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‘SITO DI PRELIEVO DEL CINGHIALE CON CARABINA’

(avviso apposto sopra un cartello stradale al margine di una zona boschiva adibita alla caccia al cinghiale) 

Sito di prelievo: se escludiamo la sua accezione informatica, sito (archeologico, naturalistico, turistico ecc.) evoca tradizionalmente, in sé, un’idea di amenità, di gradevolezza, persino di piacere dei sensi. Vedi p.es. Ariosto: ad una fonte / giunta era, ombrosa e di giocondo sito.

Il prelievo certo è meno poetico, più medicale (p. di sangue) o fiscale (p. d’imposta) o finanziario (p. di una somma in banca), dunque complessivamente più tecnico, ma comunque neutro e anodino. Se ad essere prelevato è un cinghiale, ecco che la fantasia può immaginare – se si prescinde dal contesto reale (extra-linguistico) in cui è calata la frase – un luogo, campestre o silvestre, dove i giocondi e corpulenti animali stanno lì pronti ad essere presi e caricati su con la dovuta gentilezza per essere – non si sa da chi – portati allo zoo o trasferiti altrove.

Se poi il cinghiale appare addirittura fornito di carabina (un cinghiale carabiniere, insomma, arruolato con tutti gli onori nella benemerita) allora la fantasia non può che precisarsi ulteriormente trascendendo ogni realismo e spaziando nel mondo dei cartoons o del cinema di animazione. Sì, perché se uno scrive prelievo del cinghiale con carabina anziché prelievo con carabina del cinghiale l’ordine delle parole detta un significato piuttosto equivocabile in sé (sempre a prescindere, cioè, dal contesto extra-linguistico): vale a dire che la carabina non sia lo strumento del prelievo, bensì il complemento del cinghiale: un porco selvatico che, per conturbante trasformazione genetica, si è antropomorfizzato al punto da montare guardia armata con tanto di carabina alla zona protetta (contrassegnata da un limite invalicabile) in cui abita. Dopodiché si può coerentemente ipotizzare che questi presìdi zoologici (o ronde cinghialesche che dir si voglia) vengano periodicamente sorvegliati e visitati dai superiori con una camionetta militare che li preleva, magari, alla fine del turno, per sostituirli con altri guardiani più riposati. Immaginazione distopica, vagamente orwelliana, di una autoprotezione armata del territorio da parte di una mutata (umanizzata) specie di suino boschivo attualmente in grande, preoccupante proliferazione…

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I nuovi futuristi, i nemici della storia e della memoria sono sempre in agguato. Possono alzare diverse bandiere, calare sul volto maschere più e meno rassicuranti. Ma hanno sulle loro labbra sporche di ipocrisia e di spudoratezza le solite inconfondibili parole d’ordine: gioventù, futuro, efficienza, rapidità, novità, sviluppo, cambiamento. Considerano il passato un fardello anziché un tesoro. Nel loro intimo nutrono tutti, altresì, un disegno preciso: ottundere l’intelligenza per favorire e conservare i privilegi e il potere di pochi; corrodere le basi di un autentico progresso, quello che non può rinunciare all’eredità e al ripensamento critico della storia; conculcare, neutralizzare la cultura per sostituirla con facili slogan tecnocratici e giovanilisti; propagandare un narcotizzante modello di diseducazione che punta a farci dimenticare quanto faticosamente e contraddittoriamente ci siamo e-voluti nel tempo; come non sia possibile ripartire impunemente da zero senza ripetere tragici errori, replicare enormi ingiustizie.

I nuovi futuristi sono sempre profeti di luminose speranze e di luccicanti palingenesi.

Di un ottimismo cieco e obbligatorio che disprezza la lentezza e la perplessità del pensiero.

Il loro modello segreto è il  grande fratello di Orwell.

PS: questo post mi è stato in primis ispirato dal recente “processo al liceo classico” che ha avuto una certa risonanza nei media. Ma è una riflessione che va molto al di là dell’occasione che l’ha suggerita…

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Sostengo da anni, con qualche esagerazione provocatoria, che la scuola italiana – nella sua struttura di vertice – è l’ultimo baluardo dei totalitarismi ideologici del novecento. L’ideologia “totalitaria” che da qualche decennio la governa (o cerca di governarla) è un miscuglio di sottoprodotti derivati da dottrine psicopedagogiche e aziendalistico – bancarie. Uno scadente minestrone catechistico la cui ricetta viene continuamente aggiornata (come in 1984 di Orwell) da un apparato di burocrati-funzionari al servizio permanente e retribuito del ministero.

Questo torvo apparato, questo Comintern o Gran Consiglio dell’Istruzione – qui sta l’aspetto più inquietante, orwelliano appunto, della faccenda – non ha né volti né nomi.

Non è fatto di identità fisiche che debbano rispondere, a legittima domanda di sottoposti e cittadini, del proprio operato.

Questo apparato si manifesta tutt’al più per epifanie affidate a numinose sigle (INVALSI, INDIRE, POF, BES, TFA ecc.); o a indiscutibili parole d’ordine (interdisciplinarità, alternanza scuola-lavoro; strategia antidispersione, flessibilità oraria ecc.) che sono come le emanazioni demoniche di un ente supremo.

Il quale ente supremo, si badi bene, non coincide affatto con il ministro dell’istruzione. Costui (o costei) infatti non è altro che un amministratore delegato, una transeunte maschera umana di quell’apparato inamovibile, quasi metafisico, kafkiano.

L’ente supremo della scuola italiana si identifica totalmente con quell’apparato.

Un apparato aggressivamente parassita.

Nelle cui segrete officine agiscono (e mangiano) numerose figure intermedie tra il potere politico ed economico da un lato e la scuola dall’altro: trattasi di ispettori, consiglieri, pedagogisti, burocrati ecc. addetti a trasformare pressioni politiche e interessi economico-finanziari di parte in direttive logistiche e didattiche da imporre come verità rivelate all’intera scuola pubblica.

Esempio recentissimo fra i tanti di questo parassitismo: le prove INVALSI.

Migliaia di fascicoli pieni di cervellotici test a crocetta, tonnellate di carta rovesciate nelle segreterie e nelle aule della nostra scuola superiore, milioni di euro spesi per finanziare un baraccone che presume di valutare scientificamente la qualità dell’insegnamento medio a spese del lavoro gratuito degli stessi insegnanti medi. I quali sono costretti per legge (e non per contratto) a prestare ore e ore di lavoro gratis per la correzione dei test. I quali test potrebbero – sanguinosa ironia – decretare la loro inadeguatezza all’insegnamento…. Condannati costretti a portare la croce fino al luogo del patibolo. Senza cirenei. Solita beffa che scientemente viene aggiunta al solito danno.

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