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Posts Tagged ‘mondo antico’

METAFORISMI

L’ aforisma è una pillola di pensiero condensato: se la stemperi nell’ acqua di un ragionamento più ampio si riduce alla densità insipida e inefficace di una medicina omeopatica.

L’ aforisma è la forma espressiva più adatta al consumo rapido del web e dei network: ci colpisce prima di convincerci, suona prima ancora di creare, è uno spot pubblicitario per il benessere interiore.

Seducente, prima ancora che vero.

Retorica, più che filosofia.

Se Aristotele leggesse gli aforismi che spopolano sul web li chiamerebbe forse, con una punta di disprezzo, enthymémata (cioè sillogismi monchi e imperfetti), piuttosto che gnomai (pensieri, sententiae di autentica saggezza).

È possibile che un aforisma ben scritto, ben calibrato nei suoi effetti stilistici, riesca a far passare come vere nella testa dei lettori meno accorti (complice anche l’assuefazione agli slogan pubblicitari di cui sono stretti parenti) anche le affermazioni più stupide e assurde.

La potenza seduttiva di un bell’ aforisma, insomma, darebbe ragione ai vecchi sofisti, a Gorgia in particolare, che vi vedrebbero realizzate le loro teorie del potere straordinario della parola in sé (intesa come significante) a prescindere dalla ragionevolezza dei significati che trasmette.

L’aforisma, infine, è un po’ come l’oroscopo: benché nasca quasi sempre da esperienze ed osservazioni personali dell’autore, esso è così generalizzante da coinvolgere tutti e nessuno in particolare.

Può pertanto paradossalmente accadere che molti,  tra coloro che dovrebbero riconoscervisi, in realtà pensano, per una falsata e troppo nobile opinione di se stessi, che gli aforismi che leggono riguardano sempre e comunque l’altra metà – disprezzabile e insipiente – del mondo e dell’umanità.

Molti invece – magari amici o conoscenti dell’autore con la coda di paglia – pensano erroneamente che quegli aforismi riguardino loro personalmente. E talora se ne risentono, perfino…

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Leggo nell’ultimo Domenicale del Sole24ore una nota di diario di Paola Mastrocola che con molte ragioni stigmatizza la tendenza sempre più diffusa di scrittori e poeti a farsi performer, teatranti, promotori, lettori e interpreti di se stessi nella veste di attori e di star mediatiche. Questo avviene – aggiungerei – non solo per i pochi autori in vista sostenuti dalle grandi case editrici, ma anche – anzi direi ancora di più, sebbene in scala adeguatamente ridotta o circoscritta – per la pletora di noi piccoli, sconosciuti e semisconosciuti, ansiosi di emergere dall’anonimato. Ci sono molti di questi miei simili che si dibattono fra mille presentazioni, eventi materiali e virtuali, reading in librerie, locali pubblici, ristoranti, scuole, luoghi turistici ecc. ecc.

Niente di nuovo sotto il sole, in realtà.

Nell’antichità classica, specie nell’età proto-imperiale romana, andavano di moda le recitationes: poeti e poetastri si esibivano recitando i propri versi nei teatri e negli auditoria ed obbligando moralmente amici, conoscenti, clientes a intervenire, numerosi e spesso annoiati, per ascoltarli. Questo obbligo era difficilmente eludibile per gli invitati, soprattutto se anch’essi appartenevano al mondo delle lettere. E quindi si aspettavano prima o poi di essere a loro volta ricambiati del favore della presenza altrui nel momento in cui avessero essi stessi inscenato una propria recitatio.

Così si instaurava un circolo vizioso di reciproco ossequio che teneva in vita questo tipo (spesso moralmente, oltre che artisticamente, deleterio) di manifestazioni. Così si favoriva in quel genere di letteratura – per la consapevolezza del rischio sempre incombente della noia e della disattenzione di un pubblico scarsamente motivato – la tendenza ad uno stile enfatico, ‘urlato’, oppure ultra-artificioso; e il ricorso a toni e a temi di facile effetto: sangue, violenza, pathos elevati alla massima potenza…

Letteratura (o pseudo- letteratura) che si trasformava continuamente in spettacolo.

Nulla di sostanzialmente diverso, ripeto, da quello che accade oggi.

Ma oggigiorno la smania esibizionistica di letterati o sedicenti tali è, sicuramente, centuplicata rispetto ad allora. Direi ossessiva, parossistica.

Non potrebbe essere diversamente. Perché emergere tra migliaia e migliaia di concorrenti (quanti sono oggi in Italia gli aspiranti scrittori, sulla carta e nel web) davanti allo sterminato pubblico dei media, non è la stessa cosa che rivaleggiare (come avveniva nell’antichità) con pochi altri letterati esibendosi davanti a qualche decina di amici e conoscenti.

Tanto più che il pubblico di oggi (benché potenzialmente enorme e teoricamente scolarizzato) è in realtà molto più refrattario alla letteratura, perché attirato da ben altre forme, più popolari e immediate, di intrattenimento.

E siccome l’oralità e l’immagine sono ormai da decenni tornate a farla da padrone rispetto alla faticosa e antiquata pratica della lettura, ecco che gli scrittori debbono farsi conferenzieri, intrattenitori, guitti, istrioni…

Un poco impostori, diciamolo pure, come diceva due secoli fa, di molti suoi colleghi, il vecchio Leopardi.

Il quale sosteneva, due secoli fa, che possedere una buona dose d’impostura riesce sempre, almeno nell’immediato, ad avvantaggiarti su chi ne è privo, per quanto ricco sia di talento.

Difficile – oggi più che mai – dargli torto.

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Nel mito delle età degli Erga, Esiodo dice – a proposito della stirpe dell’età argentea- che essa non era rispetto alla precedente stirpe dell’oro

né per l’aspetto simile né per la mente,

ché per cent’anni il fanciullo presso la madre sua saggia

veniva allevato, giocoso e stolto, dentro la casa…

Fanciullaggine e immaturità degli individui non arriveranno forse oggigiorno a toccare la vecchiaia, come nel mito esiodeo. Ma è indubbio che la società del piacere e della deresponsabilizzazione (accentuata, da noi, dal mammismo cronico) protrae oltremisura in molti adolescenti dell’ultima generazione un habitus psicologico (soprattutto nella sua componente etico – comportamentale) infantile. Ma l’orologio ormonale non si accorge, ovviamente, di questo ritardo e compie puntuale il suo giro. Qui sta il busillis: nella terra di mezzo dove oramai infanzia e pubertà, anziché darsi il cambio, troppo a lungo si sovrappongono e si abbracciano; e stentano a svilupparsi e a separarsi tempestivamente l’una dall’ altra, come una volta accadeva.

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Occhi ciechi aperti sulla terra e pazienti

mani al telaio della cetra, tramano per noi

tutti da ogni punto del cielo senza posa un pio

sudario di parole e di nuvole perché la cenere

dell’ultimo rogo guizzando mai si spenga

nelle gole mute e sorde del tempo siderale.

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