I.
Sono il pappo rapito nella danza
demente ed erratica dell’acqua. Ammiro
senza invidia la costanza della pietra
che abita il greto del torrente.
II.
Il passato è piombo
che ci riattrae al fondo
mentre ogni nervo è teso
a colmare il tondo dello sguardo
dell’oro fuso che dilaga alto, feroce
sulla superficie liquida del giorno.
Grata fatica spesso profondare
nella fossa oramai di quel che
è stato, tepore putre di giardini
sepolti sotto il mare o sole di mattini
affogato nella mitezza del ricordo. Ma l’ansia
di scombinare il gioco – riemergere e sparare
un colpo di futuro in aria a ingravidare un’altra
volta il cielo – trascende il mito della nostra infanzia.