È appena uscito nella rivista culturale online Limina un mio articolo leopardiano che prende tuttavia le mosse da un passo di Charlotte Brontë. I due autori, a breve distanza di tempo l’uno dall’altra, arrivano autonomamente alla medesima intuizione: la bellezza (intesa in senso prettamente materialistico/estetico) può salvare chi la possiede perché, per l’illusione che quel fascino esteriore corrisponda a grandi qualità interiori, essa ispira istintivamente in chi la osserva favore e benevolenza. Nonostante questo indubbio punto di tangenza tra i due autori, la riflessione di Leopardi sul tema appare, rispetto a quella della Brontë, più ampia e articolata, oltre che (per vari aspetti) di notevole attualità: http://www.liminarivista.it/comma-22/la-bellezza-che-si-salva-bronte-e-leopardi-tra-illusione-e-realta/
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LA BELLEZZA CHE (SI) SALVA
Posted in ben detto, de aesthetica, letteratura, segnalazioni, tagged bellezza, benevolenza, Charlotte Brontë, favore, illusione, Leopardi, Limina rivista, salvezza on 11 Maggio 2022| Leave a Comment »
BRIDGE GENERATION (e altre riflessioni)
Posted in epigrammata, leviora, pensieri, tagged banche, bellezza, comprare e vendere, salto generazionale, sindrome del servo, soldi, vangelo on 2 dicembre 2020| Leave a Comment »
“A chi più ha più sarà dato”:
proprio i sacri testi additano
nel sistema bancario
l’incarnazione più autentica
del messaggio evangelico…
La bellezza è di una
inutilità irrinunciabile.
Chi soffre la sindrome del servo
cova una voglia matta
di farti da padrone.
Se realizzi quanto è facile
comprare e quanto difficile
vendere, allora sei proprio
adulto. Forse addirittura
un po’ vecchio.
I soldi non interessano solo
a pochissimi tra quanti
già ne posseggono
tanti.
L’abisso tra
i nostri padri e
i nostri figli. Noi
sull’abisso
il ponte…
AMAT IANUA LIMEN
Posted in attualità dell' antico, letteratura, traduzioni letterarie, tagged bellezza, Ebro, escort, etèra, legge del tempo, Lidia, mirto, Odi, Orazio, paraklausithyron, traduzione letteraria on 26 ottobre 2020| Leave a Comment »
[Orazio, Odi I 25]
Sempre di meno ragazzi impertinenti
tempestano di sassi i tuoi battenti
chiusi. Non ti disturbano più il sonno
e la tua porta ormai non si separa
per un solo istante dalla soglia.
E dire che sui cardini una volta
era tutto un apri e chiudi senza sosta.
Sempre meno ti cantano da sotto:
“Muoio d’amore per te nelle lunghe
mie notti, e tu che fai, Lidia? Dormi!”
Tra poco sarai tu – vecchia oramai
e ignorata da tutti – ad implorare
spavaldi bellimbusti in un vicolo
deserto, in quelle notti senza luna
spazzate in lungo e in largo dalla bora.
La voglia senza freno che fa andare
via di testa le cavalle in calore
a morsi ti strazierà le viscere
e ti farà piangere, e urlare.
Sì, perché allegra la gioventù gode
dei colori dell’edera e del mirto
ma le fronde rinsecchite le regala
all’Ebro, compagno dell’inverno.
La legge del tempo che rovescia un destino. Crudele e beffarda. Una legge che Orazio avverte e soffre con una sensibilità speciale, quasi unica. Vale per tutto e per tutti, ma specialmente per la bellezza, e in amore. Lidia è stata un’etèra (una escort) affascinante, desiderata e inseguita da molti. Si è potuta permettere di tenere sulla corda i suoi spasimanti, di umiliarli, di prendersene gioco. Ma adesso lei invecchia. E allora il gioco presto muterà in un atroce contrappasso. Sarai lei tra non molto a soffrire e a spasimare, come una lupa insaziata o una cavalla in amore, per giovanotti che a loro volta la umilieranno con il loro disprezzo e con la loro irriverente allegria. Forse l’acrimonia di Orazio cela un risentimento: ha amato molto anche lui, come tanti altri, questa donna ed è stato probabilmente anche lui vittima dei suoi capricci e della sua superbia. Ma, come sempre in poesia, la vicenda personale e il senso di rivalsa individuale sono trascesi in una rappresentazione – cruda e tragica – di valore universale. Nella traduzione ho voluto/dovuto sciogliere e ‘modernizzare’ talune espressioni oraziane che non avrebbero conservato in italiano, se rese alla lettera, una efficacia pari a quella dell’originale: così, per esempio, amat ianua limen (‘la tua porta ama la soglia’) è diventato la tua porta ormai non si separa/ per un solo istante dalla soglia; e non sine questu (‘non senza lamenti’) è diventato (con una endiadi adatta – credo – alla temperie drammatica del contesto) ti farà piangere e urlare.
PARIDE, IL PITTORE (fabula pictoria docet bis)
Posted in de aesthetica, fabulae, leviora, tagged arte e verità, bellezza, bottega, bruttezza, fabula docet, fabula pictoria, favola, Paride, pittura, ritratto, sgradevolezza, specchio on 14 giugno 2019| Leave a Comment »
Paride il pittore dipingeva ritratti di gentildonne. Le necessità del mestiere lo induceva a farle più belle di quanto fossero nella realtà. Nonostante ciò, quelle erano perennemente insoddisfatte. Un giorno, libero dalle commissioni e stanco della maniera stilizzata in cui le convenienze della bottega sempre lo costringevano, in un impeto di libera ispirazione prese la tavolozza e cominciò a schizzare sulla tela una figura immaginaria di donna dai tratti alterati e caricaturali: naso aquilino, labbra gonfie, zigomi sporgenti…
Espose il quadro in vetrina, sicuro di far colpo. Ci riuscì, perché le gentildonne sue clienti, passando davanti alla bottega, cominciarono con disappunto a riconoscere, in quel ritratto, l’una il proprio naso, una seconda le proprie labbra, una terza i propri zigomi. Protestarono tutte con Paride, vivacemente, perché ritenevano che il pittore avesse voluto con quel ritratto prendersi gioco di ciascuna di loro, esibendo gratuitamente i difetti che, per denaro, nascondeva. Paride rimase sconcertato, ma non si sforzò di proclamare la propria buona fede. Anzi ammise, mentendo, che sì, era vero: aveva intenzionalmente radunato nel dipinto le loro deformità, perché confessassero a se stesse le magagne che ogni giorno vedevano allo specchio e la smettessero di chiedergli di medicarle con la bellezza della pittura. Chi si riconosce infatti in una sgradevole immagine prodotta dalla fantasia dell’arte è necessario che possieda nella realtà della sua persona la sgradevolezza che tanto, a quella vista, lo offende. Inutile aggiungere che Paride, da quel giorno, perse la sua clientela…
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