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Archive for gennaio 2022

Il libro di Ricolfi e Mastrocola, un danno per il lettore e per la verità

Più di un quarto di secolo fa – era il 1996 e io ero (ancora) un prof abbastanza giovane e speranzoso – davanti a una scuola della mia zona stavo raccogliendo firme contro la legge, da poco varata dal primo governo Berlusconi, che aboliva gli esami di riparazione. Quel provvedimento mi pareva scandaloso perché cancellava di colpo nella valutazione dei ragazzi le differenze tra promossi e rimandati, tra sufficienze e insufficienze, tra merito e demerito: legalizzava pertanto dei falsi in atto pubblico. Ero preso in quei giorni dal fuoco sacro della protesta e andavo cercando a destra e a manca proseliti per la mia nobile causa, quando… quando un collega più anziano che conoscevo appena mi si avvicinò, lesse le motivazioni della raccolta di firme, firmò, poi aggiunse laconico, con un’espressione facciale indefinibile, tra l’ironico e il compassionevole, ma con un soffio di rabbia triste e malamente trattenuta tra le labbra: «Caro collega, mi disse, bisogna rassegnarsi: siamo un parcheggio!» Stop. Non aggiunse altro e se ne andò.

Leggendo il recente saggio di Paola Mastrocola (scritto col marito Luca Ricolfi), Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza (La Nave di Teseo, 2021), mi è balzata in mente più volte questa scena. Non perché io non condivida molto (come sempre) di questa ennesima, lucida e accorata denuncia della collega e scrittrice intorno ai mali vecchi e nuovi della nostra povera scuola. Anzi, nutro verso l’autrice (e in questo caso la estendo anche al consorte-coautore) particolare gratitudine. Perché senza la sua testimonianza nessuno si accorgerebbe di noi. Di noi, intendo, i pochissimi irriducibili rimasti a reclamare, o meglio a ‘desiderare’(etimologicamente) una scuola superiore ancora seria e culturalmente qualificata. La Mastrocola ha saputo sfruttare a dovere la sua fama letteraria per farla sentire a molti, la nostra voce. Non solo la sua. Purtroppo però, come succede a certi eroi della tragedia greca (penso ad Antigone in particolare), quando si testimonia al mondo il più sacrosanto dei valori capita di essere vilipesi, infangati e calpestati, specie se ci si scontra con un potere che gode di un consenso molto esteso. Nel nostro caso capita immancabilmente di essere screditati da quel potere come protervi, ottusi e frustrati reazionari. Come fossimo briganti sanfedisti che tentano di disturbare i manovratori della gioiosa macchina da guerra dell’istruzione moderna per sabotarne le magnifiche realizzazioni. Non si concede alle nostre prese di posizione neanche il beneficio della dignità morale, né della autenticità testimoniale. Insomma, siamo messi persino peggio di quei soldati o quegli ufficiali valorosi di cui narrano Cesare o Sallustio o Livio: quelli che di fronte alla sconfitta ormai compiuta del proprio esercito si gettano eroicamente in medios hostes, nel folto dello schieramento avversario, cercandovi una morte certa ma gloriosa. Perché almeno a quei combattenti antichi si riconosceva unanimemente il rispetto dei loro ideali o l’onore delle armi…

I nostri avversari sono un esercito imponente. Un esercito che monta la guardia da un trentennio ormai attorno al cantiere di demolizione (sempre aperto) della scuola italiana. Un esercito armato fino ai denti, che se la ride delle azioni di disturbo di una pattuglia striminzita e mal equipaggiata come la nostra. L’invincibile armata nemica schiera infatti una formidabile artiglieria ideologica e una variegata ma compatta compagine di forze alleate: pedagoghi di stato e funzionari del ministero, dirigenti scolastici, partiti politici (tutti, praticamente…), poteri economici e mediatici forti, gran parte delle famiglie degli studenti e infine, ahinoi, persino una bella fetta dei nostri colleghi insegnanti… Contro la Grande Coalizione Pedagogica aziendal/ progressista non c’è per noi, sic stantibus rebus, speranza di vittoria.

Retorica militare e metafore bellicose a parte: questa volta nel raccontare le sue esperienze e nell’esternare le sue considerazioni controcorrente Paola Mastrocola si è fatta aiutare, come dicevo, dal marito Luca Ricolfi, che è sociologo e docente universitario e che porta a conforto delle affermazioni di lei statistiche e inchieste fitte di dati e di tabelle. È stata una buona idea: così i nostri avversari (ho pensato subito, e lo stesso avranno pensato i due autori nel progettare il libro) la smetteranno una buona volta di dire che i nostalgici della scuola di qualità si aggrappano solo a ideali astratti e superati, a esperienze individuali e a valutazioni soggettive, senza il riscontro positivo delle moderne scienze umane e sociali.

In realtà i nostri avversari non si fermano di fronte a nulla. Non si fermano perché la loro guerra è (o vuole apparire) soprattutto una guerra di religione. E infatti eccoli sparare subito a zero, dalle postazioni di varie riviste online “progressiste”, non solo contro la Mastrocola ma anche – ovviamente – contro il suo consorte. Riporto solo un paio di link tra molti altri che stroncano a colpi di anatema il libro, accusandolo di lesa maestà ideologica, senza mai confrontarsi concretamente con i dati di fatto che esso riporta: https://www.minimaetmoralia.it/wp/altro/come-non-conoscere-o-non-capire-nulla-della-scuola-democratica-ovvero-il-danno-che-provocano-le-confuse-opinioni-di-luca-ricolfi-e-paola-mastrocola/ https://www.ilbenecomune.it/2021/11/29/la-teoria-del-danno-scolastico-ecco-perche-non-regge-la-tesi-di-ricolfi-e-mastrocola/

Taccio del tutto sui pochissimi recensori che invece lo elogiano, perché si tratta quasi sempre di finti simpatizzanti della nostra causa, cioè di astuti pennivendoli interessati soltanto a strumentalizzarla politicamente: spudorata strumentalizzazione, perché la parte politica che costoro rappresentano è di fatto, e nemmeno tanto segretamente, alleata da anni della Grande Coalizione… D’altra parte solo se si è ingenui o in malafede si può credere che lo sfascio della scuola dell’ultimo trentennio sia da addebitare esclusivamente alla “sinistra progressista” (uso a ragion veduta le virgolette…). La quale “sinistra” porta certamente una buona metà, forse anche di più, delle responsabilità del degrado della nostra istruzione perché ha coperto e giustificato ideologicamente (spalmandola con una vernice di efficientismo e intridendola di una melassa catto-socialista) la sua metamorfosi pseudo-aziendalistica e mercantilistica. Ma questa metamorfosi è, nella sua essenza, intimamente di destra, quantomeno di quella destra neo-liberale e ultraliberista che negli ultimi venticinque anni ha (s)governato anch’essa molto a lungo e soprattutto ha egemonizzato i media e l’opinione pubblica, contaminando e seducendo ampi settori della sinistra.

Per parte mia assolverò presto il mio debito di riconoscenza verso questa ennesima testimonianza di Paola Mastrocola dedicandole in altra sede una recensione più seria, oggettiva e articolata. Meno ondivaga, sentimentale e agrodolce, insomma, di questo post.

Il fatto è che parlare di scuola, difendere le mie (le nostre) convinzioni sulla scuola, mi appassiona ancora, sì, ma da un po’ mi immalinconisce anche abbastanza. Perché vedo che le nostre file, già esigue, si assottigliano ahimè sempre di più. I pochissimi resistenti invecchiano (sia la Mastrocola che il sottoscritto e diversi altri sono ormai in pensione). E i non molti nostri simpatizzanti ancora in attività per lo più tacciono di fronte ai megafoni della Grande Coalizione: un po’ per convenienza, forse, e un po’ forsanche perché sopraffatti precocemente dal mio stesso malinconico scetticismo. Così faceva, del resto, di fronte ai proclami e ai gesti eroici della sorella Antigone anche Ismene: consentiva ma taceva. Così fece anche quel mio collega di cui parlo all’inizio: firmò la petizione, poi, triste e silenzioso, salutò e girò i tacchi. Non senza aver sibilato prima tra i denti la sua tremenda sentenza: siamo un parcheggio!

PS del 02.02.2022: l’articolo-recensione che annunciavo sopra è uscito oggi nella rivista online Limina: https://www.liminarivista.it/comma-22/chi-ha-prodotto-il-danno-scolastico-riflessioni-sulla-crisi-della-nostra-scuola/

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La Scuola digitale: la DAD e la didattica a distanza
Home - Beppe Severgnini

È appena stata pubblicata nella rubrica Italians di Beppe Severgnini una mia lettera che, riprendendo considerazioni in proposito già espresse su questo blog, difende alcuni meriti della DAD (Didattica a Distanza) e al tempo stesso cerca di mostrare quali rischi educativi si corrono nel demonizzarla a priori – che lo si faccia per convinzione ideologica o per altri meno commendevoli secondi fini – agli occhi degli studenti: https://italians.corriere.it/2022/01/12/lettera-demonizzare-la-dad-e-sbagliato/

Ringrazio ancora una volta il giornalista del Corriere per avermi ospitato nella sua rubrica.

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Ha detto ieri sera Umberto Galimberti alla Tv che molti insegnanti “amano il proprio stipendio molto di più che il proprio lavoro”.

Parlava probabilmente di sé, visto che ha insegnato per anni in varie università con stipendi di certo molto più appetibili di quelli percepiti da un prof di scuola media e che pare abbia pubblicato diversi libri di successo utilizzando a man bassa, senza citarli, lavori altrui, stando a quanto riportato a suo tempo sulla migliore stampa nazionale… (cf. in proposito, tra molto altro, almeno un vecchio articolo del Corriere: https://www.corriere.it/cronache/08_aprile_18/platone_Galimberti_brani_fotocopia_33ce23a8-0d0f-11dd-9f4c-00144f486ba6.shtml )

Paradossale che parlasse anche di me e dei miei ex colleghi, visto che, se uno ama lo stipendio più del lavoro, non sceglie certo di insegnare nella scuola media italiana.

Ma tutto questo Galimberti – che parla in evidente malafede – lo sa benissimo.

Ma sa benissimo anche che sparare sugli insegnati della scuola pubblica – categoria certo criticabilissima alla stregua (ma non certo di più) di tante altre – è uno sport nazionale redditizio e praticato da molti, specie da chi cerca un facile e immediato consenso. Facile perché a tirare nel mucchio ci si azzecca comunque. Immediato perché il disprezzo per la classe insegnante non ha mai toccato prima di adesso una diffusione così ampia nell’opinione pubblica, per vari motivi che non sto qui a ripetere e che vanno, in gran parte, ben al di là dei demeriti e dei difetti oggettivi di questa classe piuttosto disgraziata.

Ora, ripeto: non mi piace affatto fare il difensore d’ufficio dei miei ex colleghi. E tuttavia ritengo insopportabile che uno costruisca e alimenti il proprio successo mediatico sparlando gratuitamente e qualunquisticamente di loro. Per esempio affermando che gli insegnanti sono in buon numero no vax (mentre tra loro i non vaccinati non superano il 2-3%) o che stiano disertando in gran numero il lavoro con la scusa della pandemia (in realtà anche gli insegnanti possono ammalarsi, di covid e non solo, esattamente come gli studenti e forse più frequentemente e gravemente di loro, vista la loro età media! Personalmente ho visto non pochi tra loro continuare a lavorare anche in precarie condizioni di salute).

Cosa si può dire invece di meglio della categoria degli psicologi e degli psicoanalisti da salotto televisivo come Galimberti, sempre pronti a distribuire ricettine di felicità e di saggezza dall’alto di scranni sacerdotali intoccabili e profumatamente remunerati? E persino capaci di impartire lezioni di gratuità e di generosità in cambio di lauti gettoni di presenza o di pubblicità a costo zero dei propri libri in programmi di successo? Anni fa Galimberti venne dalle mie parti invitato da un preside di scuola superiore a parlare ai giovani dei giovani. Non lo fece certo gratis, ma in cambio di un generoso onorario si esibì per una mezz’ora striminzita alla fine della quale – lo ricordo benissimo – declinò l’invito a rispondere alle domande dei ragazzi presenti perché rischiava di perdere il treno…

[Il presente post è stato ora ripreso e pubblicato anche in Tecnica della scuola: https://www.tecnicadellascuola.it/galimberti-gli-stipendi-e-gli-insegnanti ]

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Alessandro Barbero fa rivivere il medioevo in Valle d'Aosta - Aostasera
Coaching: Socrate il primo Coach che tentò un omicidio

Non so se Alessandro Barbero sia il migliore storico italiano in assoluto. Sicuramente ce ne sono molti altri altrettanto bravi in circolazione. E tuttavia lo storico piemontese è diventato da tempo e strameritatamente un beniamino del pubblico. Cura e conduce varie trasmissioni e rubriche della Rai, è ospite ed esperto in vari programmi televisivi, spopola sul web in conferenze e video con centinaia di migliaia di visualizzazioni. Un fenomeno culturale e mediatico che suscita qualche (e non banale) riflessione.

Barbero ha successo non solo perché, ovviamente, è competente nella sua materia ma soprattutto perché è comunicativo. Sa cioè tradurre in maniera appetibile, piacevole e interessante per un pubblico medio la sua ampia preparazione specialistica. In una parola Barbero sa insegnare al meglio quello che sa. È l’antica (e per molti trita e persino superata, in realtà sempre valida) formula magica dell’insegnamento.

Barbero espone interpretando quello che dice. E quando parlo di interpretazione non intendo solo che egli rielabora e spiega i fatti che narra collegandoli nei giusti rapporti di causa ed effetto, contestualizzandoli e articolandoli a dovere, ma anche che li sente e li rivive in maniera personale, e li trasmette con un pathos ed una partecipazione inconfondibili.

Barbero tuttavia – va sottolineato – non è propriamente né un attore, né un tribuno, né un intrattenitore di professione. Piuttosto possiede naturalmente, insieme alla competenza dello studioso, un po’ di tutte le abilità retoriche che sono proprie di questi mestieri.

Chi conosce l’eloquenza antica e i suoi ferri del mestiere riconosce in lui facilmente la speciale congenialità con almeno un paio di arnesi tipici di quell’arte: il delectare e l’agere. Vale a dire: la capacità di coinvolgere l’ascoltatore con una affabulazione brillante e colorita (delectatio), spesso attualizzante e non di rado divertente, di fatti e personaggi remoti e di per sé poco adatti a suscitare curiosità ed empatia; e poi la capacità di valorizzare quella narrazione con una gestualità (actio) energica e inimitabile. La convergenza di queste due qualità produce, come per reazione chimica spontanea, un notevole effetto di coinvolgimento: è quello che gli antichi chiamavano il movere, cioè la sollecitazione della componente emotiva dell’ascoltatore. Chi lo ascolta non può rimanere indifferente. Ma non perché sia adescato da un abile incantatore di serpenti che persegua a freddo quell’incantesimo con tutti i trucchi e gli strumenti del suo consumato mestiere. No. In realtà Barbero diverte e appassiona e coinvolge semplicemente perché egli per primo è divertito, appassionato e coinvolto dalle cose che narra.

Qui sta la differenza tra Barbero e un attore, un avvocato, un pubblicitario o un intrattenitore di professione: il suo è un talento oratorio naturale, spontaneo ed estemporaneo che si innesta e rampolla sopra la sua preparazione di studioso. Egli coinvolge e incatena il pubblico per contagio e per osmosi. Quasi preterintenzionalmente. In questo senso è, nel suo campo, un maestro: non perché sia – ripeto – uno storico necessariamente più bravo degli altri, ma perché sa meglio di altri – socraticamente – trasferire negli ascoltatori/allievi il dèmone che lo possiede. Un dèmone che ci provoca e ci interroga, non ci lascia inerti né apatici.

Il suo segreto è tutto qui.

Magari farebbe bene ai pedagoghi del ministero dell’istruzione riflettere sul fenomeno.

Forse si accorgerebbero che esso riempie un vuoto e soddisfa una esigenza: quella, che a torto essi (pedagoghi) ritengono irrimediabilmente tramontata e inattuale, di ascoltare un maestro. L’esigenza di assistere – come recita il titolo del bel libro di Recalcati – a un’ora autorevole di lezione.

Invece no. Loro (i pedagoghi di stato) vanno blaterando che oggi i ragazzi possono imparare da soli, raccogliendo e selezionando dal web le notizie che servono per inquadrare un argomento. In questa operazione il prof dovrebbe secondo costoro limitarsi a osservare e a guidare la loro ricerca dall’esterno, senza interferire troppo. Per questi profeti del self teaching tecnologico il prof e la sua bella lezione ex cathedra sono ormai roba da museo, e le capacità retoriche dell’insegnante ferri vecchi e arrugginiti da buttare. Salvo poi, ogni tanto, smentirsi e contraddirsi clamorosamente per reclamare, di fronte alle performance dantesche di un Benigni, altrettali capacità incantatorie dagli insegnanti delle nostre scuole.

Ma Barbero non è un attore né un incantatore. È semplicemente un professore esemplare (non ideale, per carità!). Uno che nel suo compito non può essere sostituito né surrogato da ricerche di gruppo sul web. Uno di cui i nostri studenti, specie gli adolescenti delle superiori alla ricerca spasmodica di guide culturali autorevoli e di riferimenti umani credibili, avrebbero disperato bisogno. Il bisogno di ascoltare maestri. Barbero – tanto per fare un esempio – ha tenuto incollati a una sua ricostruzione (dettagliatissima) sul sequestro Moro milioni di spettatori (dal vivo prima e poi su Youtube) per quasi due ore di fila. Una lunghissima lezione, una di quelle che in passato si sarebbero definite frontali, con un aggettivo incenerito oggi dalla scomunica del pedagogismo anglosassone alla moda. La cosa si commenta da sé. E mi suggerisce una modesta proposta da sottoporre ai signori che dirigono la scuola italiana.

In questi tempi di bene/male-detta DAD perché non offrire ai nostri studenti delle superiori, disorientati e smarriti nel caos educativo prodotto dalla pandemia, la chance di ascoltare liberamente online (oltre che il vero Alessandro Barbero) tutti gli altri “Alessandro Barbero” del proprio istituto (e non solo) che potrebbero interessarli e aiutarli di più? Non ci crederete, ma di prof come lui ce ne sono abbastanza nella nostra scuola superiore. Non la maggioranza, certo, anzi forse una contenuta minoranza. Ma sono più numerosi di quanto si immagini.

I prof che lo desiderano potrebbero insomma registrare le loro lezioni frontali che ritengono più riuscite e più utili e metterle a disposizione di tutti gli studenti del proprio istituto (e non solo). Così tutti i ragazzi avrebbero opportunità di confrontare e integrare le lezioni che seguono (e devono continuare a seguire) in classe con quelle di altri prof. Si sfumerebbero così – senza abbatterli – i confini rigidi tra le classi: e tutti gli alunni potrebbero virtualmente imparare da tutti i prof e tutti i prof insegnare virtualmente a tutti gli alunni. Il tutto a costo quasi zero. E con la possibilità anche di valorizzare e incentivare i prof migliori per quello che valgono didatticamente, non tanto per i servizi logistici e burocratici aggiuntivi che sono disposti o condannati a sobbarcarsi.

Per capirci: il prof più visualizzato e seguito riceverà un bonus premiale. Non solo quelli (come è successo finora) che si attivano per l’open day, per le gite scolastiche e per l’alternanza scuola-lavoro, ma anche e soprattutto quelli più bravi e più apprezzati dagli studenti. Semplice no? (quantomeno a dirsi…)

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