Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘antiscuola’

Sostiene Andrea Gavosto (ne La scuola bloccata, Bari, Laterza 2022), tra molto altro, quanto segue:

  • La valutazione della qualità degli insegnanti e il loro reclutamento vanno effettuati in relazione ai bisogni organizzativi e didattici delle scuole’ A me pare piuttosto che le scuole (ovvero la loro dirigenza), se avessero mano libera in questo senso, non assumerebbero gli insegnanti migliori ma quelli più adatti alla gestione dell’antiscuola, cioè di tutte le attività e le iniziative progettuali e promozionali, para- ed extra- che oggi ingombrano e paralizzano l’attività didattica ostacolandola e snaturandola sempre più… Mi pare insomma che Gavosto parta da principi astratti e ideologici (leggi: aziendalisti e neoliberisti) senza conoscere nulla del terreno concreto su cui vorrebbe applicarli.
  • ‘Nella formazione degli insegnanti lo studio della didattica disciplinare è molto importante, più importante di quello della disciplina stessa’. E dire che io, quando ero un giovane aspirante prof, ho dovuto sprecar tempo a sorbettarmi vari sproloquianti saggi e manuali di didattica dell’italiano e delle lingue classiche: il massimo che sono riuscito a ricavarne, purtroppo, è stata una terminologia altisonante (una sorta di didacticorum) da spalmare sopra metodi e contenuti che già conoscevo per conto mio… sono stato davvero un pessimo insegnante! Addirittura sacrilego, quando, pochi anni dopo, ho consegnato quei pretenziosi volumi che ingombravano la mia biblioteca alla raccolta differenziata! (annales didacticologorum, c… charta!)
  • ‘La carriera dei docenti – sostiene ancora G. – andrebbe incentivata con premialità crescenti in relazione all’assunzione di sempre maggiori incombenze organizzative e direttive’. E dire che i docenti più appassionati del loro mestiere detestano per lo più incarichi di questo genere!!! Gavosto evidentemente lo ignora.
  • ‘I genitori – sostiene sempre G.- sono una forza in grado di orientare al meglio la riforma della scuola’ Qui siamo al patetico e al ridicolo (ihihihih…ahahahah!). Gavosto ignora che alla maggioranza dei genitori (non a tutti) interessa molto più una scuola facile e divertente che una scuola impegnativa e di qualità! (Anzi no, non lo ignora affatto, ma finge di ignorarlo, visto quello che dice poi e che richiamerò nella voce successiva…, mah!).
  • Professa G. una fiducia estrema nelle prove standardizzate e nei monitoraggi esterni tipo Invalsi’, come se questi in Italia non risultassero di validità scientifica molto dubbia e non fossero in mano di inutili baracconi autoconservativi del sottobosco burocratico ministeriale – ma poi G. riconosce che oggettivamente, se anche le prove Invalsi fossero credibili e venissero rese pubbliche per orientare le scelte delle famiglie, molti genitori non iscriverebbero i figli alle scuole con punteggio più alto per paura che siano bocciati: e allora? Di che cosa andiam parlando??  [aggiunge poi G. che i curricola dei prof dovrebbero essere accessibili a tutti sul web, e su questo una tantum siamo finalmente in sintonia…]
  • Sostiene G. che ‘bisogna assegnare alle scuole il nuovo fine della più alta qualità degli apprendimenti’. Già, ma che cosa si intende concretamente con ciò? Parliamo della scuola dei soft skills o di una scuola nella quale di leggono ancora Dante e Leopardi? Qui casca l’asino. E come si fa ad accrescere questa qualità in una scuola ormai aggredita e sopraffatta dall’antiscuola??
  • Sostiene G. ‘l’esigenza ormai improcrastinabile di una scuola meno nazionale, ma di indirizzo europeo comune’. Bella idea in sé, ma da chiarire concretamente, perché detta così nasconde delle implicazioni ambigue. Non vorrei ritrovarmi in una scuola dove la lingua italiana sia marginalizzata a favore dell’inglese e con lei venga sportivamente liquidata anche la gran parte delle materie storico-umanistiche…

[PS: Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, propone nel suo libro analisi e riforme della scuola pubblica da una posizione legittima, certo, ma tutt’altro che neutra e disinteressata. Inoltre, per quanto cerchi di dare al suo saggio una immagine di scientificità fondata su decine e decine di studi sociologici, statistici e pedagogici sciorinati in nota, mostra – ahimè – ad ogni piè sospinto di ignorare del tutto la realtà effettuale e quotidiana della nostra istruzione. Ma anche di avere in mente, molto chiara e ideologicamente orientata, l’idea di scuola che vorrebbe realizzare. In questo senso il suo libro è l’esatto opposto delle testimonianze concrete, ormai discretamente numerose, che vari insegnanti (tra cui il sottoscritto) hanno pubblicato sul mondo della scuola. Ora io non nego che le testimonianze individuali possano cadere in un serio peccato di presunzione: cioè nella pretesa di interpretare la generalità di un fenomeno a partire da una esperienza particolare. Ma è vero altresì che l’esperienza sul campo non è sostituibile, in alcun modo, per la conoscenza esauriente di una realtà, da un approccio soltanto accademico e libresco, tantomeno da dati meramente statistici. L’ideale sarebbe che i due metodi si integrassero, come è vero che la diagnosi e la terapia più corrette possono essere formulate da un medico sulla base di esami oggettivi, certo, ma anche e soprattutto dell’osservazione clinica diretta e del costante ascolto del paziente. Leggendo questo libro, invece, ho provato una strana sensazione di freddezza: continuando la metafora medica, mi è parso di assistere, più che ad una valutazione clinica fatta sul corpo vivo della scuola, ad una sua distaccata diagnosi a distanza… Distaccata, ma non asettica – ripeto – e solo ingannevolmente obiettiva. Perché dietro quel linguaggio da notomista G. nasconde un modello e un progetto di scuola ben riconoscibile: la scuola del fare, la scuola delle competenze, la scuola dei risultati misurabili. La scuola azienda, per capirci. O, meglio, la scuola che sforna individui già formati alla mentalità aziendalistica lato sensu e ai suoi idoli: flessibilità, intraprendenza, economicità, spirito di innovazione e di impresa (gabellato per ‘spirito critico’) ecc. ecc. Tutto come da copione confindustriale. Spesso basta il titolo a farci intuire la tesi di un libro. Questa volta è sufficiente forse già il nome dell’autore.]

Read Full Post »

Un Manifesto per la nuova Scuola | Itali@ Magazine

Di manifesti per la scuola pubblica ne sono usciti parecchi negli ultimi tempi, a cadenza quasi annuale. Tutti regolarmente sottoscritti da nomi di illustri cattedratici, intellettuali, giornalisti ecc.

Ma questo:

https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2021/03/20/manifesto-per-la-nuova-scuola/

mi coinvolge più degli altri. Non solo perché condivido tutto al 100%. Non solo perché i problemi che solleva e le proposte che avanza sono le mie stesse da quando (ormai da un paio di decenni) scrivo regolarmente e inutilmente sulla scuola italiana. Ma anche e soprattutto perché, al cuore di questo manifesto, c’è un problema – enorme – che sfugge all’opinione pubblica ma che affligge segretamente la nostra scuola, specialmente quella liceale: l’antiscuola. Un monstrum horrendum et ingens. Un tumore inoculato nell’organismo scolastico proprio da chi, a vari livelli dirigenziali, dice di averne a cuore la salute e il buon funzionamento. O se si vuole una grave patologia autoimmune che si è lasciata degenerare in misura preoccupante, anche perché scambiata pericolosamente da molti (compresi certi insegnanti) per un una medicina. Che cosa sia l’antiscuola è presto detto: trattasi dell’insieme di tutte quelle numerosissime iniziative o attività collaterali proliferate ultimamente nella scuola autonoma fino a paralizzarne il funzionamento fisiologico. Fino cioè a impedire ai prof di insegnare e ai ragazzi di apprendere. Mi spiego concretamente. In un anno scolastico ci sono circa 200 giorni di lezione. Si va (si dovrebbe andare) a scuola per partecipare alle lezioni. Invece no. Non proprio e non sempre. Perché di questi 200 giorni almeno una dozzina se ne va per gite e uscite varie. Altri sette per la settimana bianca. Altri sette per le assemblee studentesche di istituto. Altri 10 o 15 (in alcune classi) per la cosiddetta alternanza scuola lavoro. Un’altra settimana per l’accoglienza delle classi iniziali. Un’altra decina almeno per presenziare a vari incontri promozionali (con le università, con i carabinieri, con l’esercito, col vescovo ecc.) o informativi (di carattere sanitario, civico ecc.). Altri tre o quattro giorni se ne vanno per le attività alternative à la page della cosiddetta ‘settimana culturale’ autogestita da alcuni studenti, durante la quale si tengono lezioni sul ricamo al tombolo o sugli ufo… Senza contare le numerosissime e intermittenti assenze di singoli alunni per attività ‘esterne’ autorizzate (gare sportive, olimpiadi della matematica o della filosofia, certificazioni esterne di lingua o di informatica, eventi promozionali ecc.). Un semplice conto della serva arriva già a una settantina almeno di giorni rubati alla lezione ordinaria e/o persi da classi intere o da gruppi o da singoli ragazzi. Più di un terzo dei giorni annuali complessivi di lezione. Ma è solo un computo per difetto. Perché non tiene conto dei pretenziosi ma spesso strampalati progetti che intralciano regolarmente lo svolgimento della lezione ordinaria. E poi perché di attività le più varie (conferenze, dibattiti, celebrazioni, feste, spettacoli, happening, e chi più ne immagina più ne metta) ne spuntano fuori ogni settimana – spesso improvvisate e imposte dallo staff dirigenziale – come gramigna sulla superficie di un prato. Ora tutti capiscono facilmente che se un programma didattico organico viene continuamente bombardato, sforacchiato e frantumato da queste interruzioni incongrue ed estranee non può, alla fine, semplicemente, avere la minima efficacia. Diventa un programma-gruviera. Un miserevole frullato misto delle frattaglie e degli scarti della lezione ordinaria. Quel poco che si riesce a insegnare, per altro, passa in secondo piano rispetto ai fuochi d’artificio di queste gratificanti iniziative che interrompono quotidianamente l’insegnamento. Quello che dovrebbe essere centrale (la trattazione organica, sistematica e pianificata delle materie fondamentali) diventa marginale, mentre tutto quello che dovrebbe essere marginale, di contorno o di completamento, invade il centro della scena. Il perché di questo patologico rovesciamento è facile da spiegare, purtroppo. Senza questo pullulare di attività dell’antiscuola verrebbero meno – dicono i dirigenti e i loro collaboratori – la presenza nel territorio e la visibilità esterna di un istituto scolastico. Dunque il tumore dell’antiscuola è soprattutto figlio, anch’esso, della inevitabile deriva pubblicitaria della scuola ‘autonoma’ e della sua crescente dipendenza dall’esterno. Il male si estirperebbe se la scuola venisse esentata dalla necessità di autopromuoversi, di ostentare continuamente le sue vere o presunte attrattive. La scuola di oggi purtroppo ha un bisogno vitale di mostrarsi agghindata e seducente, di vivere e di lavorare costantemente esposta sulla strada… So di aver alluso a un paragone forte, ma questa purtroppo è la realtà attuale della scuola autonoma italiana. Questa la radice vera dell’antiscuola.

Read Full Post »

Scuola a distanza – Istituto Comprensivo di Carbonera Azzolina annuncia una piattaforma per la scuola a distanza. Ma non ...

Non vorrei scrivere nulla, e di nulla, in questo periodo. Maiora premunt. Ma evidentemente non se ne accorge il ministero della istruzione che continua a spargere comunicati e proclami sospinti dal vento della solita retorica efficientista, come se attorno alla scuola italiana (ai suoi ragazzi e ai suoi prof) nulla o quasi stesse succedendo. In senso contrario soffiano le solite brezze della denigrazione qualunquistica e gratuita contro gli insegnanti come privilegiati fannulloni. Cosa di cui neanche più mi sorprendo, tanto questa moda miserabile ormai si accende – complici i social – a prescindere da ogni dato reale, innescata da scintille polemiche costruite ad arte (vedi ad es. le farneticazioni deliranti e meritevoli in sé di denuncia per diffamazione – ma molto emblematiche – che ho trovato quasi per caso in questa pagina web: https://www.facebook.com/541288079571840/posts/1091504701216839/?d=n&substory_index=0p ).

In questo momento la scuola reale sta in mezzo, equidistante mille miglia tanto dalle fanfar(onat)e del ministero e di taluni dirigenti quanto dalle calunnie dei social.

Non faccio – lo ripeto da sempre– il difensore d’ufficio della mia (ex) categoria. Eppure posso testimoniare giurando di dire solo la verità che in questo momento i dipendenti pubblici che stanno impegnandosi e faticando di più, dopo medici e infermieri, sono proprio gli insegnanti.

Non c’è scuola nella quale i prof non proseguano ormai da settimane il loro lavoro quotidiano sotto altra e non facile forma. La stragrande maggioranza di loro continua, ma in condizioni diverse e spesso complicate e disagiate, a tenere lezione davanti ai loro studenti. La stragrande maggioranza di loro si sveglia alla solita ora e dopo colazione si siede al computer facendo l’appello virtuale dei propri alunni che compaiono uno ad uno dall’altra parte dello schermo. Così per tutta la mattinata. La maggior parte di loro, poi, passa il pomeriggio e la sera a preparare tra vari problemi tecnici le lezioni del giorno dopo. Questa è la pura verità.

Tutto ciò perché – in attesa di tempi migliori – il filo di Arianna del percorso educativo iniziato nella scuola reale non si spezzi ma rimanga annodato e teso, dalle mani di chi insegna a quelle di chi apprende. Questo è lo scopo. Nobile e irrinunciabile. Ma difficile da perseguire. Perché insegnare davanti a uno schermo anziché immersi nel milieu di una classe viva e reale non è la stessa cosa. Ci sono ostacoli tecnici e soprattutto svantaggi notevoli sul piano della immediatezza e della trasparenza della relazione educativa. Quanto si perda nella scuola virtuale rispetto a quella reale è ben spiegato, in un recente articolo che condivido in gran parte e a cui rimando, da Tomaso Montanari: https://emergenzacultura.org/2020/03/23/tomaso-montanari-insegnamento-a-distanza-come-stare-in-cattedra/.

Devo dire però che questo esperimento forzato dalle circostanze potrebbe avere in sé, oggettivamente e preterintenzionalmente, al di là dei suoi limiti e del suo auspicabile carattere temporaneo, un paio di vantaggi eventuali, almeno per la scuola superiore, di cui si potrebbe far tesoro in futuro.

Quello, anzitutto, di decomprimere la scuola dall’assillo – che la tormenta e la agita da qualche decennio – della misurazione e della valutazione ‘obiettiva’ dei risultati. Da tempo ormai (lo scrissi in un vecchio post) la nostra scuola è diventata un votificio e un diplomificio nel quale l’assegnazione compulsiva di test di verifica scritti e orali da tradurre costantemente in voti numerici (spesso gonfiati) è diventato il rovello principale di docenti e utenti. Il tempo e le energie che questo stressante meccanismo sperpera sono così grandi da oscurare e marginalizzare il vero obiettivo del fare scuola: quello di promuovere la formazione (sentimentale, intellettuale, morale, civile) della persona attraverso un sereno e stimolante dialogo culturale. Ora succede che nella ‘scuola remota’ la verifica ufficiale e obiettiva diventa materialmente quasi incontrollabile e la valutazione – di conseguenza – quasi impossibile, tanto che alla fine la migliore giustizia valutativa coinciderà giocoforza con la promozione d’ufficio. Ai più tra gli addetti ai lavori (e a molte famiglie che aspettano dalla scuola solo gratificazioni formali e pezzi di carta) questa impossibilità sembrerà una catastrofe. A me invece una insperata opportunità. Ho sempre sognato, negli ultimi anni della mia carriera, di liberare il mio tempo scolastico da compiti in classe, test, interrogazioni formali ecc per poter leggere di più, approfondire di più, dialogare e dibattere di più. Paradossalmente questa scuola emergenziale, a differenza di quella normale, deve/può farlo. Ha teoricamente un vantaggio a dispetto di varie innegabili controindicazioni.

Il secondo vantaggio dell’insegnamento online corrisponde anch’esso a un mio sogno che non ho mai realizzato: quello di poter ricondurre la scuola al suo compito più autentico e più puro. Alla sua quintessenza educativa e culturale, appunto. Alla sua anima originaria. Sgombrando il terreno da tutte le superfetazioni patologiche che lo infestano da anni come rigogliose erbe maligne: parlo – per farmi capire – delle gite e delle assemblee, delle settimane bianche e di quelle pseudoculturali, dei progetti extra e para, dell’alternanza scuola-lavoro, degli incontri promozionali con università, carabinieri, vescovi, industriali, ecc ecc ecc. Insomma, liberandosi di tutti i fronzoli e gli orpelli dell’antiscuola, cioè di tutto quel micidiale fardello di attività di contorno inutilmente obbligatorie che ha sempre più oppresso l’organismo e paralizzato l’attività fisiologica della scuola autonoma.

Vantaggi come questi potrebbero, una volta superata l’emergenza, essere riconsiderati utilmente quando si ritornerà nelle aule. Temo purtroppo che non accadrà. Che, nella scuola almeno, tutto tornerà ad essere esattamente come prima.

Read Full Post »

Risultati immagini per gramellini maraini

Durante un talk show un giornalista famoso ed una famosa scrittrice, entrambi appartenenti alla stessa area di pensiero della sinistra benpensante all’eau de rose, parlano della nostra scuola.

Il giornalista riferisce con stupore di una statistica che inchioda alla croce di una evidenza inoppugnabile la povera realtà dell’ignoranza linguistica dei giovani italiani. Grande accusata – con attenuanti – è ovviamente la scuola. Le attenuanti consisterebbero nel fatto che essa – la scuola – non riesce più da sola a contrastare l’influenza deleteria dei media, dei social e via discorrendo.

Mi colpisce di più però, nelle parole dei due interlocutori, lo stupore con cui essi constatano una presunta contraddizione del mondo giovanile. I ragazzi – secondo loro – sarebbero straordinari per la loro sensibilità verso le grandi sfide dell’attualità (diritti civili, volontariato, accoglienza, ecologia ecc ecc ), per la varietà dei loro interessi culturali e sociali ecc. Con questa loro eccezionale vitalità ricettiva confliggerebbe però (in una maniera che i due interlocutori ritengono inspiegabile) la difficoltà nel recepire e nel padroneggiare le regole della grammatica della loro lingua madre.

Questo stupore può sussistere, a mio avviso, solo se si ignora la scuola reale di oggi e si soggiace nel contempo a qualche equivoco ideologico. È tipico della sinistra radical chic credere infatti che una scuola davvero moderna debba fondarsi essenzialmente su di una fervida e costante rincorsa della modernità e della attualità. Poco importa se nella foga di questa rincorsa si lasciano indietro (come se fossero obsoleti) saperi fondamentali e  metodi consolidati. Ora, questi saperi e questi metodi richiedono fatica e tempo. Sono il duro allenamento che prepara alla performance sportiva. Ma se quell’ allenamento viene sacrificato e quel tempo viene dedicato quasi interamente ad inseguire, in maniera spesso scomposta e giocosa e spontaneista e immetodica, l’attualità, ecco che poco tempo e poca fatica restano per la vecchia grammatica, per le vetuste matematiche ecc.

Non ho dubbi che i giovani accorrano entusiasti alle conferenze che quella famosa scrittrice tiene nelle scuole sui più disparati temi d’attualità: quei temi sono sicuramente importanti, ma non costa nulla ai ragazzi affollare un’aula magna per una conferenza sul clima, porre qualche brillante domanda al relatore e alla fine applaudire tutto e tutti scordandosi in un’ora gran parte di quello che si è ascoltato. Non solo non costa, ma può persino gratificare. Il punto è proprio questo: grammatica e matematiche sono troppo ingrate. Chi si ostina a insegnarle ancora annoia, mortifica, esaspera. Meglio sostituirle con progetti à la page, conferenze con personaggi famosi, giornate di cultura moderna. Così fanno le scuole adesso. Tutte. La sistematicità dell’insegnamento si è dispersa in un frullato di mille attività eterogenee e accattivanti. Perciò nulla più di sistematico si insegna e si impara nelle nostre scuole. Non si riesce più a farlo neanche a volerlo. Perché l’unico sistema che vige e domina ormai nel mondo scolastico è l’antisistema. La scuola del frullatore. L’antiscuola.

Già una scuola (ipotetica) che si incaponisse oggi ad insegnare bene e sistematicamente l’italiano avrebbe partita persa contro i media e i social. Figuriamoci una scuola (reale) come questa, arresa e venduta alle mode. In tutt’altre faccende affaccendata.

Di che cosa si meravigliano allora i due signori di cui sopra?

Read Full Post »