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Posts Tagged ‘Severgnini’

Ogni tanto il solito giornalista o opinionista di grido getta il sasso nello stagno della scuola italiana. Sia chiaro: meglio parlarne che tacerne. Ma gli interventi di questi personaggi, con tutte le buone intenzioni che possono ispirarli, mi suonano parecchio sgangherati, da orecchianti, per intenderci. Lontani, comunque, molte miglia dalla realtà effettuale. Beppe Severgnini ha gettato il suo sasso dal Corriere, con il lodevole scopo di accendere i riflettori sulla nostra scuola liceale, sul classico in particolare, e ravvivare il dibattito intorno al suo attuale stato di salute.

Ho scritto parecchio su questo blog e nei miei libri intorno al liceo classico. Avendolo frequentato, da studente prima e da prof poi, per quasi mezzo secolo, credo di averlo fatto con cognizione di causa, ed anche perciò in maniera realistica, anticonvenzionale, tutt’altro che oleografica.

Severgnini dice del liceo classico cose, mi pare, piuttosto generiche e un po’ contraddittorie.

Prima, pensando forse al vecchio liceo dei suoi (e dei miei) tempi, dice che è una palestra formidabile dove esercitarsi strenuamente da adolescenti, prima di gareggiare da adulti. Sottintende con evidenza la metafora della ginnastica, dell’allenamento duro che prepara all’agonismo sportivo. Se ricordasse un po’ del greco antico aggiungerebbe magari che la parola palàistra (così come certi verbi attinenti agli esercizi che vi si svolgono, come ponèo o askèo) ha a che fare con la fatica e la lotta fisicamente intese, rimanda quindi, come metafora, ad una idea di sacrificio, di impegno, di sudore assidui, necessari nel presente per poter attingere a risultati futuri. Ma fin qui sarei molto d’accordo con lui. Un punto di forza del classico è (ancora) l’attitudine di diversi alunni che vi si iscrivono e di molti prof che vi insegnano a studiare e a lavorare seriamente, creando così l’habitat più adatto a maturare un metodo e una preparazione che trascendono le nozioni delle singole discipline.

Poi però, inspiegabilmente, Severgnini infierisce proprio contro gli insegnanti attuali del classico accusandoli di mortificare ancora oggi gli studenti con l’imposizione di un ingrato e anacronistico carico di lavoro, di uno studio “matto e disperatissimo”.

Qui Severgnini, oltre che contraddirsi, sbaglia di grosso. Va decisamente fuori bersaglio. Il classico degli ultimi due/tre decenni, infatti, non è più quello che io e Severgnini abbiamo frequentato. Allora quella palestra era molto più dura ed era fatta principalmente di greco e di latino: cioè di esercizio stremante e apparentemente ingrato e inattuale (soprattutto nel primo biennio) perché concentrato in gran parte sulle lingue antiche e sulla traduzione dei loro classici. Allora forse si poteva parlare (ma fino a un certo punto, senza generalizzare) di studio ‘matto e disperatissimo’, imposto ancora in modi un po’ autoritari ed ottocenteschi: cinque ore di scuola la mattina e altrettante (se non di più) di compiti pomeridiani.

Oggi chi frequenta seriamente il classico deve ancora studiare abbastanza, è vero. Ma intanto non si esige più, come ai tempi miei e di Severgnini, di farlo altrettanto seriamente. La selezione allora – lo ricordo bene – era spietata. Oggi il tasso di respinti e ‘riorientati’ dal classico verso altre scuole è irrisorio rispetto a quei tempi. E soprattutto studiare oggi al classico (per chi vuole ancora farlo sul serio) risulta gravoso sì, ma per ben altri motivi. Non certo perché ci siano ancora al classico, come li chiama Severgnini, prof ‘cattivi’, sadici Kapò che si incarogniscono contro i ragazzi torturandoli con uno studio disumano fatto di polverose nozioni e di regolette di grammatica. Tutt’altro… Se esistessero ancora, questi prof finirebbero subito impallinati dalle famiglie, verrebbero subissati di proteste e di esposti alla presidenza e neutralizzati quanto prima dai dirigenti scolastici. Il metodo dirigenziale, che gli addetti ai lavori conoscono bene, è quello infallibile della “spalmatura” dell’eventuale prof ‘fanatico’ su molte classi contemporaneamente e su piccoli spezzoni di orario, condannato cioè a insegnare solo geografia o geostoria (magari) in molte sezioni o, meglio ancora, esiliato in qualche innocuo progetto extracurricolare.

I tempi sono cambiati. Uno studente del classico di oggi non passa più tutti i santi pomeriggi a studiare senza poter fare altro. Anche perché lui, il ragazzo di oggi, anche il più volenteroso, ha molto più da fare, di pomeriggio, rispetto a noi, ragazzi di allora: ha la sua ora di palestra, di allenamento, di musica, di attività ricreativa programmata ecc.; ma soprattutto dedica un’enormità di tempo al suo smartphone, cazzeggiando per ore coi suoi amici sui social o girovagando sul web.

E allora perché chi frequenta il classico lamenta ancora, oggi forse più di prima, il peso di uno studio opprimente, eccessivo rispetto ad altre scuole? Semplice, direi, per due motivi.

Primo: il classico di oggi, grazie alle ‘riforme’ ministeriali e all’autonomia, ha aggiunto al latino e al greco una enormità di apprendimenti e di attività ulteriori e collaterali ‘moderni’ che non esistevano ai nostri tempi. Il classico non è più da tempo la vecchia scuola (coi suoi pregi e i suoi limiti) incentrata soltanto sul latino e sul greco. Molti ragazzi, proprio perciò, non ce la fanno oggettivamente a reggerne tutto il peso. In genere (come ho già scritto altrove) si arrangiano, cercano varie scorciatoie (la più nota è, per latino e greco, la copiatura acritica, di sana pianta, dal web di frasi e di versioni già tradotte) e così eludono il momento più importante ed efficace dello studio, che è la fatica della rielaborazione lenta, metodica e personale di quello che hanno appreso in classe.

Secondo: il peso dello studio viene avvertito (‘percepito’) oggi anche e soprattutto soggettivamente, cioè in relazione al tempo che si è disponibili, oggi rispetto a ieri, a concedergli. Ai nostri tempi sei ore pomeridiane potevano ben essere occupate da quattro/cinque ore di studio più una o al massimo due di oratorio o di passeggiata. Oggi ben oltre la metà almeno di quelle sei ore sono dedicate a interessi e attività extrascolastici che spesso non si è minimamente disposti (a ragione o a torto) a sacrificare a favore dell’impegno richiesto da una scuola liceale. E il peso più gravoso, si sa, è quello che non si desidera portare…

[PS.: Ringrazio Severgnini per aver linkato nella sua rubrica Italians questo mio post alcuni giorni fa:https://italians.corriere.it/2023/02/14/lettera-liceo-classico-i-tempi-sono-cambiati/ ]

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La Scuola digitale: la DAD e la didattica a distanza
Home - Beppe Severgnini

È appena stata pubblicata nella rubrica Italians di Beppe Severgnini una mia lettera che, riprendendo considerazioni in proposito già espresse su questo blog, difende alcuni meriti della DAD (Didattica a Distanza) e al tempo stesso cerca di mostrare quali rischi educativi si corrono nel demonizzarla a priori – che lo si faccia per convinzione ideologica o per altri meno commendevoli secondi fini – agli occhi degli studenti: https://italians.corriere.it/2022/01/12/lettera-demonizzare-la-dad-e-sbagliato/

Ringrazio ancora una volta il giornalista del Corriere per avermi ospitato nella sua rubrica.

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Scuola, docenti fragili: sono 250.000 i prof che potrebbero ...

Il prof  Mario Rossi ha 60 anni. All’incirca l’età di un buon 40% dei docenti di scuola superiore. E vari malanni tipici della sua non più verde stagione. Da marzo ad oggi il prof Mario Rossi è stato tenuto, insieme a tutti i suoi colleghi più giovani, nelle retrovie della didattica online. Tutti ad insegnare rintanati in casa per evitare, giustamente e scientificamente, lo scontro impari con un nemico micidiale, invisibile, inafferrabile. Adesso però i comandi hanno deciso che no, non più. Si avvicina il D-day. Quel nemico non deve più essere tenuto prudentemente a distanza. Si deve affrontarlo, giovani e vecchi prof, veterani e reclute, in campo aperto. Sbarcare coraggiosamente sulle sue spiagge. Sfidarlo viso a viso, corpo a corpo, non perché quel nemico sia diventato meno temibile ma perché l’onore del governo e l’incerta sorte delle prossime elezioni richiedono che Mario Rossi, insieme a tutti i suoi commilitoni, di fronte a una opinione pubblica che lo taccia a gran voce di viltà e reclama da lui atti di eroismo, ritorni in prima linea, in mezzo alla gioventù italica. Poco importa che gli esperti più autorevoli di strategia dicano che così, per un malinteso amore di patria, Mario Rossi viene mandato inutilmente allo sbaraglio.  Rischia seriamente la pelle. Armiamoci e partite, ordinano dagli alti comandi. Armiamoci noi, s’intende: voi, Mario Rossi & compagnia malandata, potete pure partire disarmati. Vi difenderemo, magari, con qualche milione di mascherine chirurgiche. E basta. Tutti lo sanno, è vero – sindacati compresi – che per gli anzianotti un po’ malconci come il prof Rossi questo non basta, proprio per niente. Ma bisogna fermamente credere che sì. Obbedire e combattere. Vincere e vinceremo. Poi magari, se qualcosa va storto, al soldato (già prof) Rossi si dedicherà una targa o un mezzo busto in memoriam, nel cortile della scuola. E all’entrata la gioventù italica tenderà uno striscione candido che inneggia all’angelo e all’eroe…

PS del 28.08.20:

Un auto-commento doveroso fuor di metafora: con l’epidemia di nuovo in crescita, viene imposto a tutti gli insegnanti di tutte le età di rientrare in presenza dal 14 settembre. In presenza, nel caso delle superiori, ravvicinata e prolungata ( e in luoghi chiusi) di ragazzi adolescenti abituati a una vita sociale intensa e incontrollata. Questo significa che i più anziani fra i prof (molto numerosi alle superiori) devono esporsi a gravi rischi per la loro salute senza l’alternativa, l’unica per loro davvero sicura, della didattica a distanza. Per varie ragioni (elettorali e pratiche) il ministero ha preso questa decisione a dispetto della direttiva dell’Inail che prevedeva invece il diritto per questi insegnanti a rischio di essere tutelati. Se questa tutela (come sembra) non ci sarà, è probabile per altro che molti docenti over 55 provvedano per conto proprio a difendersi chiedendo periodi di malattia o aspettative, con conseguenze per l’attività didattica ancora peggiori e imprevedibili di quelle che si vorrebbero evitare costringendo tutti al lavoro in classe.

PS del 31.08.2020

Ancora due riflessioni amare a margine di questa faccenda.

La prima cosa è che il terremoto del coronavirus sta mettendo impietosamente a nudo, dopo le magagne della sanità, quelle della scuola. Un pianeta terribilmente e inutilmente complicato sul piano normativo e organizzativo: leggi e contro-leggi, spinte e controspinte, accelerazioni in  avanti e marce indietro. Prima (per motivi sanitari e non solo): evviva la didattica a distanza; adesso (per la pressione delle famiglie e interessi elettorali ): guai alla didattica a distanza…  Mascherine e poi niente mascherine; autobus mezzi vuoti e poi tutti pieni. Ma non è un marasma prodotto dal virus, ma un marasma svelato dal virus, squadernato dall’emergenza allo sguardo di tutti.

La seconda cosa che il virus sta esibendo agli occhi del mondo è l’infimo grado di considerazione sociale in cui versa la classe insegnante. Opinione pubblica, politica e stampa si sono affrettati a etichettare come “furbetti scansafatiche col certificato in mano” migliaia di insegnanti anziani e (anche perciò) fisicamente malmessi. Persino i sindacati maggiori hanno rinunciato a difenderli, hanno svicolato questo problema nel timore di addossarsi il rischio di una battaglia che, evidentemente, ritengono sconveniente. Questo è il segno estremo di quanto oggi sia degradata l’immagine dell’insegnante medio in Italia. E di quanto questa categoria sia esposta al pubblico ludibrio e al comune disprezzo: al punto da poter essere, nella sua parte più debole, mandata allo sbaraglio, senza difese e senza alternative, anche di fronte a un pericolo così grave.  Tutto questo mentre a ragione e con calore si predica, in altre sedi, per la sicurezza sul posto di lavoro e circa il sacrosanto diritto dei sessantenni di proteggersi dall’epidemia.

[Questo mio ultimo Post scriptum è stato inviato sotto forma di lettera alla rubrica Italians di Beppe Severgnini dove è appena stato pubblicato:

LETTERA Due riflessioni amare su scuola e Covid

Ringrazio Severgnini per l’attenzione]

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Invito a leggere una mia lettera sull’argomento delle annunciate ‘riformine’ alla legge Fornero pubblicata gentilmente da Beppe Severgnini nella sua rubrica Italians sul Corriere della Sera:

Legge Fornero: ho sbagliato a studiare

Il tema dei soprusi consumati a danno dei pensionandi nati negli anni ’50 e delle legnate che sono state loro assestate di recente, da destra e da manca, sul groppone  è troppo amaro per chi scrive per essere affrontato spesso e con la dovuta oggettività. Ma questo sfogo mi ci voleva, una tantum…

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Sulla rubrica di corrispondenza on line Italians del noto giornalista del Corriere Beppe Severgnini si stanno pubblicando, senza smentita alcuna da parte del curatore e responsabile, lettere che affermano senza mezzi termini che gli insegnanti italiani godono di “centinaia di giorni di vacanza all’anno” (sic!). Invito pertanto i colleghi lettori di questo blog a intervenire in quella rubrica per far notare a Severgnini di quale poco nobile disinformazione/ diffamazione si sta rendendo complice. Grazie.

(http://italians.corriere.it/2015/06/04/in-che-senso-gli-insegnanti-sarebbero-malpagati/)

PS: La confusione che si fa (più in cattiva che in buona fede) tra vacanze degli studenti e quelle dei prof è solo una delle favole (incredibile, per chi conosca almeno un po’ la scuola italiana di oggi) che da sempre alimentano la tambureggiante campagna di delegittimazione della figura dell’insegnante. Ma che queste madornali menzogne vengano cavalcate dai politici intenti ad affossare la scuola pubblica e ad asservire i docenti è un conto. Molto più grave è che il vento qualunquista della calunnia sia cavalcato da un giornalista che si esprime spesso, con arie da opinion leader, in testate prestigiose e tv nazionali.

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