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Posts Tagged ‘dipendenti pubblici’

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Si potrebbe credere alla buona fede di ministri e governi che vogliono riformare la scuola, se non fosse che tutti i ministri, tutti i governi – da mezzo secolo in qua – la vogliono riformare. Soprattutto negli ultimi vent’anni questa frenesia riformatrice è diventata l’ossessione prioritaria e compulsiva dei nostri politici. Tutti i responsabili della Minerva e i loro premier vogliono lasciare una propria impronta sulla scuola pubblica.  Da una legislazione all’altra, da un governo all’altro, da un anno all’altro direi, vista la breve durata di molti nostri governi.

Se paragonassimo la scuola pubblica italiana a una casa in affitto e i vari governi ai suoi proprietari, allora parleremmo di una casa martoriata da continue ristrutturazioni, alcune cervellotiche, altre assurde, o inutili, o di cattivissimo gusto, tutte però coerentemente mirate a rendere impossibile l’esistenza degli inquilini che ci vivono dentro come in un cantiere sempre aperto, per indurli prima o poi a sloggiare e a liberare lo stabile in vista della sua definitiva vendita o demolizione.

Non so gli altri, ma io, come insegnante, di fronte al ddl scuola e alle famigerate prove Invalsi, mi pongo alcune domande retoriche: esiste (o si pretende) qualcosa del genere per altri dipendenti pubblici? Per i medici di famiglia, per i dipendenti delle poste o dei trasporti, per i magistrati, per i poliziotti ecc? Di quale altra categoria si reclama così pressantemente la dimostrazione della qualità e del merito come per quella degli insegnanti, cioè per quella oggettivamente meno valutabile e nel contempo più osservabile e controllabile (oltre che malpagata e bistrattata) di tutte? Di quale categoria si stigmatizzano le (pochissime e innocue) iniziative di protesta minacciandole di precettazione? E siccome la risposta a queste domande è scontata, la spiegazione che riesco a trovare di questo singolare accanimento è che la categoria degli insegnanti è oggi un facile capro espiatorio di ogni riduzione della spesa e la cavia prediletta di ogni ristrutturazione sperimentale del pubblico impiego, per il semplice motivo che essa categoria è (oggettivamente) la più numerosa ma anche la più indifesa e inerme, oltre che spesso (colpevolmente) succube e inerte di fronte alle angherie più sfrontate.

Ancora sull’Invalsi: la stampa italiana pullula di difese d’ufficio di questa costosa agenzia semisegreta che si ammanta di una sigla così impropriamente numinosa. Vorrei intanto sapere se i giornalisti gradirebbero che gli editori spendessero fior di quattrini per finanziare un ente esterno deputato a valutare il lavoro dei giornalisti stessi; se accetterebbero di sottoporsi a sgangheratissimi test (col dovere aggiuntivo di tabularne poi gratis i risultati) e di vedere sottratti quei denari al giornale e ai loro stipendi: qualcuno di loro, a partire dall’autorevolissimo Gramellini, mi dia una risposta convincente.

E infine: io ricordo con grande riconoscenza i miei maestri (un paio) che ho avuto al liceo e all’università. Ebbene, non so quanto della loro umanità e della loro straordinaria levatura intellettuale e culturale si sarebbe potuto afferrare somministrando ai loro alunni una prova Invalsi. Intanto perché quei loro allievi (io e i miei compagni di allora) erano ovviamente molto diversi l’uno dall’altro. E poi perché a quei maestri io devo oggi, a distanza di decenni, soprattutto quello che sono, non tanto quello che so. E i migliori test sapranno forse misurare qualcosa del sapere delle persone, ma sicuramente nulla del loro essere.

PS: tengo a ribadire, come già dichiarato in altri post, che dai tempi in cui pubblicai il mio pamphlet “Studenti nel paese dei balocchi” (2008) la mia posizione circa il cosiddetto merit pay dei docenti è completamente cambiata. Allora avevo fiducia che si potesse in qualche ragionevole modo valutare e riconoscere la qualità dell’insegnamento; oggi invece ritengo che nella scuola il merit pay sia in sé una bella ma irrealizzabile utopia, e che quanti dall’alto vogliono imporlo non intendano in realtà far altro che  – da un lato – contrabbandare per ‘merito’ la disponibilità a notevoli carichi aggiuntivi di lavoro sottoretribuiti e – dall’altro – creare ad arte ulteriori e insostenibili tensioni e divisioni all’interno del corpo insegnante, favorendo la nuova governance dirigistica e aziendalistica della scuola. 

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