Non vorrei scrivere nulla, e di nulla, in questo periodo. Maiora premunt. Ma evidentemente non se ne accorge il ministero della istruzione che continua a spargere comunicati e proclami sospinti dal vento della solita retorica efficientista, come se attorno alla scuola italiana (ai suoi ragazzi e ai suoi prof) nulla o quasi stesse succedendo. In senso contrario soffiano le solite brezze della denigrazione qualunquistica e gratuita contro gli insegnanti come privilegiati fannulloni. Cosa di cui neanche più mi sorprendo, tanto questa moda miserabile ormai si accende – complici i social – a prescindere da ogni dato reale, innescata da scintille polemiche costruite ad arte (vedi ad es. le farneticazioni deliranti e meritevoli in sé di denuncia per diffamazione – ma molto emblematiche – che ho trovato quasi per caso in questa pagina web: https://www.facebook.com/541288079571840/posts/1091504701216839/?d=n&substory_index=0p ).
In questo momento la scuola reale sta in mezzo, equidistante mille miglia tanto dalle fanfar(onat)e del ministero e di taluni dirigenti quanto dalle calunnie dei social.
Non faccio – lo ripeto da sempre– il difensore d’ufficio della mia (ex) categoria. Eppure posso testimoniare giurando di dire solo la verità che in questo momento i dipendenti pubblici che stanno impegnandosi e faticando di più, dopo medici e infermieri, sono proprio gli insegnanti.
Non c’è scuola nella quale i prof non proseguano ormai da settimane il loro lavoro quotidiano sotto altra e non facile forma. La stragrande maggioranza di loro continua, ma in condizioni diverse e spesso complicate e disagiate, a tenere lezione davanti ai loro studenti. La stragrande maggioranza di loro si sveglia alla solita ora e dopo colazione si siede al computer facendo l’appello virtuale dei propri alunni che compaiono uno ad uno dall’altra parte dello schermo. Così per tutta la mattinata. La maggior parte di loro, poi, passa il pomeriggio e la sera a preparare tra vari problemi tecnici le lezioni del giorno dopo. Questa è la pura verità.
Tutto ciò perché – in attesa di tempi migliori – il filo di Arianna del percorso educativo iniziato nella scuola reale non si spezzi ma rimanga annodato e teso, dalle mani di chi insegna a quelle di chi apprende. Questo è lo scopo. Nobile e irrinunciabile. Ma difficile da perseguire. Perché insegnare davanti a uno schermo anziché immersi nel milieu di una classe viva e reale non è la stessa cosa. Ci sono ostacoli tecnici e soprattutto svantaggi notevoli sul piano della immediatezza e della trasparenza della relazione educativa. Quanto si perda nella scuola virtuale rispetto a quella reale è ben spiegato, in un recente articolo che condivido in gran parte e a cui rimando, da Tomaso Montanari: https://emergenzacultura.org/2020/03/23/tomaso-montanari-insegnamento-a-distanza-come-stare-in-cattedra/.
Devo dire però che questo esperimento forzato dalle circostanze potrebbe avere in sé, oggettivamente e preterintenzionalmente, al di là dei suoi limiti e del suo auspicabile carattere temporaneo, un paio di vantaggi eventuali, almeno per la scuola superiore, di cui si potrebbe far tesoro in futuro.
Quello, anzitutto, di decomprimere la scuola dall’assillo – che la tormenta e la agita da qualche decennio – della misurazione e della valutazione ‘obiettiva’ dei risultati. Da tempo ormai (lo scrissi in un vecchio post) la nostra scuola è diventata un votificio e un diplomificio nel quale l’assegnazione compulsiva di test di verifica scritti e orali da tradurre costantemente in voti numerici (spesso gonfiati) è diventato il rovello principale di docenti e utenti. Il tempo e le energie che questo stressante meccanismo sperpera sono così grandi da oscurare e marginalizzare il vero obiettivo del fare scuola: quello di promuovere la formazione (sentimentale, intellettuale, morale, civile) della persona attraverso un sereno e stimolante dialogo culturale. Ora succede che nella ‘scuola remota’ la verifica ufficiale e obiettiva diventa materialmente quasi incontrollabile e la valutazione – di conseguenza – quasi impossibile, tanto che alla fine la migliore giustizia valutativa coinciderà giocoforza con la promozione d’ufficio. Ai più tra gli addetti ai lavori (e a molte famiglie che aspettano dalla scuola solo gratificazioni formali e pezzi di carta) questa impossibilità sembrerà una catastrofe. A me invece una insperata opportunità. Ho sempre sognato, negli ultimi anni della mia carriera, di liberare il mio tempo scolastico da compiti in classe, test, interrogazioni formali ecc per poter leggere di più, approfondire di più, dialogare e dibattere di più. Paradossalmente questa scuola emergenziale, a differenza di quella normale, deve/può farlo. Ha teoricamente un vantaggio a dispetto di varie innegabili controindicazioni.
Il secondo vantaggio dell’insegnamento online corrisponde anch’esso a un mio sogno che non ho mai realizzato: quello di poter ricondurre la scuola al suo compito più autentico e più puro. Alla sua quintessenza educativa e culturale, appunto. Alla sua anima originaria. Sgombrando il terreno da tutte le superfetazioni patologiche che lo infestano da anni come rigogliose erbe maligne: parlo – per farmi capire – delle gite e delle assemblee, delle settimane bianche e di quelle pseudoculturali, dei progetti extra e para, dell’alternanza scuola-lavoro, degli incontri promozionali con università, carabinieri, vescovi, industriali, ecc ecc ecc. Insomma, liberandosi di tutti i fronzoli e gli orpelli dell’antiscuola, cioè di tutto quel micidiale fardello di attività di contorno inutilmente obbligatorie che ha sempre più oppresso l’organismo e paralizzato l’attività fisiologica della scuola autonoma.
Vantaggi come questi potrebbero, una volta superata l’emergenza, essere riconsiderati utilmente quando si ritornerà nelle aule. Temo purtroppo che non accadrà. Che, nella scuola almeno, tutto tornerà ad essere esattamente come prima.