ancora che vero.
Retorica, più che filosofia.
Se Aristotele leggesse gli aforismi che spopolano sul web li chiamerebbe forse, con una punta di disprezzo, enthymémata (cioè sillogismi monchi e imperfetti), piuttosto che gnomai (pensieri, sententiae di autentica saggezza).
È possibile che un aforisma ben scritto, ben calibrato nei suoi effetti stilistici, riesca a far passare come vere nella testa dei lettori meno accorti (complice anche l’assuefazione agli slogan pubblicitari di cui sono stretti parenti) anche le affermazioni più stupide e assurde.
La potenza seduttiva di un bell’ aforisma, insomma, darebbe ragione ai vecchi sofisti, a Gorgia in particolare, che vi vedrebbero realizzate le loro teorie del potere straordinario della parola in sé (intesa come significante) a prescindere dalla ragionevolezza dei significati che trasmette.
L’aforisma, infine, è un po’ come l’oroscopo: benché nasca quasi sempre da esperienze ed osservazioni personali dell’autore, esso è così generalizzante da coinvolgere tutti e nessuno in particolare.
Può pertanto paradossalmente accadere che molti, tra coloro che dovrebbero riconoscervisi, in realtà pensano, per una falsata e troppo nobile opinione di se stessi, che gli aforismi che leggono riguardano sempre e comunque l’altra metà – disprezzabile e insipiente – del mondo e dell’umanità.
Molti invece – magari amici o conoscenti dell’autore con la coda di paglia – pensano erroneamente che quegli aforismi riguardino loro personalmente. E talora se ne risentono, perfino…