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Posts Tagged ‘istruzione’

Ogni governo partorisce e battezza ministeri a suo capriccio. Ovvero a propria immagine e somiglianza. Però non mi è del tutto chiaro perché Istruzione sia adesso gemellata con Merito. Merito di chi e per che cosa? Degli studenti per il proprio talento e/o la propria applicazione allo studio? Pleonastica sottolineatura, nel caso: per quanto a manica slabbrata e con inflazione numerica galoppante, infatti, bene o male la distinzione tra geni, bravi e mediocri la nostra scuola la registra ancora. Merito dei prof per aver superato il concorso a pieni voti? O per essersi aggiornati alle ultime astruserie buro-pedagogiche? O per essersi accollati con fervore tutte le corvée logistico-promozionali della scuola autonoma? Mistero, al momento fitto, tenebroso. Si vedrà. Mi è chiaro invece che Merito sarebbe andato perfettamente a braccetto con un altro ministero: quello dell’Università. Messo lì accanto sarebbe stato un bel proposito e un bell’impegno per il nascente governo: un bel merito davvero, se promessa ed impegno fossero stati poi mantenuti… Ecco perché l’operazione non mi convince. Non solo perché è stato ratificato a parole un matrimonio che era già una, per quanto logora e sgangherata, unione di fatto, ma soprattutto perché non è stato nemmeno annunciato quell’altro matrimonio che da troppo tempo s’avrebbe da fare (meglio: da consumare): quello tra la nostra accademia e il merito, da sempre sposi promessi e mancati. Temo bisognerà aspettare ancora, per chissà quanti governi, fino alla ricostituzione completa dei ghiacci dell’artico e della foresta amazzonica…

Due giorni fa alla tv si parla di scuola in un salotto librario radical chic. Ospiti due insegnanti, entrambi – rigorosamente! – della stessa identica parrocchia pedagogica ed entrambi del genere “abbastanza famoso”. Perché se non è anche giornalista o scrittore o cantautore di una certa fama il comune prof non ha diritto di parola nei media di casa nostra. Entrambi (ma uno dei due soprattutto) le sparano grosse, forti della mancanza di contraddittorio, a parte un paio di timide obiezioni che l’intervistatore muove per dovere di ruolo. Sento dire dai due che la scuola di adesso va cambiata perché è troppo selettiva (?), perché è classista (!), perché è nozionistica (?!), perché è cattedratica e frontale (sob!), perché non esce dalle aule (wow…), perché i prof non seguono i dettami della pedagogia più aggiornata ma si incaponiscono a insegnare le proprie materie (sig!)…. E penso: in quale scuola insegnano mai questi due? E contro quale scuola mai si stanno scagliando?  Forse vivono ancora negli anni cinquanta e sono atterrati in tv con la macchina del tempo! Forse sono ologrammi o animazioni della propaganda ministeriale. Forse sono figure della realtà aumentata e rovesciata, e io mi trovo già nel futuro metaverso di raistoria…

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Segnalo un interessante articolo di Claudio Giunta uscito oggi sul Domenicale de Il Sole 24ore. Si intitola I meriti del docente si valutano in classe ed è contemporaneamente riprodotto (pur con diverso titolo) nel sito di Giunta alla pagina http://www.claudiogiunta.it/2014/07/chi-dovrebbe-essere-pagato-di-piu-a-scuola/.

Mi colpisce non poco, lo confesso, nell’articolo di Giunta (che condivido, in linea teorica, in tutto e per tutto) una certa ingenuità. L’ingenuità di chi addita  – nelle ultime misure annunciate sulla scuola –  storture macroscopiche interpretandole come frutto di incompetenza ed ignoranza, senza rendersi conto che si tratta, al contrario, di scelte dettate soprattutto da consapevole e navigata malafede.

Giunta dice che gli insegnanti dovrebbero essere valutati (e premiati) soprattutto per la qualità del loro insegnamento, cioè per la capacità che essi hanno – attraverso la didattica delle proprie discipline – di incidere nella formazione culturale e critica dei loro alunni. Affermazione sacrosanta e indiscutibile. Direi scontata.

Osserva altresì che le affermazioni recenti di ministri e sottosegretari promettono invece incentivazioni solo per chi è disposto a lavorare di più, anche e soprattutto sul piano organizzativo, all’interno dei propri istituti. Incentivazioni riservate – insomma – più che altro alla quantità del lavoro extradidattico prestato.

Obietta infine, impeccabilmente, che un pessimo insegnante che si prodigasse in mille attività integrative, sostitutive ed organizzative, non cesserebbe solo per questo di essere un pessimo insegnante e di fare il male degli allievi.

Come non essere d’accordo?

Il guaio è che questi argomenti varrebbero per una scuola sana. Non per quella italiana. Dove (Giunta forse non lo sa, perché è un universitario) l’aspetto organizzativo e promozionale è diventato da tempo (cioè da quando è nata l’autonomia e si è esasperata la concorrenza fra istituti per accaparrarsi iscritti) il centro e non la cornice dell’attività scolastica. Un ribaltamento patologico, che ha marginalizzato la qualità ed enfatizzato la quantità, perché senza insegnanti che si dedichino a progetti, iniziative, promozioni ecc. la scuola attuale non potrebbe continuare ad esistere (leggi: ad essere visibile) nel territorio. Mentre può esistere comunque anche senza curarsi troppo di un insegnamento di qualità. Scrivevo anni fa – nel mio pamphlet Studenti nel paese dei balocchi – che un insegnante, nel suo piccolo, è (dovrebbe essere) un intellettuale, ma che purtroppo la scuola italiana attuale di un insegnante-intellettuale non sa più che farsene, perché ha bisogno soprattutto di organizzatori ed animatori. Questa è la realtà, ancora oggi, di cui Giunta non ha forse sufficiente contezza. Mentre ne hanno e come (con tutta la loro pochezza culturale) i marpioni della nostra classe politica.

 

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Non so quanto ci sia di vero e di realizzabile nelle parole del sottosegretario all’istruzione Reggi sulla (ennesima!) riforma epocale della scuola che il governo Renzi starebbe per mettere in cantiere. Ma sicuramente la filosofia che la ispira (stando alle dichiarazioni di Reggi) è chiarissima.

Si vogliono trattenere gli insegnanti dentro le mura scolastiche per 36 ore la settimana, il doppio del tempo del loro attuale orario di lezione frontale (18 per le superiori); si vuole cioè far vedere che li si obbligherà a lavorare ‘come’ gli altri dipendenti pubblici; si sottintende quindi che adesso lavorano poco, che il loro è stato finora poco più che un lavoro part-time.

Niente di più falso: attualmente un insegnante lavora già (lezioni da preparare, compiti da correggere, autoaggiornamento, numerosissime riunioni, incontri, corsi ecc. ecc.) molto più di 36 ore la settimana. Che differenza faccia per l’utenza che egli continui a farlo in parte a casa (e con mezzi propri) o a scuola (dove questi mezzi non ci sono) è un mistero che non si spiega se non con l’intenzione propagandistica e diffamatoria di cui parlavo pocanzi.

Ma non è solo questa ‘nobile’ intenzione a spiegare la trovata delle 36 ore. Perché la propaganda diffamatoria (la storia ce lo insegna) prepara sempre una persecuzione reale.

E nella realtà le 36 ore vogliono essere una gabbia, un penitenziario all’interno del quale si potrà impunemente e invisibilmente procedere alla riduzione degli insegnanti allo stato servile. Perché nelle 18 ore eccedenti la lezione frontale non si lascerà tanto fare loro dentro le mura scolastiche e fra mille disagi materiali, quello che già fanno molto meglio a casa (preparare lezioni, correggere compiti ecc. ecc.), ma li si obbligherà ad accollarsi gratis molte altre attività che adesso si fanno, sempre più a fatica, raschiando il fondo del barile dei fondi d’istituto (sostituzioni di colleghi assenti per malattia, corsi di recupero, attività integrative, ricreative e progettuali varie, orientamenti ecc.)

Si prepara dunque per i docenti un’epoca di corvées a costo zero, umilianti in sé e ancor più intollerabili perché non accompagnate di fatto da nessun incremento stipendiale.

Quello che si racconta, infatti, sulle ‘premialità’ per i più disponibili (occhio: non si parla dei più bravi!) significa solo che pochi, pochissimi, all’interno degli istituti (scelti per di più a suo arbitrio dal dirigente) potranno avere degli incentivi: e, a quanto pare di capire, si tratterà solo di coloro che si renderanno disponibili a sovrintendere e coordinare quelle diverse attività di corvées.

Questa è l’unico scenario possibile (visti i tempi di vacche magrissime) che le parole di Reggi lasciano prospettare.

Se a questo si aggiunge che si sta meditando di ridurre il corso delle scuole superiori a 4 anni, tagliando ulteriori migliaia di cattedre, quella filosofia mostra al mondo intero le sue vere finalità.

Se poi si collegano queste dichiarazioni a quelle della ministra Giannini che annuncia l’assunzione di 16.000 nuovi ricercatori universitari nei prossimi 4 anni, ecco che non c’è bisogno di particolare malizia per capire da dove a dove (e col sudore e col sangue di chi) le poche risorse disponibili per l’istruzione si stanno spostando.

PS.: segnalo a proposito una petizione del collega S. Fina contro la ‘riforma’ Giannini in:

http://www.change.org/it/petizioni/al-presidente-del-consiglio-dei-ministri-matteo-renzi-no-alla-riforma-giannini-le-riforme-si-fanno-con-i-docenti-non-contro-i-docenti-la-riforma-giannini-%C3%A8-mortificante-per-i-docenti-inattuabile-pensata-da-chi-dentro-la-scuola-non-ha-mai-messo-piede

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Sostengo da anni, con qualche esagerazione provocatoria, che la scuola italiana – nella sua struttura di vertice – è l’ultimo baluardo dei totalitarismi ideologici del novecento. L’ideologia “totalitaria” che da qualche decennio la governa (o cerca di governarla) è un miscuglio di sottoprodotti derivati da dottrine psicopedagogiche e aziendalistico – bancarie. Uno scadente minestrone catechistico la cui ricetta viene continuamente aggiornata (come in 1984 di Orwell) da un apparato di burocrati-funzionari al servizio permanente e retribuito del ministero.

Questo torvo apparato, questo Comintern o Gran Consiglio dell’Istruzione – qui sta l’aspetto più inquietante, orwelliano appunto, della faccenda – non ha né volti né nomi.

Non è fatto di identità fisiche che debbano rispondere, a legittima domanda di sottoposti e cittadini, del proprio operato.

Questo apparato si manifesta tutt’al più per epifanie affidate a numinose sigle (INVALSI, INDIRE, POF, BES, TFA ecc.); o a indiscutibili parole d’ordine (interdisciplinarità, alternanza scuola-lavoro; strategia antidispersione, flessibilità oraria ecc.) che sono come le emanazioni demoniche di un ente supremo.

Il quale ente supremo, si badi bene, non coincide affatto con il ministro dell’istruzione. Costui (o costei) infatti non è altro che un amministratore delegato, una transeunte maschera umana di quell’apparato inamovibile, quasi metafisico, kafkiano.

L’ente supremo della scuola italiana si identifica totalmente con quell’apparato.

Un apparato aggressivamente parassita.

Nelle cui segrete officine agiscono (e mangiano) numerose figure intermedie tra il potere politico ed economico da un lato e la scuola dall’altro: trattasi di ispettori, consiglieri, pedagogisti, burocrati ecc. addetti a trasformare pressioni politiche e interessi economico-finanziari di parte in direttive logistiche e didattiche da imporre come verità rivelate all’intera scuola pubblica.

Esempio recentissimo fra i tanti di questo parassitismo: le prove INVALSI.

Migliaia di fascicoli pieni di cervellotici test a crocetta, tonnellate di carta rovesciate nelle segreterie e nelle aule della nostra scuola superiore, milioni di euro spesi per finanziare un baraccone che presume di valutare scientificamente la qualità dell’insegnamento medio a spese del lavoro gratuito degli stessi insegnanti medi. I quali sono costretti per legge (e non per contratto) a prestare ore e ore di lavoro gratis per la correzione dei test. I quali test potrebbero – sanguinosa ironia – decretare la loro inadeguatezza all’insegnamento…. Condannati costretti a portare la croce fino al luogo del patibolo. Senza cirenei. Solita beffa che scientemente viene aggiunta al solito danno.

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