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Archive for luglio 2012

       

Sono quelli, simili ahimé

all’abbaiar de’ cani alla luna,

che levano annualmente

nella calura estiva tutti

(troppi) quei presunti maturi

convinti che l’arbitro sia l’unico 

reo di una gara che si presume 

malamente e ingiustamente

chiusa. Che il cartello su cui

un giudice innalza l’ idolo

di un numero- il mero, esangue

risultato del proprio esame di stato –

sia il traguardo e non piuttosto

l’inizio del viaggio che tutti

porterà a Tebe passando

per il molto, molto più

sanguinoso enigma

della Sfinge. Che la nostra

ombra esista – desiderata

proiezione gigante, sogno

di noi stessi nella luce del sole –

a prescindere dalla minuscola

sagoma del nostro lacrimevole

corpo. Invece siamo noi – esattamente

noi – la nostra intollerabile

ombra, noi – entro invalicabili

righe di campo tracciate

dall’alto – gli arbitri della nostra

partita. Noi soli e soltanto

gli Edipi che potranno e dovranno

presto o tardi senza più maestri

né guide incidere nella carne

la benedizione e l’inganno

estremo dell’oracolo di Delfi.

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PERSECUTORI E VITTIME

Spesso i peggiori e più subdoli persecutori sono coloro che assumono la maschera delle vittime.

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INSEGNANTE COSMOPOLITA

Non c’è niente di più fastidioso per un insegnante quanto la retorica aziendalistica dell’appartenenza che imperversa oggi nella scuola italiana: il sentirsi ripetere cioè da superiori e colleghi che bisogna curarsi più di ogni altra cosa del proprio istituto (e della sua ‘immagine’), dei propri alunni (e del loro ‘successo’), del proprio territorio (e delle sue peculiarità culturali, produttive e finanziarie) etc.

In realtà un insegnante autentico è anche un intellettuale.

Ed un intellettuale è per vocazione un essere senza cittadinanza. Un cosmopolita che (un po’ come gli Stoici antichi e specialmente Seneca) non appartiene a nessun istituto o territorio o cultura particolare. Tanto meno si sente legato a degli alunni piuttosto che ad altri.

È infatti assolutamente casuale e indifferente per lui insegnare ad alunni piemontesi, umbri o siciliani. Se gli fosse materialmente possibile egli insegnerebbe senza alcun problema anche a sudamericani o africani. I suoi veri alunni in realtà sono virtualmente tutti coloro che vogliono ascoltarlo e dialogare con lui perché pensano in questo modo di arricchirsi intellettualmente e umanamente.

La conduzione pseudoaziendalistica e localistica che affligge (con l’assillo della promozione pubblicitaria perpetua) la scuola della cosiddetta autonomia lo costringe invece in una dimensione squallidamente provinciale che contrasta per altro con la globalizzazione ormai diffusa e dominante delle idee e della cultura.

Perciò ritengo che l’autonomia (questa autonomia) sia il contrario di una scuola moderna, non certo il veicolo privilegiato per realizzarla.  

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La scienza (qualsiasi scienza) cerca la verità tout court (qualsiasi verità essa sia), non la verità che ci piacerebbe scoprire. Fin qui dico certamente un’ovvietà.

Cercare (ipotizzare, immaginare) invece ciò che ci piacerebbe che la verità fosse è compito della fanta/finta scienza.

Di fronte agli allettamenti della pseudoscienza la scienza vera può apparire persino noiosa (oltre che faticosa).

Volete mettere studiare seriamente le piramidi egizie sotto il profilo storico-religioso, archeologico, architettonico con l’amena lettura di un saggio di un piramidiota sulla presunta funzione della piramide egizia come osservatorio astronomico antico degli UFO o base di lancio di missili spaziali?

Il saggio del piramidiota (termine pittoresco ma molto eloquente con cui gli egittologi seri etichettarono alcuni astuti dilettanti di fanta-egittologia) risulterà per i più molto più allettante anche se riempirà loro la testa di castronerie.

Una delle varianti della fanta/finta scienza è la fantastoria.

Quest’ultima attecchisce ovviamente di più in quei terreni che la scienza vera fa fatica (per mancanza di strumenti e di dati) ad esplorare. Si nutre cioè dei presunti ‘misteri’ che si anniderebbero negli angoli oscuri della storia.

L’antichità (alcuni eventi o personaggi dell’antichità) è uno tra i terreni più fertili di fantastoria.

Il cristianesimo delle origini in particolare è uno dei campi dell’antichità sui quali pascolano numerosi i fantastorici, perché di esso sappiamo (ci piaccia o no) oggettivamente molto poco.

Non sappiamo, tra l’altro, quasi nulla di quando esso cominciò davvero a uscire dall’ombra distinguendosi dal giudaismo, ad essere cioè fenomeno avvertibile e rilevante per l’opinione pubblica pagana e per il potere romano. Tacito e Svetonio, che accennano fuggevolmente alla presenza visibile dei cristiani a Roma nell’età di Claudio e di Nerone (che li avrebbe perseguitati), ne scrivono entrambi oltre 50 anni dopo (tra il 120 e il 130 d.C.), in un’età nella quale ormai questa visibilità era diventata largamente percettibile in molte parti dell’impero. Ne scrivono quindi fortemente influenzati, con ogni probabilità, dalla realtà loro contemporanea. Questo o poco più può dire la scienza storica.

Scrittori o registi possono invece sbizzarrirsi a scrivere, ad es., il Quo vadis o a girare film come Ben Hur. Legittimamente, fin quando si tratta di opere di dichiarata fiction, cioè senza pretesa alcuna di storicità.

Il problema comincia quando l’arbitrio e la immaginazione della fanta/finta storia invadono il campo della saggistica e pretendono di contendere spazio alla storiografia scientifica assumendone scaltramente la maschera.

Talora può accadere – e questo è il caso più pericoloso di tutti – che l’arbitrio e l’immaginazione siano sostenuti da una ‘ideologia’ favorevole o contraria ad una determinata tesi fantastorica e  perciò incline a ipotesi anche avventurose pur di sostenerla.

Restando al problema sopra accennato della visibibilità del cristianesimo primitivo presso i pagani, prenderei in considerazione l’esempio del Satyricon di Petronio.

Negli ampi frammenti di questo stravagante e coltissimo ‘romanzo’ di probabile età neroniana non si trova il benché minimo accenno esplicito al cristianesimo. Ciononostante alcuni studi più o meno recenti hanno ipotizzato la presenza nel Satyricon di corpose allusioni parodistiche al racconto evangelico: dai ladroni crocifissi nella novella della matrona di Efeso, al canto del gallo nella cena di Trimalcione, fino all’imposizione che il poetastro Eumolpo infligge ai pretendenti della sua eredità di cibarsi del proprio cadavere.

Ora, ammesso e non concesso che queste situazioni possano presentare punti di tangenza con il vangelo di Marco di cui costituirebbero (secondo i recenti e accurati studi di Ilaria Ramelli) una sorta di controcanto parodistico, bisogna anche onestamente aggiungere che queste generiche somiglianze potrebbero essere totalmente casuali o mediate dalla cultura ellenistico-romana, dato che la crocifissione era una pena frequente nel mondo antico e che la teofagia (‘mangiare dio’) era un aspetto ricorrente, prima del cristianesimo, in vari culti misterici pagani.

Ma l’obiezione più grande consisterebbe nel fatto che una parodia, per di più ‘criptata’ e puramente allusiva come sarebbe quella di Petronio, presupporrebbe già ai tempi di Nerone una notorietà molto diffusa – tra le classi colte pagane destinatarie del Satyricon – non solo dei riti cristiani ma anche delle narrazioni evangeliche. Ipotesi storicamente azzardata perché non suffragata finora positivamente – come si diceva sopra – né dal testo stesso di Petronio né da altre testimonianze.

Azzardata e tuttavia (o proprio perciò) intrigante, appunto perché immagina uno scenario nel quale il cristianesimo è già molto noto ed influente nel cuore del mondo e del potere romano appena trent’anni dopo la sua nascita. Uno scenario che affascina un lettore assetato di scoop fantastorici ma anche e sopratutto un lettore cristiano. Ecco un modo sottile ma emblematico attraverso cui il gusto di una allettante affabulazione finto/fanta scientifica si può coniugare con la tendenziosità ideologica.

Con conseguenze pericolose per la scienza storica.

Non fosse altro, nella fattispecie, che per la petitio principii (cioè il circolo argomentativo vizioso) su cui una tesi così tendenziosa si fonda: chi la sostiene infatti tende a dimostrare che il cristianesimo era, già all’epoca di Nerone, una realtà culturalmente e politicamente importante; ma la dimostrazione di questa importanza si basa essenzialmente sulla presunta valenza parodistica di alcuni episodi del Satyricon; ma questi episodi, per parte loro, sono interpretabili come tali (cioè come canzonatura del cristianesimo) soltanto dando già per dimostrato ciò che in realtà si vorrebbe dimostrare: l’avvenuta affermazione del cristianesimo tra le classi dirigenti di Roma.

Ipotesi e tesi si sovrappongono. Un gatto che si morde la coda, razionalmente (e noiosamente) parlando.

Ma volete mettere il gusto di fantasticare su Seneca che intrattiene una quotidiana corrispondenza con Paolo di Tarso e magari si adopera in segreto per sottrarlo alla persecuzione neroniana…

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Io – con tanti altri – e la pensione (da anni e ancora per anni) come Achille e la tartaruga… inveramento storico di un paradosso logico!

[PS: intanto la coccodrilla, dopo aver mangiato lacrimando gli anni residui di vita ai pensionandi, aggiunge adesso, senza neanche versare più una lacrima, che neppure il lavoro – oltre che la pensione – è un diritto (tranne che per i figli dei coccodrilli); non vedo quale diritto oramai spetti agli umani-non-coccodrilli se non i brechtiani due metri di terreno…]

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