Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘pubblicità’

Pasolini, nasce la bibliografia delle opere friulane - Libri - Altre  Proposte - ANSA
Aforismario: Massime, sentenze e frammenti di Epicuro

Perché ce l’ho tanto con la pubblicità? Forse perché sono un disadattato, un passatista, un donchisciotte che combatte i mulini a vento della modernità. Non so: lascio ai lettori giudicare. Mi basta, per parte mia, fare alcune considerazioni sparse per circostanziare la mia strana idiosincrasia:

1) tra la fine degli anni sessanta e gli inizi dei settanta Pier Paolo Pasolini indicava nel modello di sviluppo consumistico il vero, nuovo fascismo. Non aveva torto: anche se formalmente questo sistema non ti impone nulla, nei fatti è talmente condizionante e totalizzante che non ti lascia alternative né scappatoie. E la pubblicità di questo sistema è l’anima, il cuore pulsante e la mano operativa.

2) Pasolini avrebbe confermato in pieno il suo giudizio (profetico) sul sistema consumistico se fosse arrivato a conoscere l’èra di Internet, l’epoca della proliferazione all’infinito di ogni forma di marketing dentro l’immondezzaio pubblicitario della rete. Si ha un bel dire che uno, volendo, può ignorare la pubblicità; in realtà vi siamo immersi, come lo siamo nella luce del sole o nell’aria che respiriamo. Prima c’erano carosello e i tabelloni pubblicitari, vale a dire che c’erano momenti e spazi regolati per la pubblicità. Adesso è diventato uno stalking, un pressing persecutorio, con la pervasività dell’acqua che invade ogni interstizio, s’infila in ogni pertugio libero della nostra esistenza. Quello che non riesce ad avere con la seduzione raffinata vuole perseguirlo con l’invadenza spudorata ed il tambureggiante lavaggio cerebrale. La pubblicità oggi percorre mille strade senza trovare più divieti di accesso: giornali, tv, radio, spazi fisici pubblici esterni ed interni, linee telefoniche fisse e mobili, e, soprattutto, il web con tutte le sue diaboliche virtualità. Tutto il resto che questi media dovrebbero fare perché sono costituzionalmente deputati a farlo (informazione, formazione, cultura, spettacolo) diventa secondario e ancillare rispetto alla pubblicità, nel senso che essi non potrebbero nemmeno esistere senza i finanziamenti che solo la pubblicità garantisce loro. Figuriamoci se possono esprimersi senza uniformarsi più e meno direttamente alla sua filosofia.

3) Siamo costretti da questo sistema non solo a subire continuamente la pubblicità ma anche a diventarne soggetti attivi e collaborativi. Oramai non esistono quasi più, per esempio, professioni o mestieri o occupazioni che non implichino strategie o attitudini promozionali, cioè ‘pubblicitarie’ in senso lato. Se fai il commerciante o l’artigiano o libro professionista una bella dose di autopromozione devi sobbarcartela. Ma anche se sei insegnante, per fare il mio esempio, non puoi oggi più esimerti dal contribuire (negli open days, nelle giornate dell’orientamento ecc.) alle iniziative propagandistiche del tuo istituto a caccia di iscritti; perciò non puoi più permetterti di fare il Socrate o il libero pensatore… Persino se fai a tempo perso lo scrittore puoi scordarti il buen retiro nel tuo eremo creativo, perché dovrai presentare e pubblicizzare i tuoi scritti, un’attività ingrata di cui quasi tutti gli editori ormai si infischiano altamente. Accanto a questo proliferare di attori e agenzie pubblicitarie scarseggia sempre più la presenza di filtri critici oggettivi e competenti: per mille vini in vendita ci sono mille osti a decantarcene la bontà, ma sempre meno enologi a garantircela.

4) Scopo primario ma non esplicito della pubblicità (al di là della vendita del prodotto) è inculcare negli individui una visione edonistico-consumistica del mondo, e sollecitare (o indurre) in loro sogni e desideri talmente primitivi e profondi che non c’è razionalità che possa (tanto meno voglia) resistervi. Prima che promuovere consumi la pubblicità mira a plasmare in chi la subisce la forma mentis del consumatore.

5) Il sistema edo-consumistico è giovanilista, non solo perché si rivolge ai giovani ma perché tende ad affermare un modello pan- giovanilistico: brillantezza, intraprendenza, energia, ottimismo, salute, eros, prestanza, vitalità. Ci induce a immaginarci e a desiderarci sempre giovani e belli come gli antichi dèi greci… Questo modello infatti, per quanto irrealizzabile, conquista facilmente l’immaginario collettivo e lo rende più sensibile alla corruzione indotta del sistema e il più utile alla sua perpetuazione. Tracce della terza età nei messaggi pubblicitari sono rare e patinate, mentre i cinquantenni che vi compaiono sono opportunamente vitaminizzati in vista di prestazioni giovanili. D’altro canto il sistema che produce pubblicità ha bisogno di un pubblico inesauribilmente desiderante, sempre proiettato al nuovo e al futuro: quindi, almeno psicologicamente, giovane.

6) L’ottimismo della pubblicità è – per i miei gusti – quanto di più artefatto, irritante e disgustoso si possa immaginare, ma – dal punto di vista di chi produce la pubblicità – irrinunciabile, obbligatorio. Come creare un pubblico di consumatori se soltanto si ammette la sfiducia o lo scetticismo nella positività del reale, nella realizzabilità dei desideri, nella felicità sostanziale di un mondo votato e destinato al piacere?

Di conseguenza di fronte a vari problemi la pubblicità offre soluzioni pronte e miracolistiche, di fronte alle tragedie invece tace, rimuove, glissa, al massimo allude.

Esempio eclatante di questa rimozione e/o di questo ricorso alla allusività obliqua e sfumata si è avuto nel periodo iniziale e più drammatico della pandemia. Mentre la gente viveva impaurita e chiusa in casa alle prese con una tragedia collettiva, la pubblicità continuava a correre come sempre nei palinsesti televisivi: in parte riproponendosi uguale a prima, come se nulla stesse accadendo, in parte invece alludendo in maniera vaga o metaforica o indiretta al dramma del momento, evitando accuratamente di chiamarlo per nome, e lusingando o incoraggiando quotidianamente lo spirito di ‘resilienza’ del consumatore. Come tutte le ideologie (o fedi) forzosamente ottimistiche, infatti, la pubblicità non può ammettere l’esistenza tragica e insuperabile del male, deve rimuoverla o declassarla a variabile dipendente della nostra capacità di resistenza e di reazione. Nell’insieme il gusto di questi spot nel colmo della pandemia risultava caramelloso, paternalistico, consolatorio. Ma il messaggio di fondo che veniva sempre e comunque – scontatamente – trasmesso era l’invito martellante a tenere lo sguardo alto, proiettato al di là dell’innominabile presente, verso il futuro di una possibile, vicina liberazione. Quella liberazione dal pericolo mortale che tutti ovviamente desideravano per sé ma che il sistema edo-consumistico desiderava ancora di più per rilanciare la locomotiva, per poter ricominciare a correre a pieno ritmo, come prima.

7) Domanda ultima: perché opporsi alle sirene della pubblicità se esse ci offrono quello che ci piace o che comunque può piacerci? Perché opporci al sistema edo-consumistico se promette di realizzare, come il genio della lampada, i nostri desideri? Se con un clic posso avere a casa mia in poche ore e a prezzi stracciati un prodotto che desidero, perché preoccuparmi se chi lo produce è uno schiavo e se chi me lo recapita è un rider h24 e se l’impresa che me lo fornisce è un megalodonte planetario che sta sbranando tutte le concorrenze locali? Sperare in una autoregolamentazione etica generalizzata degli individui/consumatori è forse una pia illusione. E un individuo che si opponga al sistema edo-consumistico rischia di apparire a se stesso, prima che agli altri, uno sciocco e anacronistico piagnone. Eppure, se ragionassimo in termini di convenienza e non di giustizia, ci accorgeremmo che l’illusione più catastrofica è oramai proprio la fiducia, cieca e illimitata, che il genio della lampada possa esaudire all’infinito i nostri desideri. Presto infatti, così continuando, non riuscirà ad accontentarci più neanche nei nostri bisogni primari. E la catastrofe non riguarda i nostri discendenti in un futuro lontano. Incombe su di noi e sui nostri figli. Disastro ambientale e climatico, esaurimento delle materie prime, sovrappopolazione, miseria e immiserimento crescenti, diseguaglianze abissali. Senza porre dei limiti alla espansione di questo sistema si finisce presto – domani o dopodomani – nel baratro.

8) Eppure il vecchio Epicuro, senza sapere nulla di noi né del neocapitalismo edonistico moderno, aveva già capito tutto. Aveva capito sì che il piacere, proprio lui, è la mèta e che il desiderio di esso è il motore della nostra esistenza. Ma proprio perciò aveva stabilito limiti rigorosi e regole selettive alla fruizione del piacere stesso, perché sapeva bene che, assecondandoli e titillandoli all’infinito, piacere e desiderio producono solo infelicità e conducono alla catastrofe. Aveva già abbozzato a suo modo la teoria di una “non-crescita felice”. L’edonista Epicuro sarebbe oggi il più fiero antagonista del sistema edo-consumistico e della sua deriva pubblicitaria. Non avevano capito male di lui, nell’antichità, quei moralisti cristiani che lo consideravano un loro fratello spirituale. Per essere un vero edonista, per godersi davvero la vita, bisogna saper rinunciare a molto. Anche Orazio, che era un edonista laico ed epicureo, la pensava allo stesso modo. Ma questa della rinuncia è una virtù che le ultime generazioni – successive a quella uscita dall’ultima guerra – hanno completamente smarrito. Sulle loro coscienze il nuovo fascismo di cui parla Pasolini ha funzionato alla perfezione.

Read Full Post »

Chi si salverà dal logorio della pubblicità invadente, fracassona e  politically correct di oggi? - Atlantico Quotidiano, Atlantico Quotidiano

Sbaragliate senza fatica tutte le altre religioni, la pubblicità è diventata il nuovo oppio delle masse. [pensiero giocato, oltre che sulla ripresa del noto motto marxiano, sulla identificazione tra religione e pubblicità]

La vera minaccia e la più impudente offesa alla nostra libertà sono le energie che oggigiorno siamo condannati a spendere inutilmente per difenderci dall’impunibile invadenza, sotto qualsiasi forma, della pubblicità. [pensiero più discorsivo, attualizzante ma fondato su di una polemica implicita verso una diversa concezione della libertà rispetto a quella dell’autore]

Chiedo scusa: mi piacerebbe incontrarmi e intrattenermi con qualcuno che non voglia vendermi qualcosa: è ancora possibile? [adagio, diciamo così, drammatizzato, discorsivo, travestito da battuta interrogativa rivolta a un interlocutore virtuale, in una situazione non ben precisata]

Come a frequentar preti si può perdere la fede, così a frequentar medici si perde la fiducia nella medicina.[adagio giocato su una similitudine imperfetta]

La politica è la continuazione degli affari con altri mezzi. [parodia o calco fraseologico di altro adagio famoso]

La civiltà è una bella torta: ce la siamo cucinata con pazienza per divorarcela in fretta. [adagio fondato su metafore]

Read Full Post »

Associazione Culturale Anassilaos - 'Lolita' il romanzo di ...
Scuola: tempo di Open Day anche per le superiori, qui le locandine ...

«A noi non interessa tanto, Mr. Humbird, che le nostre studentesse diventino dei topi di biblioteca o che sappiano elencare tutte le capitali d’Europa […] o che imparino a memoria le date di tante battaglie dimenticate. Quello che ci interessa è che si adattino alla vita di gruppo. Ecco perché ci concentriamo sulle tre D: Dramma, Danza, Discussione – e sugli appuntamenti coi giovanotti. […] Per farla breve, pur adottando determinate tecniche d’insegnamento, noi siamo più interessati alla comunicazione che non alla composizione, e cioè, con tutto il rispetto per Shakespeare e compagnia, noi vogliamo che le nostre ragazze comunichino liberamente con il mondo vivo intorno a loro, invece che tuffarsi in vecchi libri ammuffiti.[…] Abbiamo eliminato quella massa di argomenti incongrui che venivano tradizionalmente offerti alle ragazze e non lasciavano spazio, nei tempi passati, alle conoscenze, alle tecniche e agli indirizzi di cui avranno bisogno nel gestire le proprie vite e – potrebbe aggiungere il cinico – le vite dei mariti. Mr. Humberson, mettiamola così: la posizione di una stella è importante, ma per una massaia in boccio il posto più pratico che in cucina deve occupare il frigorifero può essere ancora più importante. […] Si rende conto che per la preadolescente di oggi i programmi scolastici contano meno di quelli cinematografici [occhiolino!] […] Viviamo non solo in un mondo di pensieri, ma anche in un mondo di cose. Le parole, se non sono confortate dall’esperienza, non hanno significato. Che cosa può importare a Dorothy Hummerson della Grecia e dell’Oriente, coi loro harem e le loro schiave adolescenti?». Quel programma mi inorridiva, ma parlai con due signore intelligenti che avevano avuto a che fare con la scuola, le quali asserirono che le ragazze facevano una quantità di solide letture, e che la politica della ‘comunicazione’ era solo uno specchietto per le allodole con cui si voleva dare un tocco di remunerativa modernità alla Beardsley School, che era e restava vecchia come il cucco.

(V. Nabokov, Lolita, trad. di Giulia Arborio Mella, Milano 1993, pp. 222ss.)

Questo è già il secondo stralcio tratto da capolavori della narrativa anglofona del novecento che parla, in termini di una attualità sorprendente ma per me familiare, della autopromozione di un istituto scolastico. Il primo l’avevo scovato ne Il giovane Holden di Salinger e pubblicato in un post precedente.

Sorprendente come la dirigente scolastica di un istituto privato femminile cerchi di allettare il protagonista, che sta per iscrivervi la giovanissima Lolita, con argomenti che (mutatis mutandis per via dei tempi: siamo nell’America dei primi anni cinquanta!) sono nella sostanza identici a quelli che le nostre scuole autonome usano ancora oggi nei loro open days, nei loro siti e nelle innumerevoli altre occasioni in cui si fanno pubblicità: millantata modernità e concretezza pedagogica, rincorsa sfrenata delle mode e delle tendenze del costume e della realtà attuale, disprezzo della cultura ‘alta’ e della formazione teorica a favore di una istruzione di facile e immediata spendibilità pratica (il ‘saper fare’!), ecc. Ci sono persino le “tre D” (Dramma, Danza, Discussione) che riecheggiano incredibilmente le nostre famigerate “Tre I” (Internet, Impresa, Inglese) di recente memoria…

L’attenzione di grandi scrittori ed intellettuali come Nabokov e Salinger verso questo aspetto della vita sociale americana degli anni ’50 non è una mera curiosità letteraria ma ha, secondo me, un significato storico notevole per chi si interessi oggi di scuola. Della nostra attuale scuola.

Significa molto, intanto, che entrambi gli autori ne scrivano con una tagliente penna satirica, rappresentando l’autopromozione scolastica come una prassi ridicola e deprecabile insieme. Un conforto per me, che da sempre condanno questa consuetudine come un inutile, controproducente e dispendioso (in termini di energie e di soldi) malcostume, mentre tra molti dirigenti ed addetti ai lavori della scuola italiana la cura dell’immagine è un’attività primaria e benemerita ed un totem sacrosanto e inviolabile.  

Significa molto, poi, che la nostra scuola, per apparire moderna oggi, non sappia far altro che riciclare i cascami pedagogici della scuola privata anglosassone di settanta anni fa. Segno inequivocabile di quale (e quanto decrepita!) sia la matrice ideologica cui la nostra scuola- azienda, in maniera tardiva e caricaturale, si ispira.

Meno male che, in fin dei conti, a questo reclamizzato efficientismo modernistico non corrisponde, nella prassi didattica concreta di molti insegnanti, la realtà dell’insegnamento, oggi come allora: con sollievo infatti il personaggio di Nabokov viene alla fine a sapere da persone ‘più intelligenti’ e informate che in quella scuola, a dispetto dei proclami della prèside, si continuano a fare, secondo tradizione, buone letture e che tutto quel programma pubblicitario altro non era che uno ‘specchietto per le allodole’. Meno male che molti insegnanti della nostra scuola, come nella Beardsley School di Lolita, continuano ancora ad insegnare le proprie materie e a non trascurare la cultura alta. E che questo, questo solo, interessa davvero i genitori intelligenti.

Sì, ma intanto quanti saranno oggi in percentuale questi genitori intelligenti? E per quanto ancora questi insegnanti eroici potranno svolgere il loro vero lavoro? E con quale speranza di essere ancora ascoltati, assediati come sono ogni giorno e da ogni lato – dentro e fuori la scuola – da messaggi e da parole d’ordine che denigrano e delegittimano quel lavoro agli occhi stessi degli studenti?

Read Full Post »

Risultati immagini per titanic

Mi resta incomprensibile come alcuni ingegni si lascino intrappolare (e menomare) nelle angustie di una qualsivoglia ideologia, rinunciando così – volontariamente – allo slancio dispiegato dell’indagine e dell’intelligenza verso ogni direzione possibile. Forse perché anche l’ingegno avverte la vertigine del volo e nutre un desiderio inconscio del nido. Così come l’uomo adulto del ventre materno.

I giovani che forse un tempo avevano più solida (perché trasmessa, per via familiare e culturale) memoria del passato e più attiva e fiduciosa aspettativa del domani, oggi sembrano in gran parte (non tutti) privi dell’una e dell’altra, compressi ed anestetizzati come sono dalla macina mediatico-consumistica-produttivistica in un presente che ripete e divora febbrilmente se stesso. Sordi, in questa compulsione dell’istante, verso la lezione del passato e ciechi di fronte alle minacce tenebrose del futuro più immediato, essi sono i passeggeri di un Titanic che naviga, festeggiando, verso il disastro. Intenti soprattutto a prolungare la propria deriva fuori dalle rotte della storia. Dimentichi del punto di partenza così come ignari di quello di prossimo approdo, o di naufragio. Non so se commiserarli o invidiarli.

Il vittimismo di rendita può diventare un pugnale avvelenato, puntato costantemente sulla schiena del prossimo per rivendicare diritti, privilegi, impunità. Una speculazione sul passato che getta la sua ipoteca sul futuro. Un credito presunto di cui si vorrebbero riscuotere interessi a tempo indeterminato. Il vittimismo di rendita può essere odiosamente capitalizzato da individui, categorie, popoli interi. Da vittime può renderli carnefici. Da oppressi oppressori con (auto)licenza di opprimere.

Guàrdati da chi ha sempre ragione in teoria e torto in pratica perché con le sue impeccabili obiezioni teoriche egli vorrà impedirti qualsiasi ragionevole, ancorché – giocoforza – imperfetta, realizzazione concreta.

Il potere è da sempre maschio, ma l’ambizione del potere (e del primato e del successo) è, da alcuni decenni, prevalentemente femmina. E si trasmette implacabile di madre in figlia.

Ogni civiltà si è costruita la sua religione ed ogni religione il suo paradiso. Per capire bene quale sia da qualche decennio a questa parte la nostra religione e quale il nostro paradiso non bisogna consultare saggi di antropologia o di sociologia. Basta guardare con occhio minimamente critico gli spot pubblicitari.

Read Full Post »