Di manifesti per la scuola pubblica ne sono usciti parecchi negli ultimi tempi, a cadenza quasi annuale. Tutti regolarmente sottoscritti da nomi di illustri cattedratici, intellettuali, giornalisti ecc.
Ma questo:
https://nostrascuola186054220.wordpress.com/2021/03/20/manifesto-per-la-nuova-scuola/
mi coinvolge più degli altri. Non solo perché condivido tutto al 100%. Non solo perché i problemi che solleva e le proposte che avanza sono le mie stesse da quando (ormai da un paio di decenni) scrivo regolarmente e inutilmente sulla scuola italiana. Ma anche e soprattutto perché, al cuore di questo manifesto, c’è un problema – enorme – che sfugge all’opinione pubblica ma che affligge segretamente la nostra scuola, specialmente quella liceale: l’antiscuola. Un monstrum horrendum et ingens. Un tumore inoculato nell’organismo scolastico proprio da chi, a vari livelli dirigenziali, dice di averne a cuore la salute e il buon funzionamento. O se si vuole una grave patologia autoimmune che si è lasciata degenerare in misura preoccupante, anche perché scambiata pericolosamente da molti (compresi certi insegnanti) per un una medicina. Che cosa sia l’antiscuola è presto detto: trattasi dell’insieme di tutte quelle numerosissime iniziative o attività collaterali proliferate ultimamente nella scuola autonoma fino a paralizzarne il funzionamento fisiologico. Fino cioè a impedire ai prof di insegnare e ai ragazzi di apprendere. Mi spiego concretamente. In un anno scolastico ci sono circa 200 giorni di lezione. Si va (si dovrebbe andare) a scuola per partecipare alle lezioni. Invece no. Non proprio e non sempre. Perché di questi 200 giorni almeno una dozzina se ne va per gite e uscite varie. Altri sette per la settimana bianca. Altri sette per le assemblee studentesche di istituto. Altri 10 o 15 (in alcune classi) per la cosiddetta alternanza scuola lavoro. Un’altra settimana per l’accoglienza delle classi iniziali. Un’altra decina almeno per presenziare a vari incontri promozionali (con le università, con i carabinieri, con l’esercito, col vescovo ecc.) o informativi (di carattere sanitario, civico ecc.). Altri tre o quattro giorni se ne vanno per le attività alternative à la page della cosiddetta ‘settimana culturale’ autogestita da alcuni studenti, durante la quale si tengono lezioni sul ricamo al tombolo o sugli ufo… Senza contare le numerosissime e intermittenti assenze di singoli alunni per attività ‘esterne’ autorizzate (gare sportive, olimpiadi della matematica o della filosofia, certificazioni esterne di lingua o di informatica, eventi promozionali ecc.). Un semplice conto della serva arriva già a una settantina almeno di giorni rubati alla lezione ordinaria e/o persi da classi intere o da gruppi o da singoli ragazzi. Più di un terzo dei giorni annuali complessivi di lezione. Ma è solo un computo per difetto. Perché non tiene conto dei pretenziosi ma spesso strampalati progetti che intralciano regolarmente lo svolgimento della lezione ordinaria. E poi perché di attività le più varie (conferenze, dibattiti, celebrazioni, feste, spettacoli, happening, e chi più ne immagina più ne metta) ne spuntano fuori ogni settimana – spesso improvvisate e imposte dallo staff dirigenziale – come gramigna sulla superficie di un prato. Ora tutti capiscono facilmente che se un programma didattico organico viene continuamente bombardato, sforacchiato e frantumato da queste interruzioni incongrue ed estranee non può, alla fine, semplicemente, avere la minima efficacia. Diventa un programma-gruviera. Un miserevole frullato misto delle frattaglie e degli scarti della lezione ordinaria. Quel poco che si riesce a insegnare, per altro, passa in secondo piano rispetto ai fuochi d’artificio di queste gratificanti iniziative che interrompono quotidianamente l’insegnamento. Quello che dovrebbe essere centrale (la trattazione organica, sistematica e pianificata delle materie fondamentali) diventa marginale, mentre tutto quello che dovrebbe essere marginale, di contorno o di completamento, invade il centro della scena. Il perché di questo patologico rovesciamento è facile da spiegare, purtroppo. Senza questo pullulare di attività dell’antiscuola verrebbero meno – dicono i dirigenti e i loro collaboratori – la presenza nel territorio e la visibilità esterna di un istituto scolastico. Dunque il tumore dell’antiscuola è soprattutto figlio, anch’esso, della inevitabile deriva pubblicitaria della scuola ‘autonoma’ e della sua crescente dipendenza dall’esterno. Il male si estirperebbe se la scuola venisse esentata dalla necessità di autopromuoversi, di ostentare continuamente le sue vere o presunte attrattive. La scuola di oggi purtroppo ha un bisogno vitale di mostrarsi agghindata e seducente, di vivere e di lavorare costantemente esposta sulla strada… So di aver alluso a un paragone forte, ma questa purtroppo è la realtà attuale della scuola autonoma italiana. Questa la radice vera dell’antiscuola.
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