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Posts Tagged ‘necessario’

Ricevo e volentieri segnalo a mia volta una lettera aperta (diffusa attraverso vari canali di informazione) di miei colleghi lombardi sulla guerra in Ucraina:

https://ilmanifesto.it/lettere/lettera-aperta-degli-insegnanti-sulla-guerra-e-sulla-pace

Condivido pienamente, almeno in linea teorica.

Aggiungo solo, per non restare attaccato alla atroce contingenza di questo e di altri drammatici eventi di attualità, che mi è personalmente difficile pensarli senza il filtro di certi paradigmi culturali (tragici ma illuminanti) della cultura antica. Paradigmi, ahimè, che la cultura contemporanea sembra aver completamente dimenticato.

Personalmente guardo con sgomento e orrore istintivo alla prospettiva apocalittica della fine violenta della storia umana che questa lettera realisticamente paventa. All’inconcepibile che rischia di diventare possibile.

Ma al tempo stesso non posso non essere razionalmente pessimista circa la nostra capacità di scongiurare la catastrofe. Anzitutto perché essa, purtroppo, presenta tutti i caratteri di una Nemesi storica.

Una Nemesi è la conseguenza necessaria, la pena inevitabile, di una Hybris. E la Hybris è la cecità e la tracotanza che travolgono la persona vincente e fortunata quando si lascia inebriare dalla propria vittoria e dalla propria fortuna.

Alcuni decenni fa l’Occidente, il nostro Occidente, si è ubriacato di questa Hybris. Ha creduto di poter impunemente trionfare da vincitore (come i guerrieri dell’Iliade) sul cadavere del proprio nemico morto di morte naturale, di danzare allegramente sulle macerie del suo impero spontaneamente crollato, imploso su se stesso. Ma nell’Iliade questa esultanza smodata avveniva sul cadavere di un nemico sconfitto con valore e lealtà in duello. Ed era comunque, nonostante questo, foriera di sventura. Preludeva alla morte dello stesso vincitore, per la legge alterna ed implacabile della guerra. Così succede regolarmente a Ettore prima (quando esulta sul corpo di Patroclo) e ad Achille poi (quando infierisce sul cadavere di Ettore).

La cronaca di questi giorni, se la si guarda dall’osservatorio sopraelevato della storia, ha tutte le sembianze di una Nemesi che si abbatte sulla cecità dell’Occidente. Di una resa dei conti, insomma.

Non sono affatto, sia ben chiaro, un fustigatore dell’Occidente. Sono anzi convinto che il nostro sia, tra i mondi possibili finora realizzatisi sulla terra, il meno peggiore. Credo altresì che la nostra civiltà abbia maturato ed espresso valori che sono attualmente patrimonio (come si dice adesso) dell’intera umanità. Certo: le bandiere di questi valori sventolano issate sopra enormi montagne di crimini e di sopraffazioni perpetrate nei secoli. Nonostante tutto ciò credo che l’Occidente, il nostro Occidente, soprattutto quello europeo, abbia alla fin fine generosamente dato al genere umano qualcosa di più del moltissimo che pure, con avidità, gli ha sottratto. Non sono molte le civiltà umane che possono vantare questo merito.

E tuttavia una trentina di anni fa l’Occidente si è macchiato, ripeto, di una fatale Hybris. Ha creduto di poter stravincere senza nemmeno aver combattuto. Ha umiliato e strapazzato il cadavere, da tempo mummificato e poi spontaneamente stramazzato al suolo, dell’Oriente europeo.

Ma non si è reso conto di umiliare e di strapazzare così anche i suoi superstiti eredi, confusi e smarriti in quei momenti, quindi apparentemente succubi e remissivi di fronte al vincitore. Ma quegli eredi erano tutt’altro che inermi. Anzi erano ancora armati fino ai denti di armi potentissime, catastrofiche, pari alle nostre. Strana vittoria questa su un nemico cui non si è chiesta (né si poteva farlo) la resa delle armi. Strana pretesa del presunto vincitore di togliere all’avversario potere, influenza e centralità solo perché quello era morto di morte naturale e i suoi eredi non sapevano al momento come gestirne l’eredità. Strana cecità e pericolosissima illusione nutrite, entrambe, dalla vittoria. Pura Hybris, appunto.

Nella tragedia greca sono frequenti le vicende di personaggi che, come il nostro Occidente, si ubriacano del successo presente e non sanno leggerne le disastrose conseguenze future. Poi quando la catastrofe sopraggiunge, improvvisa, inattesa – aprono gli occhi, finalmente: ma con grande fatica e a proprio danno. E, soprattutto, quando è troppo tardi. Perché la saggezza tragica, si sa, è sempre tardiva. Perciò inutile a chi finalmente la consegue. Utile solo, forse, ad ammonire gli spettatori, finché si tratta di uno spettacolo teatrale.

Ma qui, di fronte alla catastrofe che si annuncia all’orizzonte, noi non siamo semplici, ammaestrabili spettatori di una tragedia. Ne siamo corresponsabili, partecipi e potenziali vittime. Come Edipo, come Serse, come Eteocle. Eteocle più di tutti è quello che ci assomiglia di più. Ma non completamente.

L’Occidente, negli ultimi decenni avrebbe dovuto (più che potuto) fare molte cose: una politica estera di equilibrata collaborazione economica e di integrazione politica nei confronti del vecchio nemico; una seria e profonda strategia di disarmo atomico bilaterale; una Östpolitik illuminata, inclusiva, lungimirante, di ampio respiro. Ubriaco della caduta del muro, l’Occidente non fatto nulla di tutto questo. Ha lasciato che i semi dormienti della rivalsa e della frustrazione covassero sotto le macerie dell’Oriente sconfitto e impoverito, convinto che non avrebbero mai più fruttificato. L’occidente non ha capito che il terreno desolato che abbandonava ad est dei suoi dilatati confini poteva essere il più adatto a nutrire, alla lunga, un dispotismo barbarico e revanscista.

L’Europa ha mancato un’occasione storica per dare fondamenta stabili a una pace vera e duratura. Adesso temo che sia troppo tardi. Il nuovo duello che si profila potrebbe essere l’ultimo e fatale, vale a dire – nella logica vecchia ed assurda ma ineluttabile della guerra – inevitabile. Quello dell’apocalisse. Quello tra Eteocle e Polinice. Quello attraverso cui Nemesi trionfa sopra i cadaveri dei due fratelli-nemici che si sono uccisi l’uno per mano dell’altro. E il prezzo della vittoria di Nemesi potrebbe essere l’annientamento stesso della nostra stirpe, o di una buona parte di essa.

Non esiste un al di là di una terza guerra mondiale, di una guerra nucleare generalizzata”: hanno ragione da vendere i miei colleghi firmatari della lettera che ho linkato sopra. Ascoltare giornalisti che in un salotto televisivo discettano su di una imminente guerra nucleare come se si trattasse di una opzione militare tra le altre fa rabbrividire. È il segno che quella Hybris continua a chiuderci gli occhi (e ad aizzare la Nemesi) persino in faccia alla rovina.

E allora, che fare? Ecco la domanda tragica per eccellenza. Quella che tormenta Eteocle quando sta per scendere alla settima porta di Tebe, la città di cui ha usurpato il potere esclusivo a spese del fratello, ma che adesso egli deve e vuole difendere eroicamente dall’aggressione di quello, che lo attende fuori da quella porta per ucciderlo ed esserne ucciso. Ma Eteocle non rinuncia a scendere, nonostante le donne di Tebe – consapevoli come lui di quello che sta per accadere – lo implorino di non farlo. Eteocle è prigioniero della logica distruttiva della Nemesi tragica. Che è la stessa medesima logica della guerra. Ma il suo gesto fratricida, insieme al suo onore militare, salva la sua città. Giova almeno alla sua comunità.

La guerra totale che ci minaccia adesso, dopo l’avvento delle armi atomiche, non rispecchia se non in parte quella del mito. Assomiglia e non assomiglia alle nostre guerre precedenti. La Nemesi che incombe su di noi rischia infatti – pur rimanendo incatenata alla legge del taglione e dell’onore militare – di distruggere la nostra specie e la nostra civiltà, non certo di salvarle, né di ristabilire un qualsiasi, fruibile ordine materiale e morale. Una Nemesi atomica sarebbe enormemente sproporzionata alla Hybris commessa. Sarebbe un’ecatombe definitiva, mostruosa – e inconcepibile nella sua mostruosità. La fine della nostra storia. Nient’altro.

Con la minaccia atomica l’inconcepibile rischia di diventare possibile.

Perciò anche l’impossibile (spezzare per tempo la logica arcaica, perversa e incatenante della guerra) diventa obbligatorio.

Hanno ragione quindi – una ragione pratica, solidamente realistica – i firmatari della lettera. Diventa moralmente obbligatorio arrestare al più presto e in ogni modo questa guerra, prima che diventi impossibile fermare il passo che ci trascinerà nel baratro.

Bisogna avere il coraggio rivoluzionario di rinunciare a scendere (come mai Eteocle avrebbe rinunciato a fare) alla settima porta. Già: ma come affrontare Polinice che ha aggredito Tebe con un imponente esercito? Come inchiodare anche lui, che non ha esitato a scatenare un conflitto fratricida contro la sua città, a questo obbligo morale? Mi auguro – voglio credere – che si trovi presto una risposta concreta a queste angosciose domande.

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