Finito di leggere 1984 (Mondadori, Milano 1989) con il senso di liberazione che tiene dietro ad un incubo.
Per fortuna questa angosciante utopia negativa immaginata da Orwell sessanta anni fa, come tutte le utopie, ha scarsissime possibilità – credo e spero- di realizzarsi in toto.
Ma certo contiene in sé – mescolando insieme e proiettando in un futuro fantapolitico tutti i peggiori ingredienti dei totalitarismi storici – una impressionante gamma di profetiche verità.
La prima verità: la cancellazione e la riscrittura continua del passato sono condizioni imprescindibili per l’esercizio di un potere assoluto (personificato nel fantomatico Grande Fratello). Cancellazione della storia nei documenti, nei libri, nella memoria stessa degli individui. E sua incessante e incontrollabile e arbitraria riscrittura a vantaggio di chi comanda. Intuizione formidabile e spaventosa: se si tagliano le radici della memoria storica, inducendo nel cervello della massa una sorta di Alzheimer collettivo, si può dominare il mondo facendo credere ciò che si vuole.
La seconda verità: l’impoverimento del linguaggio, la sua ristrutturazione semplificata in una sorta di neolingua è uno strumento fondamentale per l’esercizio di quel potere. «Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archeolingua dimenticata, ogni pensiero eretico(vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai principi del Socing [ il partito unico dominante ])sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quelle forme speculative che dipendono dalle parole » [p. 307-08]. Qui Orwell dice sostanzialmente che la parola può diventare, in mano ad un potere totalitario e pervasivo, non lo strumento del pensiero libero (come il lògos civilizzante degli antichi greci) ma lo strumento di soggiogamento e di cancellazione di quel pensiero; vale a dire (con Zagrebelski citato in precedenza) che ‘la neolingua pensa al posto nostro’.
La terza verità, la più sconvolgente (e conseguente alle due precedenti): il dominio autentico è quello che si esercita sulla psiche dell’individuo, non sul suo corpo. Il potere totalitario immaginato da Orwell dispone di una psicopolizia che punisce spietatamente gli psicocrimini e rieduca gli psicocriminali prima di eliminarli fisicamente. E lo psicocrimine è essenzialmente l’autonomia e la libertà del giudizio critico, un delitto – per il potere – molto più destabilizzante di un qualsiasi reato comune.
Inutile negare che il recente tragicomico esperimento nostrano di autoritarismo videocratico presenta con questa profezia orwelliana (si parva licet…) alcune vaghe ma inquietanti analogie: dal revisionismo storico sfrontato e selvaggio su base ideologica, al pullulare di un linguaggio sclerotizzato in slogan martellanti, al sistematico tentativo di demolizione delle possibili fonti del pensiero critico (l’istruzione e la cultura).
Siamo molto lontani, beninteso, dalla satanica società del Grande Fratello.
Ma si sta provando a procedere in quella direzione (temo, in proposito, la nascita prossima ventura di un Ministero dell' Amore).
E questo non è un bel segnale.