Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for febbraio 2020

Risultato immagini per carlo levi    Risultato immagini per carlo levi

Leggo solo in questi giorni – troppo tardi? – Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi. Ma non è mai troppo tardi. Lo avessi letto interamente a diciotto anni forse non ne avrei apprezzato a pieno la compostezza, a tratti incantevole, dello stile, e la compresenza paradossale, nel suo sguardo attentissimo di osservatore, di un fermo distacco e di una infinita pietas. Questo libro, che non saprei incasellare esteriormente in un genere – un po’ romanzo, un po’reportage, un po’diario -, è la rielaborazione artistica – rispettosa ed amorosa – di una traumatica esperienza della alterità. Per un periodo della sua vita Levi, raffinato intellettuale della borghesia torinese, è precipitato – suo malgrado, come si sa – in una realtà a lui totalmente sconosciuta. Gettato di colpo in un mondo infero fuori dalla storia e regredito alle scaturigini remote, quasi incontaminate della nostra civiltà. Questo corto circuito deve averlo prima sconvolto e subito dopo, etimologicamente, affascinato. Tra l’esperienza e la sua riscrittura definitiva sono passati alcuni anni. Quelli necessari e sufficienti perché il trauma si tramutasse in fascinazione. Quando descrive le credenze e le leggende di quel misero mondo arcaico di pastori e di contadini Levi, per lunghi tratti, traduce il loro stesso linguaggio magico e pensa il loro stesso pensiero mitico. Tra esperienza e scrittura Levi ha bruciato, nella rivisitazione interiore di quella esperienza, molto della sua distanza culturale da quella realtà, tranne il dominio (cólto, coltissimo) della scrittura stessa. È essenzialmente questo, per me, che fa il valore – notevolissimo – del libro. Non un resoconto meramente descrittivo né soltanto una memoria ad uso degli storici e degli antropologi di professione (benché, anche su questo versante, esso offra un contributo rilevante). Piuttosto l’appropriazione di un mondo. La sua vigile, dolorosa ed empatica interiorizzazione. Scrivendo Cristo si è fermato a Eboli Carlo Levi è riuscito spesso a spogliarsi, senza però dimenticarla mai, della sua civilitas e della sua superiorità intellettuale. Ha saputo muoversi cioè sul filo di un equilibrio miracoloso e precario. Diventare l’Omero e il Verga di quell’universo primordiale. Solo così ha potuto scrivere pezzi memorabili.

Vedi ad esempio il racconto di un drago che infestava quei luoghi desolati fino a quando non venne sconfitto da un valoroso principe del posto: favola raccolta da lui oralmente negli anni trenta del Novecento in Lucania, ma che sembra coeva alle tante narrate dalla poesia greca antica. E lo è, per la sua scontata e antichissima trama mitica, ma soprattutto per la sentita ingenuità con cui Levi la racconta, senza filtri razionalistici che avrebbero potuto distruggerne l’incanto:

Il drago, a quello che mi raccontarono, abitava in una grotta vicino al fiume, e divorava i contadini, riempiva le terre del suo fiato pestifero, rapiva le fanciulle, distruggeva i raccolti. Non si poteva più vivere, in quel tempo a Sant’Arcangelo […] Il principe venne, tutto armato, sul suo cavallo, andò alla grotta del drago e lo sfidò a battaglia. […] A un certo momento, quel valoroso si sentì tremare il cuore […] quando gli apparve, vestita di azzurro, la Madonna che gli disse con un sorriso: – Coraggio, principe Colonna! – e rimase da una parte, appoggiata alla parete […] A questa visione, a queste parole, l’ardimento del principe si centuplicò, e tanto fece che il dragone cadde morto ai suoi piedi. Il principe gli tagliò la testa, ne staccò le corna, e fece edificare la chiesa perché vi fossero per sempre conservate.

Il mostruoso flagello, l’eroe che lo uccide con l’assistenza – sorridente! – della divinità, l’edificazione di un luogo sacro per conservarne le spoglie: se rimuoviamo la vernice cristiana, questo racconto presenta tutti gli ingredienti delle antiche favole eroiche pagane, quelli che si ritrovano anche nelle saghe di tanti eroi del mito classico.

Anche i tratti e le prerogative della Madonna nera di Viggiano hanno una riconoscibile, antichissima matrice precristiana:

La madonna dal viso nero […] non era la pietosa Madre di Dio, ma una divinità sotterranea, nera delle ombre del grembo della terra, una Persefone contadina, una dea infernale delle messi. […] La Madonna nera non è, per i contadini, né buona né cattiva; essa è molto di più. Essa secca i raccolti e lascia morire, ma anche nutre e protegge; e bisogna adorarla. 

Nella sua potenza – temibile, imperscrutabile, arbitraria – questa figura ha moltissimo degli dèi del mondo classico. Una affinità profonda che dipende, ovviamente, dalla comune appartenenza di entrambi i mondi (quello classico, appunto, e quello rurale osservato da Levi) a un primigenio sostrato pagano mediterraneo. Ma certo sorprende (e sgomenta) in sé la intatta sopravvivenza nel nostro meridione di questi tratti ancestrali ancora in pieno novecento.

La solida cultura classica di Levi (di cui affiorano evidenti indizi qua e là nel testo) lo agevola peraltro non poco nel riconoscere consapevolmente i caratteri più primitivi del mondo che osserva. Lo aiuta a misurarne meglio la loro tremenda arcaicità e al tempo stesso a medicarne la estraneità profonda con il filtro di un linguaggio (una Persefone contadina) culturalmente familiare.

Ma si mostra anche in vari punti – curiosamente – il rovescio della medaglia. Un po’ come in certi etnografi antichi, sul fondo atemporale e pre-civile di quel mondo pietrificato nella preistoria risaltano in controluce, per un contrasto accecante, i mali e le brutture della italianità moderna: non solo la sovrapposizione recente e brutale a quel mondo del regime fascista e/o dello stato unitario, ma anche la difformità – non di rado giudicata in termini sorprendentemente elogiativi – del costume locale rispetto a certi tratti tristemente noti del malcostume nazionale.

Vedi le considerazioni – amare ma davvero penetranti – che Levi sviluppa intorno alla sconcertante figura di un barbiere analfabeta che esercita con destrezza il mestiere di chirurgo:

Aveva davvero una certa abilità, e io lo chiamavo perché mi aiutasse nei piccoli interventi chirurgici, o lo incaricavo di andare a fare le iniezioni. Che cosa importava se non era autorizzato? Le faceva benissimo: ma doveva agire di nascosto, perché l’Italia è il paese dei diplomi, delle lauree, della cultura ridotta soltanto al procacciamento e alla spasmodica difesa dell’impiego. Molti contadini camminano ancora, a Gagliano, che sarebbero rimasti zoppi, ad opera della scienza ufficiale, per tutta la vita, grazie a questo figaro – contrabbandiere dall’aspetto furtivo, mezzo stregone e mezzo medicone, in guerra con l’autorità e i carabinieri […]

Read Full Post »

Risultato immagini per cicale formiche         Risultato immagini per sardine

Le ragioni non dette e indicibili delle nostre scelte e delle nostre azioni spesso sono molto più basse, elementari ed animali di quelle che dichiariamo agli altri e confessiamo a noi stessi. Complessità e altezza d’animo sono del nostro personaggio molto più che della nostra persona.

A chi ti chiede come stai, rispondi sempre e obbligatoriamente bene. Perché chi te lo chiede non accetta di buon grado di sentirsi dire e raccontare altrimenti. E se pure lo accettasse, non potrebbe o non vorrebbe adoperarsi per farti star meglio.

Chi la fa l’aspetti. Chi non la fa, non s’aspetti che altri non gliela facciano.

Il canto delle cicale – intendiamoci – è conforto e piacere impagabili della vita di tutti, formiche comprese. Ma solo il lavoro di queste ultime lo rende possibile, purtroppo.

Quella dei radical chic di casa nostra è ormai una chiesa in piena regola, con tanto di sacerdoti televisivi, predicatori di piazza e teologi da salotto, catechisti, riti propiziatori ed espiatori, messe al chiuso e all’aperto cantate e recitate, giaculatorie e rosari. Insomma: mancherebbe solo un papa (ma al ruolo vacante essi suppliscono ormai senza problemi con quello che già siede in Vaticano). [Peggiori di questi radical chic io trovo  soltanto i loro beceri, seriali detrattori d’ufficio al soldo di certa carta (igienica) stampata.]

No. Non mi piacciono le sardine, come del resto ogni altro pesce in scatola o in barile.

Vivere alla giornata e viaggiare senza bussola era una volta lo stile di scansafatiche e di vagabondi. Adesso è diventato il programma dichiarato di partiti politici.

PS [a proposito, o quasi, della ‘chiesa’ dei radical chic]: «Guardi i moralisti, così seri, che amano il prossimo e il resto, non c’è niente alla fin fine che li distingua dai cristiani tranne il fatto che non predicano in chiesa » (Albert Camus, La caduta, [1956] Trad. it. di S. Morando, Bompiani, Milano 1980, p. 83)

Read Full Post »