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Posts Tagged ‘maturità’

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E dire che la davano per defunta. Invece no. Rieccola. La tesina di maturità. Il suo spirito vive, eccome: dai fascicoletti inanellati e plasticati in formato A4 che intasavano le segreterie delle scuole alla vigilia della maturità (salvo poi finire regolarmente nei bidoni del recupero carta) la sua anima è trasmigrata invisibilmente fin dentro le fatidiche buste del nuovo orale. Cari studenti e colleghi, se credete che la stia sparando grossa, seguitemi e vi svelerò l’arcano. Che cos’ era nella sua essenza, fino a un anno fa, una tesina? Nient’altro che una parola-rete (amore, dolore, sogno, esilio, desiderio…) che catturava pesci e pesciolini di varie discipline (l’amore nei poeti romantici, l’amore in Platone ecc.). Altrove l’avevo a suo tempo definita uno spiedino, dove il vocabolo-tema sarebbe lo stecco e gli spezzoni delle materie i frustuli eterogenei di ciccia, di peperone e di alloro che vi stanno infilzati… Insomma: un obbrobrio culturale e didattico spacciato per la più avanzata frontiera della epistemologia. Ripeto con tutta sincerità: in questa battaglia contro le tesine io mi ritengo un guerriero solitario, come quei giapponesi che continuavano a combattere nella giungla a vent’anni dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale. Sì, perché, devo ammetterlo, fautori sfegatati o fedeli convinti della tesina erano un buon 80% dei miei ex colleghi. Se aggiungiamo che un altro 20% o quasi la accettava come un male minore o necessario, ecco che mi sono trovato a combatterla, molto spesso, da antagonista isolato ed incompreso. Ho già spiegato altrove, anche in sedi più ufficiali di questa, il perché di questa mia ostilità: ritenevo e ritengo la tesina multidisciplinare un aggregato eterogeneo e insensato di spezzoni delle varie materie intorno a una parola-chiave, un assemblaggio spesso forzato o addirittura assurdo, perciò più dannoso che inutile, di brandelli di sapere strappati al loro naturale contesto organico per essere ricomposti altrove secondo un altro ordine del tutto artificiale e capzioso, senza per altro che questa cervellotica operazione sortisca il benché minimo progresso o approfondimento di conoscenza nel ragazzo che la realizza. La tesina era (è) una istigazione all’imbroglio pseudointellettuale perpetrata in nome del credo incrollabile e fondamentalista della interdisciplinarità.

Potete immaginare la mia gioia, qualche mese fa, all’annuncio che la tesina era stata giustiziata e il suo ingombrante cadavere finalmente rimosso dalle aule della maturità.

Purtroppo mi sbagliavo. Quando il nuovo ministro, infatti, tra mille contraddizioni e rettifiche, ha cominciato a chiarire come si dovrà svolgere il nuovo orale orfano della tesina, ho mangiato la foglia.

Dicono infatti le ultime indicazioni ministeriali (molto diverse dalle prime che avevo prematuramente discusso in un altro post…) che, se non capisco male, nel nuovo orale i ragazzi non dovranno essere interrogati nelle varie discipline del loro corso di studi. No. Dovranno invece sotto la guida dei docenti che li esaminano, dissertare e svariare tra le varie discipline partendo da una traccia che uscirà bell’e pronta dalla busta sorteggiata: si tratterà di un testo letterario, o filosofico, o storico, o di un progetto o di un argomento tecnico scientifico. Partendo da questo lo studente si aggancerà fin che possibile alle varie materie intavolando un discorso multi- o inter-disciplinare… Siamo alle solite! Che cos’altro è questo nuovo orale se non la vecchia tesina risuscitata, come l’araba Fenice, in una veste per giunta peggiorata (perché esige capacità di improvvisazione e di acrobazia mentale) e gabellata per una inedita, modernissima forma di verifica!

Esempio: una commissione propone un passo dei racconti partigiani di Fenoglio.

Lo studente dovrà partire dal commento di questo passo e poi divagare seguendo il filo conduttore più idoneo, che afferrerà lì lì su due piedi e dipanerà all’impronta – se ci riuscirà -, oppure imbeccato dai commissari: la guerra? La resistenza? Meglio forse quest’ultima. Così potrà iniziare con la resistenza italiana durante la seconda guerra mondiale e finire con la resistenza elettrica delle lampadine, passando attraverso innumerevoli altre resistenze (per es. la lotta di classe in Marx, la dissidenza in URSS, e addirittura il lavoro aerobico e anaerobico in educazione fisica). Carino no? Un bel gioco di prestigio: si tira fuori dalla busta un filo conduttore e ci si agganciano a capocchia variopinte perle attinte agli scrigni delle diverse materie. Rieccola dunque: ancora lei, la tesina. I commissari predispongono la traccia, il ragazzo sviluppa i collegamenti.

Niente da fare: i misteriosi soloni del ministero colpiscono ancora. Cambiano i governi, cambiano continuamente gli esami di stato, ma da ormai un quarto di secolo la mania ossessivo-compulsiva del pedagogismo ministeriale suona e risuona, con insignificanti variazioni, sempre la stessa musica: inter- multi- pluri- disciplinarità.  In barba all’evidenza del dominio ormai secolare e scientificamente irrinunciabile, in tutti i campi e con tutti i suoi inconvenienti, della divisione dei saperi e della loro specializzazione, hanno deciso che un diciottenne è maturo se riesce a collegare ingegnosamente la rivoluzione d’ottobre con quella dei corpi celesti… Se poi sappia leggere e scrivere e far di conto poco importa. Tanto meno esercitare rigorosamente il raziocinio e lo spirito critico, in primis verso le baggianate, come questa, che gli vengono imposte dall’alto.

PS.: Non mi sento più così solo nella mia battaglia contro la tesina e la didattica dei collegamenti. Ho scovato un post di qualche tempo fa (quando la tesina era ancora ufficialmente in auge) di un collega famoso, Christian Raimo:

https://www.ilpost.it/christianraimo/2014/10/17/buona-scuola-renzi/

Con mio sommo conforto Raimo si esprime in piena sintonia con me. Ne riporto uno stralcio:

«... L’ultima riforma ha introdotto anche l’obbligo per gli studenti di portare una tesina alla maturità. L’argomento della tesina è qualunque. Parti da una cosa che ti interessa, viene consigliato agli studenti. Vanno bene i Queen? Va bene il piercing?, chiedono loro. Va bene qualunque cosa, certo, rispondiamo noi professori, costretti a questa farsa a due, e proveremmo a aggiungere: Va bene qualunque ricerca, basta che la ricerca sia svolta in modo rigoroso, con il metodo che abbiamo imparato, le note, la bibliografia… Ma in realtà la vulgata dei professori è un’altra, e l’unico suggerimento che viene ammannito agli studenti – consiglio che poi diventa un diktat – è: Fai i collegamenti. I collegamenti che tocchino tutte le materie, mi raccomando. L’idea della multidisciplinarietà dei saperi viene ridotta a questo feticcio demenziale. Ci sono studenti incolpevoli che lo prendono alla lettera e fanno una tesina che parte da Storia parlando dei mezzi di comunicazione di massa (la radio), passano a Chimica (il radio), per arrivare a Educazione fisica (il radio e l’ulna).»

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Nego nel modo più reciso che le macchine (anche le più evolute) possano educare una persona, tantomeno valutarne la maturità. Possono aiutare gli educatori, possono in parte o in tutto sostituirli nell’addestrare tecnicamente qualcuno, ma non nel formare e nell’educare, tantomeno nel giudicare i frutti di quella educazione e di quella formazione. Perché l’educazione è il prodotto di una relazione umana. Solo umana. Non surrogabile da attori o strumenti diversi dagli esseri umani. Anche una prova di valutazione generale e sommativa quale dovrebbe essere l’esame di maturità è condotta da esseri umani, docenti e alunni. Per quanto si incontrino per un breve periodo, in un contesto particolarmente formale, insegnanti e ragazzi della maturità si incontrano, in quel momento, anzitutto come persone. Come tali si relazionano, sperimentano utilmente gli uni degli altri la correttezza, la lealtà, il rigore, la flessibilità, la cordialità, la serietà, la caratura intellettuale, persino la simpatia e l’antipatia reciproca.

Pare che tutto questo sfugga sempre più ai tecnocrati del ministero dell’istruzione. Pare per esempio che l’orale del nuovo esame di maturità debba essere un mega-test, un quizzone, dove persino il momento per me fondamentale della interazione intellettuale, dialettica ed emotiva tra educatore ed educando che sono i colloqui orali, sarà spersonalizzato e banalizzato. Pare che il nuovo orale si baserà sulla scelta di tre buste contenenti ciascuna una serie prestabilita di domande legate da un qualche file rouge tematico, su di una interrogazione pre-scritta insomma, prevedibilmente nozionistica, ma soprattutto sottratta alla estemporaneità socratica del confronto tra docente e allievo che è un confronto vivo di persone, un dibattito tanto più fruttuoso quanto meno prevedibile nei suoi sviluppi. Un colloquio orale che si rispetti, a mio avviso, si sa da dove parte, ma non proprio dove possa arrivare. Anche da questa im-programmabile libertà di sviluppo si misura la bravura e la maturità dell’esaminando (oltre che quella dell’esaminatore).

No invece: nel nome di una presunta oggettività di trattamento e di misurazione bisogna seguire un binario obbligato, un binario preordinato, un binario morto.

Credo che anche questo nuovo monstrum della maturità discenda dalla imperante concezione tecnocratica dell’istruzione che regna ormai nelle stanze della Minerva. La sua origine (anglosassone) la conosciamo bene. Ma da noi arrivano sempre le caricature e i cascami, il peggio del peggio, ahinoi. Cambiano i governi, ma non cambia l’apparato, il fantomatico Komintern anonimo o dai nomi astrusi (Invalsi, Indire ecc.) che partorisce e impone, da un governo all’altro, da un lustro all’altro, i frutti più deformi della propria malata (ed asservita ai soliti poteri) subcultura pedagogica.

Pareva che l’abolizione della famigerata tesina preludesse a un qualche tardivo ma beneaugurante rinsavimento, discendesse da una inaspettata ma benvenuta iniezione di buon senso. Invece no. Ecco la seconda prova, che per supplire all’abolizione della terza (che non era certo da buttar via, per la sua aderenza ai programmi effettivamente svolti e per l’esercizio di puntualità e di sintesi che richiedeva) pasticcia insieme un paio di materie con pretesa (teorica) ambiziosa di interdisciplinarità ed effetto (pratico) probabilissimo di confusione e di disorientamento (al classico non si traduce più un testo di versione: anzi sì, si traduce ancora, ma un pezzo più corto di latino o di greco, o forse un po` di latino e un po’ di greco; ma poi si aggiungono delle domande di comprensione del testo e di commento storico-letterario, come se uno, dopo aver tradotto male o addirittura frainteso un passo di Cicerone, possa poi interpretarlo e commentarlo bene…).

E poi, tornando a noi, ecco l’orale: prima l’esposizione della esperienza della ASL, cioè dell’Alternanza Scuola Lavoro (notoriamente magnifica e indimenticabile per i liceali…), poi l’estrazione delle buste (uno, due, tre) di cui sopra.

Diciamolo: per quello che vale ormai questo pezzo di carta nel mondo del lavoro o nel proseguimento degli studi universitari, mantenere a tutti i costi e a questo prezzo l’esame di maturità è non solo insensato, ma altamente nocivo. Deleterio cioè per insegnanti ed alunni, perché la distorta impostazione della prova finale obbliga purtroppo i primi come i secondi ad adeguarsi durante tutto il corso degli studi agli sciagurati pseudo-principi didattico-docimologici cui l’esame è ispirato. Cambiare continuamente (come sta avvenendo da anni) il tetto della scuola richiede infatti, per evitare crolli e dissesti, che si ristrutturino alla bell’e peggio e contro ogni regola dell’arte anche i muri portanti e le fondamenta. Mi si perdoni la metafora architettonica, che è tirata (è il caso di dire) con gli argani, ma penso che renda, meglio di ogni considerazione, il succo amaro di questa deprimente storia.

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È uscito quest’anno per la maturità di greco un testo di Isocrate: un brano di un’orazione Sulla pace che parla del vecchio dilemma tra l’utile e il giusto, dell’ingannevole e difficilmente resistibile attrattiva del primo e della duratura e autentica utilità del secondo: luoghi comuni della riflessione etico-politica da sempre (il celebre trattato De officis di Cicerone, che si rifaceva anche lui ai Greci, lo testimonia); un brano che può perciò stesso prestarsi a facili attualizzazioni. Per questo molto probabilmente è stato selezionato. Come gran parte dei testi di versione di maturità che escono da diversi anni a questa parte, anche questo in effetti sembra essere stato scelto (da chi? mi piacerebbe conoscerli questi miei colleghi selezionatori ministeriali…) molto più per le sue vaghe implicazioni attualizzanti che per la sua adeguatezza linguistica. Tanto è vero che molti studenti hanno trovato la versione difficile. E io concordo abbastanza con loro: troppo lunga, troppo complessa sintatticamente; con un addensarsi, in certi punti, di particolarità lessicali e morfosintattiche tali da farne, nel suo insieme, più una prova da concorso a cattedra che da maturità liceale. Specie se si tiene conto che oramai – diciamocelo – l’insegnamento linguistico delle lingue classiche (del greco antico specialmente) nella scuola superiore è sempre più problematico: sempre più distante dalla forma mentis di ragazzi abituati alla sintesi rapida e ed approssimativa del linguaggio digitale e massmediatico; bisognevole di un esercizio così lento, attento e costante cui solo pochissimi allievi con peculiari inclinazioni possono ancora dedicarsi con profitto. Insomma, all’alba del XXI secolo siamo messi come nel buio medioevo occidentale: Graecum est, non legitur. Ma i miei cari colleghi selezionatori non demordono: siccome, immagino, non hanno mai messo piede in un liceo reale, credono di sottoporre queste prove a dei raffinati umanisti o a dei filologi dell’ottocento, intellettuali del passato che leggevano correntemente il greco e parlavano ancora in latino. Ma soprattutto vogliono dimostrare con i brani che scelgono per la maturità che quel mondo – ritenuto dai più stramorto – è vivo e parla ancora di noi. Anche perciò si disinteressano tanto disinvoltamente delle difficoltà della grammatica e dello stile. Perché mirano quasi sempre ad altro.

Io non sono affatto dell’idea che la traduzione da una lingua antica debba essere abolita, perché tradurre continua ad essere una prova che mobilita, come nessun’ altra, gran parte delle risorse intellettive e intellettuali degli studenti; ma ci deve essere competenza e misura nella scelta del grado di difficoltà: con un po’ di pazienza e di buon senso si possono trovare autori e testi ancora abbordabili dallo studente liceale medio del terzo millennio. Se non lo si fa (le versioni di maturità di greco dell’ultimo trentennio sono paradossalmente in media più difficili di quelle della terribile scuola liceale del cinquantennio precedente!) ciò accade, ripeto, sia per ignoranza della scuola reale, sia soprattutto per la pretesa, commovente fino al ridicolo, di impegnare a tutti i costi i giovani del classico con brani à la page, se non addirittura riconducibili al nostro dibattito politico e culturale. Volete una riprova clamorosa – e sfuggita incredibilmente ai più – di questo evidente secondo fine? Basterà guardare a due versioni (una di latino e una di greco) uscite alla fine del decennio scorso in due anni consecutivi: entrambe parlavano della mala giustizia, del suo distorto uso politico e lamentavano l’operato maldestro o iniquo di giudici e di tribunali. Un argomento molto dibattuto in quel momento sui media italiani. A chi avranno mai voluto alludere e/o compiacere?

PS: paradosso dei paradossi in proposito è la scomparsa quasi totale di prove di lingua e di traduzione dal greco e dal latino nei concorsi a cattedra per aspiranti prof di lettere nei licei, sostituite da esami di inglese o di altre lingue straniere!

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Non so se si tratti del sacro diritto all’ informazione. Sicuramente il fatto non costituisce reato. Ma che un giornale molto noto a livello nazionale (non ho controllato se fosse il solo), stamattina 18.06.2015, già alle ore 9.00 – cioè nel momento in cui la seconda prova di maturità era ancora all’inizio – abbia squadernato sul proprio sito il testo e la traduzione guidata della versione di latino appena distribuita nelle aule è una scelta, lasciatemelo dire, quantomeno irresponsabile e diseducativa.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/18/maturita-2015-la-traduzione-della-versione-di-tacito-ultimi-giorni-di-tiberio/1789625/

Perché è vero che ogni anno questo succede puntualmente sul web attraverso modalità più e meno piratesche, ma chi, come la redazione di un giornale importante, condivide una parte di responsabilità nell’educazione civica e civile del pubblico più giovane, non può lanciare in rete esche così appetitose per incoraggiare i giovani al trucco e all’inganno. Oramai – specialmente in materie come greco antico e latino – la pratica della copiatura dal web si è diabolicamente raffinata e la scuola – con la sua povertà di mezzi materiali e tecnici – non riesce, con tutta la buona volontà dei prof, a difendersene. Per esperienza recente, ritengo non sia semplice scongiurare questo rischio neppure durante gli scritti della maturità. Ma se ci si mettono anche i maggiori giornali ad alimentare il malcostume italico con il loro cattivo esempio, allora meglio alzare bandiera bianca. Perché educare all’onestà è già di per sé un’arte difficile. In Italia, poi, ancora più difficile. Se poi la scuola deve combattere da sola, isolata ed accerchiata da ogni parte, allora la battaglia diventa assolutamente disperata.

Tanto più che gli eroi isolati dell’onestà diventano facilmente il bersaglio del pubblico ludibrio.

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Chi non tollera neppure i minimi difetti del suo prossimo non potrà beneficiare dei suoi pregi.

 

Il cammino della maturità giunge prima o poi al tragicomico bivio tra saggezza e infrollimento.

 

Chi dorme sogna – tutt’al più – di pigliare pesci.

 

Figli o allievi non raggiungono la maturità finché non si siano completamente liberati di genitori e maestri; finché non li abbiano cioè vampirizzati prima e poi (metaforicamente ed etimologicamente) eliminati; estromessi cioè completamente dal proprio mondo: come l’assediante fa con la scala che gli è servita per scavalcare le mura nemiche; il predatore con la carcassa della preda svuotata di carne e di sangue; il bambino con la buccia ed i semi di un frutto polposo. Il genitore e il maestro hanno svolto ottimamente la loro funzione quando siano ridotti allo stato di inutili involucri. Di mummie prosciugate e abbandonate in una anonima fossa comune.

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