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Posts Tagged ‘recensione’

È finalmente uscita sulla rivista culturale online Senecio la mia recensione al libro di Franco Buffoni Silvia è un anagramma (Marcos y Marcos 2020):

Fai clic per accedere a Mazzocchini_rec%20Buffoni.pdf

Invito tutti caldamente a leggerla, perché ritengo di aver assolto, scrivendola, a un mio dovere irrinunciabile di studioso e di  appassionato di Leopardi: non il dovere, beninteso, di difendere l’eterosessualità di Leopardi – che è questione in sé del tutto irrilevante – ma di contribuire alla intelligenza della complessa verità storica e biografica del poeta. Una verità stravolta, nel fortunato saggio di Buffoni, da una tendenziosità ideologica antiscientifica, banalizzante e, per i miei gusti, intollerabile (di questo per altro ho già abbondantemente scritto anche nel mio precedente post: Aspasia è un ectoplasma?). Continuo a credere insomma – contro l’andazzo dei tempi – che il metodo storico-filologico non sia un ferro vecchio bensì un valido antidoto alla mistificazione intellettuale e alla dilagante impostura delle fake news.

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Amazon.it: Gigi Monello - Letteratura e narrativa: Libri

Ho letto d’un fiato La fuffoscuola di Gigi Monello (edito nel 2019 da Scepsi&Mattana Editori) e non poteva essere altrimenti. Per la vivacità intrigante, spericolata e funambolica del linguaggio, certo. Ma anche e soprattutto per la congenialità profonda, totale, fraterna che ho immediatamente avvertito con lo spirito di questo pamphlet. Una fratellanza intellettuale (ma anche etica e professionale) che mi impedisce, lo confesso, di scriverne in maniera oggettiva. Senza esserci mai conosciuti, io e Gigi Monello siamo affratellati infatti dalla comune appartenenza alla piccola famiglia di quei prof (ormai ex) i quali, con una rispettabile formazione culturale acquisita negli anni settanta, hanno insegnato nella scuola superiore dai primi anni ottanta fino a ieri, cioè proprio nel quarantennio in cui la scuola, il costume e la società italiani hanno vissuto la metamorfosi più profonda degli ultimi duecento anni almeno. Una sfortuna pazzesca… In questo quarantennio la nostra scuola superiore è passata da un solido impianto proto-novecentesco (sopravvissuto, nella sua ossatura almeno, quasi fino agli inizi degli anni novanta) alla struttura liquida e tendenzialmente aeriforme di oggi. Questa mutazione è stata accelerata da una batteria etimologicamente formidabile di riforme e di riformine sparate dai vari governi ad un ritmo impressionante (quasi annuale) da venticinque anni a questa parte. Ma non tutte le trasformazioni vengono per giovare. Quelle che hanno investito la scuola sono venute, praticamente tutte, soprattutto per nuocerle. E del male che queste riforme hanno prodotto sul piano culturale ed educativo parlano ad abundantiam le cronache dei giornali e le statistiche della preparazione media dei nostri studenti. Il libro di Monello tratta, certo, di tutto questo, ma è interessante soprattutto perché fotografa la realtà scolastica dal punto di vista inedito ed inaudito di quell’insegnante cólto e sfortunato di cui sopra. Un testimone minoritario, un sopravvissuto d’altri tempi (e forse perciò apocalittico) che è ormai residuale, non solo per ragioni anagrafiche, nella scuola italiana. Il libro di Monello parla del marasma della scuola attuale con una penna satirica impietosa. E siccome la satira è l’arte dello smascheramento, Monello impegna tutto se stesso a distruggere la maschera dietro la quale la demolizione sistematica dell’istruzione pubblica è stata dissimulata: quella della retorica ministeriale. Retorica modernistica trionfante, simil-tecnocratica e pseudo-pedagogica. Retorica pervasiva, debordante, infestante. Le fanfare della forma sopra il nulla della sostanza. Il trionfo della fuffa, appunto. Non per caso Monello intitola il suo libro La Fuffoscuola: perché fuffa esprime, meglio di molti altri suoi sinonimi – con un frusciante, secco ghiribizzo sonoro – il micidiale coniugio di apparenza ingannevole e di nullità sostanziale. Fuffa, ovvero: «fanfaluca, fanfaronata, chincaglieria, ciacola, paccottiglia, balla, sparata, bomba, cavolata […]» (p. 46). Il gioco verbale, la fantasia mistilingue e plurilingue (con largo spazio ai dialetti) sono l’ingrediente più godibile di questo libello. Monello si sbizzarrisce talvolta in lunghi ed estrosi elenchi o cataloghi di parole, vuoi per parodiare il linguaggio pretenzioso e vacuo della prosa ministeriale, vuoi per evocare al meglio (cioè nel modo più grottesco e straniante) il caos che regna nel mondo della scuola attuale, con le sue mode assurde e il suo attivismo folle e scriteriato. Citerei, una per tutte, la sequenza che descrive le infinite attività che devastano il tempo della lezione ordinaria: «giornate, progetti, giretti, teatri, escursioni, visite, cinematografi, concertini, mostrarelle, incontri, seminarietti, orientamenti, olimpiadi, quiz a squadre, certami, carabinieri, bancari, scrittori, suore che ballano […] marinai, polizie e avieri. E per finire […] la cruciale, indispensabile Alternanza». (p. 113). Ho tagliato qualcosa in questa catena tendenzialmente infinita, nobilitata da un certo grado di elaborazione stilistica (allitterazioni, rime, assonanze, diminutivi). L’effetto di lettura è brillante, comico, vagamente plautino. La realtà sostanziale, invece, è desolante. In questo corto circuito continuo tra forma e sostanza si tocca il pregio e il limite di questo libello esilarante e distruttivo. Che è stato di sicuro un esercizio gratificante e catartico per chi lo ha scritto, così come lo sarà per i lettori sintonizzati sulla lunghezza d’onda dell’autore. Già: ma quanti saranno i lettori in sintonia con lo spirito di questo pamphlet? Potranno esserlo i genitori, gli studenti, o addirittura i quadri dirigenziali della scuola? E soprattutto: potranno esserlo i nostri (ex) colleghi insegnanti? Temo che la domanda sia retorica. Non riesco infatti ad immaginare un grande interesse – e tanto meno un grande feeling – di gran parte di queste categorie verso un libello informato e spietato come questo. Non potrà forse esserci soprattutto perché molti ignorano (genitori, studenti e lettori estranei al mondo scolastico) la realtà che questo pamphlet svillaneggia con tanta piacevolezza e con tanta cognizione di causa. Ma non potrà esserci anche perché – temo – il target elettivo di un libro di denuncia come questo (insegnanti e dirigenti della scuola) oramai non condivide più, in gran parte, il punto di vista dell’autore: convertiti come sono, per convinzione o per quieto vivere, al catechismo ministeriale, prèsidi e colleghi della nuova leva potrebbero – del tutto a torto – liquidare questo libretto come l’ennesimo sfogo anacronistico e revanscista di un prof frustrato e superato dai ‘tempi nuovi’. Auguro vivamente all’autore che questo non succeda.

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È uscita da poco nella rivista on line di informazione libraria Mangialibri una lusinghiera recensione di Antonella Lucchini al mio libro di poesie Pietra e farfalla edito da Ladolfi. Invito a leggerla:

http://www.mangialibri.com/poesia/pietra-e-farfalla

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È appena uscita sulla rivista di informazione libraria LEGGERETUTTI una attenta recensione di Fiorella Cappelli al mio libro di poesie Chiasmo apparente pubblicato nel 2016 da LietoColle:

http://www.leggeretutti.net/site/chiasmo-apparente-di-paolo-mazzocchini/

Invito ovviamente a leggerla insieme ad un’altra pagina della stessa autrice che la rivista dedica specificamente ad una delle liriche (Poiesis) contenute in quella raccolta:

http://www.leggeretutti.net/site/giropoetando-nel-web-poiesis-di-paolo-mazzocchini/

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Propongo all’attenzione dei lettori anche queste ragionate e competenti osservazioni del blogger Lorenzo Spurio sul mio ultimo libretto di poesie:

https://blogletteratura.com/2017/12/19/pietra-e-farfalla-di-paolo-mazzocchini-alcune-note-a-cura-di-l-spurio/

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È appena uscita nel blog letterario di Nazario Pardini una lusinghiera e articolata recensione al mio ultimo libretto di poesie Pietra e farfalla.

Invito a leggerla alla pagina web:

https://nazariopardini.blogspot.it/2017/12/n-pardini-legge-pietra-e-farfalla-di.html

 

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L’Indice Scuola online ripubblica ora sul suo sito questa mia recensione a Vento forte fra i banchi di Marco Lodoli, uscita nella stessa rivista cartacea un paio d’anni fa.

Mi fa piacere segnalarla all’attenzione dei lettori:

Marco Lodoli – Vento forte fra i banchi

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È appena uscita  in Alla volta di Leucade una lunga, colta ed approfondita recensione di Nazario Pardini alla mia raccolta di poesie Chiasmo apparente. Invito a leggerla in:

http://nazariopardini.blogspot.it/2016/03/n-pardini-lettura-di-chiasmo-apparente.html

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Ci sono libri sulla scuola che sono scritti per aiutarci a capirla e ad affrontarne i problemi. Altri invece che servono a persuaderci ad accettare le ‘riforme’ che – da destra o da sinistra – i poteri forti e i politici vorrebbero imporle per i loro scopi. Requiem per la scuola appartiene oggettivamente (cioè a prescindere dalle reali e consapevoli intenzioni dell’autore) alla seconda categoria. Scritto da Norberto Bottani (ex funzionario Ocse ora consigliere della Compagnia di San Paolo) ed edito da Il Mulino, questo saggio dal titolo funerario e catastrofico ha in realtà una struttura dossografica abbastanza confusa, eterogenea e desultoria, consistendo in una scomposta farragine di citazioni di altri saggi, soprattutto stranieri, intorno alla crisi della scuola di massa su scala mondiale. Con un particolare occhio rivolto – ovviamente – alla scuola di casa nostra. E con la pretesa – spesso discutibile – di applicare alle vere e presunte piaghe del nostro sistema educativo rimedi elaborati a latitudini molto distanti. Nell’insieme, poco più che un inconcludente collage di analisi e proposte non tutte – beninteso – disprezzabili, ma per niente inaudite e oscillanti (in un ondeggiamento più ‘cerchiobottista’ che problematico) tra una frequente ed accorata (in sé sacrosanta) preoccupazione per una scuola ‘giusta’ e ‘democratica’ – che ponga cioè tutti sullo stesso piano di partenza superando gli svantaggi iniziali di classe –  e un’ammirazione smisurata e malcelata per tutte le più spinte soluzioni tecnocratiche (i robot giapponesi che potrebbero utilmente soppiantare i docenti umani!) e manageriali (i prèsidi che dovrebbero avere facoltà discrezionale di scegliere e licenziare gli insegnanti non ligi alla presunta taumaturgia del team teaching!). Insomma, siamo alle solite: siamo cioè alla consueta, mal camuffata, irritante buona novella della ‘scuola-azienda’ di stampo anglosassone progettata su misura dei sogni e degli interessi del potere bancario ed industriale nostrano. Un’idea di scuola che risolve la formazione e l’educazione dell’uomo e del cittadino in mero addestramento tecnico-professionale; che propugna, allo scopo, una privatizzazione totale del servizio scolastico; e che nasconde dietro gli idoli (in sé positivi) del merito e dell’efficienza l’asservimento totale della scuola pubblica alle esigenze del mercato. Leggendo questo libro si capisce (meglio) chi c’è dietro il baraccone quizzologico dell’Invalsi. E quale ruolo, sempre più marginale e infinitesimo, sarebbe riconosciuto in una scuola del genere alla libertà di insegnamento sancita dalla costituzione. Non sarà per caso che dopo aver cantato per tutto il libro il de profundis per l’educazione scolastica tradizionale e per i suoi educatori, l’autore senta alla fine l’esigenza di dedicare un esile capitoletto a quegli obsoleti relitti esibendo una poco credibile, amletica equidistanza tra idee pedagogiche tradizionalistiche (ancorate ad un presunto protagonismo del docente) e innovative (centrate invece sull’alunno e sulle nuove tecnologie). In questo premuroso tentativo  di captatio in extremis della benevolenza dei prof, l’autore si lascia però scappare su di loro una sconcertante inesattezza: afferma infatti (a p. 140) che nella istruzione superiore italiana la componente maschile di dirigenti e docenti è ancora maggioritaria (sic!). Una ‘svista’ che la dice lunga sulla conoscenza che l’autore possiede della nostra scuola effettuale.

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