Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for Maggio 2020

Carpe diem - di Cristina Miedico [editoriale]

Odi I 11 [Carpe diem]

Non indagare – non ci è dato

saperlo -, bambina mia, la sorte

che gli dèi hanno già scritto

per me, per te. Lasciali stare

gli oroscopi venuti dall’oriente.

Mille volte meglio accettare

il destino, qualunque mai sarà:

che molti inverni o ultimo

questo che adesso non dà tregua al mare

Tirreno sulle opposte scogliere

Giove ci abbia assegnato, tu, da saggia,

filtra i vini e taglia via speranze

troppo lunghe cresciute sopra il tronco

breve della vita. Parliamo, parliamo

e intanto è già scappato invidioso

il tempo. Cogli il presente

e non fidarti – mai – del domani.

Il top e la quintessenza della lirica oraziana: il carpe diem. Qui più che altrove si deve rispettare, traducendo, lo spirito profondo del testo e meno che mai soggiacere allo scrupolo di una pedissequa fedeltà alla sua lettera esteriore. Ci ho provato. Ho azzardato, per esempio, “bambina mia” per rendere il nomignolo greco parlante Leuconoe (‘ragazza dalla mente ingenua, candida’). Nessuno credo se ne scandalizzerà.

Read Full Post »

Associazione Culturale Anassilaos - 'Lolita' il romanzo di ...
Scuola: tempo di Open Day anche per le superiori, qui le locandine ...

«A noi non interessa tanto, Mr. Humbird, che le nostre studentesse diventino dei topi di biblioteca o che sappiano elencare tutte le capitali d’Europa […] o che imparino a memoria le date di tante battaglie dimenticate. Quello che ci interessa è che si adattino alla vita di gruppo. Ecco perché ci concentriamo sulle tre D: Dramma, Danza, Discussione – e sugli appuntamenti coi giovanotti. […] Per farla breve, pur adottando determinate tecniche d’insegnamento, noi siamo più interessati alla comunicazione che non alla composizione, e cioè, con tutto il rispetto per Shakespeare e compagnia, noi vogliamo che le nostre ragazze comunichino liberamente con il mondo vivo intorno a loro, invece che tuffarsi in vecchi libri ammuffiti.[…] Abbiamo eliminato quella massa di argomenti incongrui che venivano tradizionalmente offerti alle ragazze e non lasciavano spazio, nei tempi passati, alle conoscenze, alle tecniche e agli indirizzi di cui avranno bisogno nel gestire le proprie vite e – potrebbe aggiungere il cinico – le vite dei mariti. Mr. Humberson, mettiamola così: la posizione di una stella è importante, ma per una massaia in boccio il posto più pratico che in cucina deve occupare il frigorifero può essere ancora più importante. […] Si rende conto che per la preadolescente di oggi i programmi scolastici contano meno di quelli cinematografici [occhiolino!] […] Viviamo non solo in un mondo di pensieri, ma anche in un mondo di cose. Le parole, se non sono confortate dall’esperienza, non hanno significato. Che cosa può importare a Dorothy Hummerson della Grecia e dell’Oriente, coi loro harem e le loro schiave adolescenti?». Quel programma mi inorridiva, ma parlai con due signore intelligenti che avevano avuto a che fare con la scuola, le quali asserirono che le ragazze facevano una quantità di solide letture, e che la politica della ‘comunicazione’ era solo uno specchietto per le allodole con cui si voleva dare un tocco di remunerativa modernità alla Beardsley School, che era e restava vecchia come il cucco.

(V. Nabokov, Lolita, trad. di Giulia Arborio Mella, Milano 1993, pp. 222ss.)

Questo è già il secondo stralcio tratto da capolavori della narrativa anglofona del novecento che parla, in termini di una attualità sorprendente ma per me familiare, della autopromozione di un istituto scolastico. Il primo l’avevo scovato ne Il giovane Holden di Salinger e pubblicato in un post precedente.

Sorprendente come la dirigente scolastica di un istituto privato femminile cerchi di allettare il protagonista, che sta per iscrivervi la giovanissima Lolita, con argomenti che (mutatis mutandis per via dei tempi: siamo nell’America dei primi anni cinquanta!) sono nella sostanza identici a quelli che le nostre scuole autonome usano ancora oggi nei loro open days, nei loro siti e nelle innumerevoli altre occasioni in cui si fanno pubblicità: millantata modernità e concretezza pedagogica, rincorsa sfrenata delle mode e delle tendenze del costume e della realtà attuale, disprezzo della cultura ‘alta’ e della formazione teorica a favore di una istruzione di facile e immediata spendibilità pratica (il ‘saper fare’!), ecc. Ci sono persino le “tre D” (Dramma, Danza, Discussione) che riecheggiano incredibilmente le nostre famigerate “Tre I” (Internet, Impresa, Inglese) di recente memoria…

L’attenzione di grandi scrittori ed intellettuali come Nabokov e Salinger verso questo aspetto della vita sociale americana degli anni ’50 non è una mera curiosità letteraria ma ha, secondo me, un significato storico notevole per chi si interessi oggi di scuola. Della nostra attuale scuola.

Significa molto, intanto, che entrambi gli autori ne scrivano con una tagliente penna satirica, rappresentando l’autopromozione scolastica come una prassi ridicola e deprecabile insieme. Un conforto per me, che da sempre condanno questa consuetudine come un inutile, controproducente e dispendioso (in termini di energie e di soldi) malcostume, mentre tra molti dirigenti ed addetti ai lavori della scuola italiana la cura dell’immagine è un’attività primaria e benemerita ed un totem sacrosanto e inviolabile.  

Significa molto, poi, che la nostra scuola, per apparire moderna oggi, non sappia far altro che riciclare i cascami pedagogici della scuola privata anglosassone di settanta anni fa. Segno inequivocabile di quale (e quanto decrepita!) sia la matrice ideologica cui la nostra scuola- azienda, in maniera tardiva e caricaturale, si ispira.

Meno male che, in fin dei conti, a questo reclamizzato efficientismo modernistico non corrisponde, nella prassi didattica concreta di molti insegnanti, la realtà dell’insegnamento, oggi come allora: con sollievo infatti il personaggio di Nabokov viene alla fine a sapere da persone ‘più intelligenti’ e informate che in quella scuola, a dispetto dei proclami della prèside, si continuano a fare, secondo tradizione, buone letture e che tutto quel programma pubblicitario altro non era che uno ‘specchietto per le allodole’. Meno male che molti insegnanti della nostra scuola, come nella Beardsley School di Lolita, continuano ancora ad insegnare le proprie materie e a non trascurare la cultura alta. E che questo, questo solo, interessa davvero i genitori intelligenti.

Sì, ma intanto quanti saranno oggi in percentuale questi genitori intelligenti? E per quanto ancora questi insegnanti eroici potranno svolgere il loro vero lavoro? E con quale speranza di essere ancora ascoltati, assediati come sono ogni giorno e da ogni lato – dentro e fuori la scuola – da messaggi e da parole d’ordine che denigrano e delegittimano quel lavoro agli occhi stessi degli studenti?

Read Full Post »

La solitudine dei numeri secondi. Orazio, Petrarca e la “Sindrome ...
Tutto intorno a noi è traduzione – Cave canem

Odi I 9 [Vides ut alta]

Vedi come svetta il Soratte

bianco di neve alta. Le selve, vedi,

soffrono a sostenerla – e i fiumi

fermi, stretti nella morsa del gelo.

Disperdi il freddo, sul fuoco

getta legna sopra legna

e senza risparmio spilla

dall’anfora sabina a due

orecchie, Taliarco mio, il vino

vecchio di quattro anni.

Al resto pensino gli dèi, loro

così bravi a spegnere sul mare

in burrasca la battaglia dei vènti

che subito i cipressi smettono

di agitarsi, e gli ontani vetusti.

Non chiederti mai che cosa

ti riservi il domani: qualunque

giorno la vita ti regali

prendilo per un guadagno.

Non sdegnare la dolcezza

degli amori e delle danze

fintantoché vecchiaia e i suoi lamenti

sono ancora lontani. Il Campo Marzio

cercalo adesso,  le piazze adesso

e i carezzevoli bisbigli sul far

della sera, l’ora degli appuntamenti.

Adesso cerca l’incantevole riso

che risuona improvviso

dall’angolo dove lei s’è nascosta

e a te la rivela; e il pegno

che le sfilerai dal braccio

o dal dito che per finta

ti oppone resistenza.

Odi I, 4 [Solvitur acris hiems]

Ritorna primavera e il ponentino

scioglie l’inverno, e i suoi rigori.

Gli argani trascinano nel mare

le chiglie prosciugate delle navi. Ormai

non s’accuccia più il bestiame nella stalla

né il contadino accanto al focolare.

Non brilla più sui prati

il bianco della brina.

Citerea Venere guida nelle danze

i cori al chiaro della luna. Ninfe e Grazie

si tengono per mano – un incanto

a vedersi – e al ritmo alterno dei piedi

percuotono il terreno. Vulcano

trafelato fa visita ai Ciclopi

a controllarne il duro

lavoro d’officina.

Il mirto verde adesso, sì,

cinga le nostre tempie, oppure

il fiore che spunta dalle zolle

disserrate dal gelo. Adesso, sì,

sacrifichiamo a Fauno all’ombra

delle fronde, che sia agnella

o capro, come più gli piace.

Livida in faccia, Morte

bussa con piede equanime

alle porte di misere stamberghe

e di fortezze regali. Caro

il mio Sestio, la brevissima

misura della vita impone

di abbandonare ogni lunga

speranza. Già adesso ci incalza

Notte, e i Mani leggendari,

e la casa d’ombre di Plutone:

quando sarai laggiù, non tirerai

a sorte a dadi il re del vino,

né fisserai incantato

la giovinezza di Licida: per lui

arde adesso d’amore

la gioventù intera e presto

s’accenderà poco a poco

ogni ragazza in fiore.

Se non si scrive in proprio si può tradurre, riscrivere poesia altrui. La traduzione letteraria – questa benemerita – è stata definita in molti modi. Oggi mi va di spiegarla come un doppiaggio. Simile al doppiaggio del cinema. Dunque quello che leggete sopra (due odi celebri di Orazio) non vorrebbe assomigliare ai sottotitoli in traduzione di un film, bensì proprio a un doppiaggio. I sottotitoli sarebbero come la cosiddetta traduzione di servizio (quella ‘letterale’ che troviamo in tanti manuali scolastici o universitari). Il doppiaggio invece è una re-interpretazione in piena regola. Il doppiatore presta all’attore (cioè all’interprete originale) la sua diversa voce, la sua diversa lingua, ma anche una cadenza, un ritmo, un timbro suoi propri. Insomma: un po’ della sua personalità, della sua anima. Quello che ne risulta è una nuova interpretazione del personaggio che non è né completamente quella dell’attore né completamente quella del doppiatore, bensì un tertium figlio di entrambi. Operazione artisticamente tanto più riuscita quanto più il doppiatore rispetta sì l’originale ma anche e soprattutto sé stesso. Questo, fondamentalmente, penso sia la traduzione letteraria.

Read Full Post »