TOSSILO [servo]
O melma ruffianica [lutum lenonium], cacatoio pubblico impastato col fango, sporcaccione disonesto, sacrilego, fuorilegge, rovina del popolo, sparviero del denaro altrui, avido ed invido, procace, rapace, furace [procax, rapax, trahax]…. ti decidi ad arraffare la grana?
DORDALO [lenone]
Lasciami respirare e ti risponderò. O uomo straordinario che eccelli tra la folla, o stalla degli schiavi [stabulum servitricium], liberatore di mignotte, pietra per affilare lo staffile, logoratore di ceppi, iscritto all’anagrafe delle macine, servo fino alla fine dei tempi [perenniserve], vorace, edace, furace e fugace [lurco, edax, furax, fugax].
Questo dialogo è tratto da una commedia di Plauto intitolata Persa e scritta circa 2.200 anni fa. I personaggi (un servo che ha racimolato una somma per riscattare una cortigiana [oggi ‘escort’] e un lenone, protettore-trafficante della medesima ) si insultano in un tono non molto diverso, mi pare, da quello di molti pseudodibattiti televisivi odierni.
Ma bisogna dire che, nella sua la trivialità linguistica, la scena plautina possiede uno stile, un estro inventivo, un’originalità sanguigna e plebea, un compiacimento artistico – direi – del turpiloquio che gran parte dei duellanti mediatici nostrani, con la loro misera, inelegante e trita volgarità – lessicale e morale –, non potrebbero mai eguagliare.